di giuliomozzi
Una quantità di testi
Cominciamo dunque a parlare di questo romanzo di Giuseppe D’Agata: del romanzo, e non del libro (come abbiamo fatto finora). Per intanto, il riassunto della storia. Grosso modo: il narratore (prima persona) è un aspirante scrittore. Scrive in forma di diario mensile (ci sono dei titoletti: ottobre, novembre…). Ha un amico, Al, che è invece è già uno scrittore “professionista”, avendo pubblicato “un’opera prima matura e tradizionale, un romanzo (sulla Resistenza) dalla struttura solida come un buon cassettone ‘seicento, di stile, ma in versione un po’ campagnola” (p. 10). I nostri due eroi di giorno sono dei “cetomedisti produttivi”, s’incontrano di notte su un cavalcavia (dove il narratore incontra anche, corporalmente, una certa Lina, impiegata), e lì parlano di letteratura. Al ha la tipica crisi dello scrittore-al-secondo-romanzo, ovvero alla prova della maturità. Ciò che scrive non gli piace mai. Fa leggere qualcosa al narratore. I testi che, nei vari incontri, Al fa leggere al narratore sono riportati in corpo minore. Sono abbozzi, inizi, pezzi in mezzo di questo romanzo che Al non riesce a scrivere. Uno è una scaletta. Che cos’hanno che non va, questi scritti? Non sono politicamente a posto (vedi oltre).
Al è uno scrittore del gruppo B. Una nota a p. 9 spiega: “La più recente classificazione sociologica (met. Mal. mod) pone nel gruppo A gli scrittori che risiedono a Milano e a Roma. Il gruppo B comprende quelli residenti negli altri centri e comunque in quelli che raggiungono almeno i 250.000 abitanti. Il resto forma il gruppo C”. Ovviamente il suo desiderio è diventare uno scrittore del gruppo A, ovvero andare a stare a Milano o a Roma. Milano, soprattutto. E, dopo molte esitazioni, lasciando il lavoro e mettendo in gioco tutti i suoi risparmi, andrà a Milano. Da lì manderà notizie sempre positive, salvo suicidarsi a p. 134. A pagina 135 il narratore alla domanda di Lina “Tu hai smesso, invece, non vuoi più fare lo scrittore, è vero?” risponderà: “Credo di sì, Lina”. Dopo il suicidio una ventina di pagine, fino a p. 155, sono occupate dalla trascrizione del “Quaderno di Al”.