Posts Tagged ‘Giovanni Ticci’

La formazione del fumettista, 28 / Matteo Bussola

26 Maggio 2015

di Matteo Bussola

[Questa è la ventottesima puntata della rubrica del martedì, dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti. La rubrica è a cura di Matteo Bussola, e finalmente oggi possiamo leggere la “formazione” dello stesso Matteo: che ringrazio non solo per questo pezzo, non solo per questa rubrica, ma per una quantità di altre cose – soprattutto la gentilezza. gm].

matteo_bussolaQuesta rubrica è nata da uno status di Facebook.
Lo status era un breve scritto in cui parlavo del mio percorso fumettistico. Che poi, a chiamarlo percorso mi viene un po’ da ridere, visto che se mi volto indietro riesco a contare con lo sguardo le briciole di gommapane fino a qui. Giulio lesse lo scritto su Facebook e mi fece una proposta. La proposta è oggi diventata ventisette “formazioni”. Con questa, ventotto.
Ho dunque sempre pensato che se mai avessi pubblicato all’interno di questa rubrica, io il pezzo ce l’avevo già. Invece no, perché avercelo già è barare. E non barare è la prima regola. Che non significa essere onesti, vuol dire solo restare fedele alle regole che ti sei dato. Per esempio è la ragione per la quale, da quando sono un disegnatore professionista, ho smesso di commentare sui forum di fumetti. Per lo stesso motivo, penso che un curatore non dovrebbe in nessun caso scrivere un pezzo che rientri all’interno della rubrica che egli cura.
Siccome ogni regola ha un’eccezione, questo pezzo è la mia. Senza barare.

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La formazione del fumettista, 15 / Marco Foderà

17 febbraio 2015

di Marco Foderà

[Questa è la quindicesima puntata della rubrica del martedì, dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Marco per la disponibilità. gm].

marco_foderaQuando Bussola (io e Matteo ci diamo del tu ma scrivendo/dicendo i nostri cognomi, come si fa a scuola) mi ha chiesto di scrivere un pezzo per questa rubrica, gli ho risposto fintamente scocciato: “Bussola, mi chiedi troppo, è quasi un lavoro… e tra l’altro anche in relativa fretta, visto che debbo completarlo per domenica, ti odio!”. In realtà sto romanzando un po’, non ho usato esattamente queste parole, ma se prova a smentirmi, gli scriverò ancora più fintamente scocciato.
Ormai sono anni (circa venti di carriera) che evito accuratamente di parlare del mio lavoro in giro. I miei amici sono abituati e, da quel punto di vista, non mi “cagano” più… per loro è un mestiere come un altro, solo lievemente più curioso, ma neanche tanto. Dicevo, non ne parlo mai, se non quando son costretto… Ripeto sempre la solita manfrina, la solita storiella… e ovviamente tutti fanno (come è normale che sia) le solite domande. Ma questo discorso vale solo quando incontro dal vivo le persone, sui social invece sono fin troppo presente e pubblicizzo ciò che faccio… In un certo senso mi comporto da “sborone” (ma sui social un po’ tutti si sentono legittimati a farlo, l’autocelebrazione passa dal fumettista, al pizzaiolo, al gommista, ecc.: e’ lì e solo lì il nostro momento di gloria). Sto divagando. Dicevamo: io faccio il fumettista, in realtà non da vent’anni (come ho scritto sopra) ma fin da ragazzino… iniziando alle elementari e disegnando per gli amichetti i vari Jeeg Robot e Goldrake. Già allora ero un po’ sborone (decenni prima dei social). Finita la scuola dell’obbligo pensavo di andare a lavorare, ma il mio migliore amico dell’epoca mi convinse a coltivare la mia passione per il disegno (diciamo arte? Ma sì… continuiamo a bullarci inutilmente). Feci cinque anni di liceo artistico (nella mia città, Latina), ma l’indirizzo preso fu architettura (a dispetto di quello che si potrebbe pensare ora). I miei genitori, come è normale che sia, non vedevano di buon occhio questa mia “tendenza all’arte: in famiglia non c’erano precedenti, eravamo una famiglia di operai (per famiglia intendo il termine esteso a parenti vicini e lontani, e garantisco che siamo numerosissimi).
Finiti i cinque anni pensavo di dover studiare architettura a Roma, ma ero poco convinto. Mi stavo riconvincendo a fare lavori più concreti e fisici, nel frattempo leggevo vagonate di fumetti (soprattutto Bonelli, anche se il primo amore fu verso i Disney, i primi fumetti bonelliani che lessi furono un Tex disegnato da Giovanni Ticci e un Mister No disegnato da Roberto Diso. Che culo, ho iniziato col meglio – senza saperlo).

