Posts Tagged ‘Giorgio Agamben’

Giacomo Sartori, “Sono Dio”. Appunti di lettura

6 luglio 2016

di Demetrio Paolin

sonodioGiacomo Sartori in Sono Dio (NN Editore) costruisce un libro comico e questi appunti nascono per spiegare meglio questa mia affermazione perentoria.  Prima ecco in breve la trama: in un momento impensato e impensabile della sua vita eterna, Dio fissa il suo sguardo su una ragazza che dentro una stalla sta praticando una inseminazione artificiale su una vacca. All’inizio Dio è incuriosito da questa creatura, per lui simile in tutto e per tutto a un bacillo della peste, a un spugna marina o a un neutrino… Con il tempo, il suo interesse e la sua attenzione convergono nella vita di questa ragazza, quasi che se ne volesse/potesse (volere e potere in Dio coincidono) innamorare.

La storia del romanzo è tutta qui: la trovata narrativa è appunto quella di costruire un diario di scrittura, attraverso il quale Dio osserva la vita di questa ragazza e il suo progressivo entrare in contatto con lei.

Perché ho parlato di libro comico?

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I santi del purgatorio. Betocchi, Pomilio e la forma-di-vita

27 ottobre 2015

di Andrea Caterini

[Continua il “convegno online” dedicato a Mario Pomilio]

Mario Pomilio

Mario Pomilio

Forse davvero la poesia è tale quando disarma. E se il dono, la grazia ricevuta della parola, è segno e significato del tempo che si manifesta, come dire l’accadere che interrompe la sua linearità, o l’idea che il tempo sia una progressione, quindi destituendogli un movimento, allora la poesia è il tempo della parola che nasce e si conserva, e in quanto nascita è creazione. Ma appunto, creazione di un tempo che se non è progressione è invece nascita; una nascita che si perpetua – nuda ed eterna. Ed è così che Carlo Betocchi visse sempre la poesia, ogni poesia che scriveva, come fosse l’accadimento del tempo, la nascita non solo sua, del soggetto, ma di tutte le cose, del soggetto insieme e in relazione alle cose. Rileggo questa poesia dalla sua raccolta forse più significativa, Un passo, un altro passo (sesto componimento della sezione che porta lo stesso titolo della raccolta datata 1967); una poesia che piega le ginocchia perché non teme di pronunciare il vero.

E so quanto la vita sia discorde
con se stessa; il suo disegno
intricato; il suo discorso enigmatico.
La guardo e ne raccolgo la figura,
le credo e non le credo, anche il dolore
ha due volti, anche l’amore: resto
così, stordito, avvolto in questo slittare
della coscienza che quanto più sa,
meno è tranquilla. Ma non cedo:
dal sapere il comprendere deduco;
dal comprendere il gemere. Sospiro,
temo: e insieme sento di meritare,
dal patire, in esso inabissandomi,
una sostanza men fievole, un’unità
in cui spero nel mio dolore,
una speranza diversa, un volto
umiliato dal non conoscere più,
dall’aver fede, soltanto fede,
come grido che tace e ha la sua pace.

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