Posts Tagged ‘Giuseppe Tomasi di Lampedusa’

Complesso non coincide completamente con complicato

21 aprile 2017

L’attuale Biblioteca universitaria alessandrina

di Fiammetta Palpati

[Gli altri articoli della discussione in corso].

Provo a contribuire con una digressione a questo interessante dibattito innescato da Policastro, rilanciato da Mozzi e ripreso, nei suoi diversi addentellati, dai numerosi e rilevanti interventi.

Molto interesse hanno suscitato in me – per ragioni anche personali – soprattutto i contributi che, esplorando le coppie antinomiche «facile/difficile» e «semplice/complesso», hanno cercato di distinguere e semplificare una materia che è – appunto – complessa. Tanto più se si estende l’osservazione al di fuori dall’ambito letterario e si instaurano parallelismi tra diverse forme artistiche, o mezzi espressivi, o di dichiarato intrattenimento (e con questo ultimo termine ho già evocato, senza distinguere, ahimè, annose questioni sul «valore» del mezzo, quando non dell’opera). Mozzi ha sostenuto che si è generata una certa confusione (e se lo dice lui sarà bene fidarsi) tuttavia se semplificare è l’atto di ridurre dal molteplice all’unico (il semplice è, primariamente, il costituito da un unico elemento – il «piegato una sola volta» dell’etimologia – e solo secondariamente – in modo figurativo – sinonimo del facile) io sono ben contenta che tutto ciò che ho letto in questi giorni, e su cui ho ragionato, abbia contribuito innanzitutto a rendere più complesso – e quindi più ricco, più sfaccettato, più piegato – il mio pensiero in merito a certe questioni letterarie. Farò del mio meglio per contribuire alla confusione.

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Concetta a Tancredi (Lettere delle eroine, 28)

26 agosto 2016

leopar

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La formazione dell’insegnante di lettere, 9 / Sergio Pasquandrea

21 gennaio 2015

di Sergio Pasquandrea

[Questo è il nono articolo della rubrica La formazione dell’insegnante di Lettere, che si pubblica in vibrisse il mercoledì. Gli insegnanti che volessero partecipare possono scrivere al mio indirizzo, scrivendo nella riga dell’oggetto: “La formazione dell’insegnante di lettere”. Ringrazio Sergio per la disponibilità. gm]

Sergio_PasquandreaNon è che io abbia scelto di fare l’insegnante di lettere. È proprio che, ripensandoci, mi chiedo: ma che cos’altro sarei potuto diventare, nella vita?
A quattro anni, leggevo le favole a mio nonno. Sì, io a lui. E no, non sapevo leggere: avevo imparato a memoria tutti i libri che c’erano in casa, compresi i punti in cui bisognava voltare pagina. L’imitazione era perfetta, tranne quando non c’erano le figure, perché allora, mancandomi i riferimenti, correvo il rischio di tenere il libro a rovescio.

Ricordo poco della materna, e quel poco ha scarsa rilevanza didattica; avevo due maestre: una di cui non ricordo il nome, alta e altera, un’altra che si chiamava Ines, piccoletta e sempre sorridente.
Alle elementari ebbi una maestra bravissima: Vilma Porporino, che il cielo l’abbia in gloria. Coniugata Zaza, e coniugata a scuola, nel senso che anche il marito era un maestro (i maestri elementari, specie ormai estinta in tempi di assoluto predominio didattico femminile). La scuola era un edificio umbertino, al piano di sopra c’era la sezione delle medie dove insegnava mia madre. Sì, sono figlio d’arte, anche se figlio deviato perché lei ha insegnato per trent’anni matematica e scienze.
Delle medie ricordo poco o nulla, chissà perché, e anche qui quel poco non ha rilevanza per la mia futura professione. Però ricordo i testi di narrativa di tutti e tre gli anni: in prima Sussi e Biribissi di Collodi nipote, in seconda Il ragazzo rapito di Stevenson e in terza Il Gattopardo. Il secondo e il terzo, li annovererei ancor oggi fra i libri della mia vita.
A parte questo, a tredici o quattordici anni avevo fatto fuori tutto ciò che di leggibile c’era in casa, e posso assicurare che ce n’era parecchio. Cominciai ad accumulare libri, più di quanti riuscissi a leggerne. Non ho ancora smesso.

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La formazione dello scrittore, 26 / Federico Platania

20 novembre 2014

di Federico Platania

[Questo è il ventiseiesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Le due serie escono, ormai un po’ come viene viene, il lunedì e il giovedì. Ringrazio Federico per la disponibilità. gm]

La formazione del non-lettore

Tutti i miei compagni di scuola avevano la tv a colori. Io no. La mia casa era piena di statue. Nessuno dei miei compagni di scuola poteva dire altrettanto.
Credo che la mia relazione con la cultura sia stata segnata da questa diversità che io ho sempre vissuto con orgoglio. Mio nonno, Pasquale Platania, era uno scultore (ero il nipote di uno scultore!). La mia casa era piena di libri (quanti? sicuramente più di quanti ne vedevo nelle case dei miei compagni di scuola). A otto anni ero affascinato dall’atmosfera del salotto di casa mia con tutte quelle statue, quei libri e quel vecchio televisore dove mi rassegnavo a vedere Jeeg Robot D’Acciaio in bianco e nero.
Così affascinato che l’idea di prendere uno di quei libri per leggerlo non mi ha mai sfiorato. Per anni.
Ricordo però quel pomeriggio in cui mio padre, dopo aver preso un volume da uno scaffale, mi disse: vedi questo libro? Pensa che ci sono persone, anche molto intelligenti, che non sono riuscite a finirlo.
Quel libro era l’Ulisse di Joyce. Ecco. Se oggi sono un “lettore forte” è perché quel giorno mio padre (il quale, per paradosso, faceva parte di quel gruppo di lettori che non è riuscito a finire l’Ulisse) mi ha indicato una vetta da scalare, un traguardo da raggiungere. Sono stato folgorato sulla via della letteratura non grazie alla promessa di un piacere, bensì alla prospettiva di una difficoltà.
Dieci anni dopo sono sulla scalinata esterna dell’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma. Ho quella copia dell’Ulisse tra le mani. E non mi sembra vero. Mi sento come uno scalatore che dopo una serie di ferrate in montagna giunga finalmente al giorno in cui è pronto per affrontare l’Everest.

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