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La formazione del fumettista, 13 / Andrea Cascioli

3 febbraio 2015

di Andrea Cascioli

[Questa è la tredicesima puntata della rubrica del martedì, dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Andrea per la disponibilità. gm].

Andrea_CascioliMi contatta Matteo Bussola.
Dice che vorrebbe un mio scritto, mi manda un link perché veda di che si tratta.
Sostanzialmente mi chiede di dire cosa è importante in questo lavoro, ovvero cosa è importante PER ME.
La forma mentis, è importante.
Non sentirsi bravi, è importante.
La narrazione, è importante.
Un fumettista, come uno sceneggiatore, come un regista, come un attore, è al servizio della storia.
Non dell’Arte, non dell’applauso, non del proprio ego; della storia da raccontare.
Non ci sarebbe bisogno di scrivere altro, il mio intervento potrebbe finire qui.
Bussola però non sarebbe contento di questo ermetismo, e poi Fabio Celoni ha scritto molto di più.
Ti credo, Fabio Celoni è molto più bravo di me.
Ho imparato moltissimo guardando certi suoi disegni.
Ecco, per esempio, se io fossi convinto di essere più bravo degli altri non riuscirei ad imparare da loro.
Avere una certa consapevolezza circa i propri limiti è un trucco per migliorarsi.
La certezza matematica di essere perfettibile non è un legame, è una fionda, ti catapulta in uno stato di perenne capacità d’apprendimento.
Ti lancia lontano, dove da solo non saresti arrivato.
È la gioia di imparare da tutto e da tutti.
I presuntuosi, poveretti, non ce l’hanno, e continuano a dibattersi in una pozzanghera autoreferenziale ripetendosi a gran voce “io sono un Artista, non vengo abbastanza apprezzato”.
In questo modo non crescono, si nutrono del loro stesso sapere e di nient’altro.
Il mondo dei fumetti ne è pieno.
Anche senza fumetti, il mondo ne è pieno.

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La formazione della fumettista, 8 / Patrizia Mandanici

16 dicembre 2014

di Patrizia Mandanici

[Questa è l’ottava puntata della rubrica dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti, che esce in vibrisse il martedì. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Alessandro per la disponibilità].

patrizia_mandaniciSe cerco di andare indietro nel tempo per capire quando è nata la mia esigenza di fare fumetti capisco che non c’è risposta: mi sembra di avere letto fumetti da sempre (già da prima che imparassi a leggere guardavo le figure) e di aver subito scarabocchiato in giro immergendomi nei miei mondi (mio padre, che ha sempre assecondato la mia passione, racconta che quand’ero piccola dovette dipingere i muri di casa con pittura lavabile, che tanto io disegnavo anche lì).
Non sognavo di fare la fumettista, sognavo di fare “la pittrice” – intendendo con ciò genericamente la disegnatrice. Più crescevo e più credevo che avrei finito col diventare un’illustratrice, o qualcosa di simile, ma mai veramente una fumettista: quello era un sogno che mi sembrava così al di fuori della portata delle mie possibilità che neanche ci pensavo.
Poi, certo, c’era anche il fatto che per me disegnare storie a fumetti era una questione personale, di sopravvivenza: lo facevo allo stesso modo in cui mangiavo e respiravo, era parte di me, come avrebbe potuto diventare un lavoro?
Mi piacevano così tanto i fumetti che disegnarne di miei era anche un modo per prolungare il piacere che mi dava entrare dentro quegli universi – e infatti mi ispiravo a quello che mi capitava sotto mano a quei tempi, e che amavo, da Tex a Capitan Miki, storie con indiani e cowboy disegnate con qualsiasi cosa su qualsiasi supporto: carta da disegno, ma anche quaderni a righe, a quadretti, blocchetti della riffa, agendine.

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