Posts Tagged ‘Giovanni Testori’

La formazione dello scrittore, 29 / Alberto Cristofori

1 dicembre 2014

di Alberto Cristofori

[Questo è il ventinovesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Ringrazio Alberto per la disponibilità. Il magazzino è vuoto, attendo i contributi di alcune persone che si sono impegnate ma hanno bisgono di tempo: la rubrica diventa irregolare. gm]

alberto_cristoforiIn principio c’erano i PIC: erano dei librini quadrati, illustrati, con le fiabe classiche (Biancaneve, Cenerentola, Cappuccetto Rosso…) ridotte ad uso dei bambini molto piccoli. Se non ricordo male costavano 50 lire. Mia madre me li leggeva e rileggeva, io li imparavo a memoria e poi facevo finta di leggere anch’io, seguendo col dito e suscitando l’ammirazione (ah! oh!: forse altrettanto finta) dei nonni in visita. Ma forse è vero che, a forza di studiarmeli, man mano che nascevano i miei fratelli e si riduceva il tempo materno a mia disposizione, qualche parola avevo imparato a decifrarla. Sicché, senza mai andare all’asilo, sono arrivato in prima elementare che in effetti, bene o male, leggevo.

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La formazione dello scrittore, 19 / Romolo Bugaro

20 ottobre 2014

di Romolo Bugaro

[Questo è il diciannovesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice (che per qualche settimana sarà sospesa, mentre le “formazioni” degli scrittori usciranno sia il giovedì sia il lunedì). Ringrazio Romolo per la disponibilità. gm]

Sono stato fortunato, fortunatissimo. Sono nato in una famiglia senza particolari problemi economici e capace di offrire molte cose.
Mio padre, medico, era un uomo con mille interessi. Amava la musica, la storia, la letteratura. Avevamo la casa piena di libri. Edizioni e collane bellissime: la Medusa della Mondadori, gli Scrittori Stranieri della Utet.
Ricordo il suo primo consiglio. “Vedi se ti piace questo.” Era Vicolo Cannery di John Steinbeck. Ho cominciato a leggere, non mi piaceva granché. Forse rivendicavo una specie di autonomia di giudizio. Ben presto l’ho abbandonato.
Però sono rimasto sugli americani. Winseburg, Ohio di Sherwood Anderson è la prima lettura significativa di cui abbia memoria. A distanza di trenta o quarant’anni non ricordo praticamente nulla delle storie, dei personaggi. Ricordo invece gli ambienti, il paesaggio. Campagne invernali con pochi alberi, pochi suoni. Colline dove la distanza era pura luce.
Dopo Anderson, come alcune migliaia di lettori desiderosi di scrivere in proprio, sono passato a Hemingway. A partire da Il sole sorge ancora in un’edizione oggi introvabile (ovviamente di mio padre): Jandi Sapi di Roma. Anno di pubblicazione: 1944. Traduzione: Rosetta Dandolo. Prezzo di vendita – testualmente, dal dorso del libro: “in Roma L. 150 (esente da aumento) fuori Roma: L. 160 (esente da aumento)”.
La guerra stava ancora infuriando nel Nord Italia, fascisti e nazisti avevano appena fondato la Repubblica Sociale, e nella capitale già si stampavano gli autori proibiti dal regime.

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La formazione dello scrittore, 14 / Stefano Serri

25 settembre 2014

di Stefano Serri

[Questo è il quattordicesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Ringrazio Stefano per la disponibilità. gm]

Sillabario

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“Quanti artisti falsi prodigano le loro energie per apparire artisti, mentre gli artisti veri ne conservano per l’arte?” (G. Pontiggia).

BIBLIOTECA
La biblioteca è l’anti-museo del libro – la biblioteca pubblica, intendo – è l’unica piazza dove le voci si sovrappongono nitide. È il posto migliore dove un libro possa riposare e trascorrere il tempo che gli resta – l’eternità, compatibilmente con l’usura della carta. È la vera casa dello scrittore. È la culla della democrazia, la biografia di un paese. Il mio primo giorno in biblioteca è stato l’inizio di una lotta scoliotica ingaggiata dagli occhi tra pagina/finestra/pagina/finestra… Luisa (la bibliotecaria che va in pensione tra pochi giorni) era lì a spiegarmi su quel grande tavolo bianco i volumi adatti alla mia età, contrassegnati da fasce colorate, separati da quelli per i grandi: un limite da infrangere appena possibile.

CAPOLAVORI
I miei capolavori risalgono alle scuole medie (dopo, solo balbettii). Sono i miei temi in classe. L’insegnante entusiasta me li faceva spesso leggere a voce alta. In prima media la professoressa di italiano mi portò tra i grandi della terza, dove lessi la meglio riuscita mistificazione della mia infanzia, la metamorfosi esemplare di mia nonna: trasformavo il patologico in pittoresco, l’incedere della demenza in poesia del tempo. Un altro capolavoro lo partorii due anni dopo, con il lungo elaborato (quattro lunghe pagine fitte fitte della mia nuova grafia appena perfezionata) per il compito sul genere giallo. L’interesse non era tanto nello stratagemma adottato per il classico “delitto della camera chiusa” (dall’interno), quanto nella scelta dei personaggi. Si trattava infatti di una rimpatriata di ex-compagni di scuola, dove l’assassino confessava tutto l’odio covato da anni verso la sua classe, radunati appositamente. Tutti quei ragazzini di tredici anni capirono, senza tante spiegazioni, l’ambigua verità di ogni finzione letteraria.

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Redimersi scrivendo racconti scabrosi

21 febbraio 2011

di Bruno Pischedda

[Questo articolo è apparso ieri nel Domenicale del Sole 24 ore].

È potente davvero Il male naturale di Giulio Mozzi, e bene ha fatto il marchio Laurana a riproporlo dodici anni dopo la prima comparsa in libreria. Il raccontino che nel 1998 destò parecchio scandalo, Amore, nella sua nuda oggettività pedofila resta a tutti gli effetti conturbante. Si può capire la reazione di disgusto espressa allora da taluni settori di opinione pubblica; così come lecita, oggi, è la risposta lapidaria dell’autore: «Credo che il giudizio morale debba insediarsi nei modi della narrazione e non limitarne il contenuto»

Leggi l’articolo nel sito del Sole 24 ore.

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