Posts Tagged ‘Gabriele Dadati’
5 marzo 2018
di Demetrio Paolin
[questo articolo è stato pubblicato nel numero de La lettura, supplemento del Corriere della sera, in edicola questa settimana].
Gabriele Dadati con L’ultima notte di Antonio Canova (Baldini & Castoldi, 2018) ci consegna, coraggiosamente, un romanzo storico alla vecchia maniera. Siamo a Venezia nel 1822, il grande scultore Antonio Canova, prossimo alla morte, decide di raccontare al fratellastro Giovan Battista Sartori una vicenda di cui è stato protagonista e spettatore, e che riguarda l’uomo più potente del quel tempo: Napoleone Bonaparte. Nel 1810 Canova è a Fontainebleu, l’imperatore di Francia l’ha chiamato perché vuole che Maria Luisa d’Austria venga ritratta in un busto di marmo. Lo scultore, mentre è a corte, viene avvinto nelle spire di una strana congiura, che riguarda Napoleone, la sua sposa e il futuro della Francia.
L’ultima notte di Antonio Canova è un serie di cerchi via via più stretti, che corrispondono a diversi punti focali della narrazione: in primo luogo abbiamo il grande artista alle prese con la sua morte solitaria, la sua debolezza fisica, la malinconia per il tempo sprecato e i rimpianti per la gioventù. In questo contesto si inserisce un secondo quadro temporale, l’ottobre del 1810, dove nello sfarzo della corte di Napoleone lo scultore viene a conoscenza del terribile segreto, che viene raccontato – e abbiamo qui il terzo e più importante scenario – dal punto di vista di Maria Luisa.
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Tag:Antonio Canova, Demetrio Paolin, Gabriele Dadati
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16 febbraio 2018
di giuliomozzi
E’ in libreria più o meno da oggi questo romanzo di Gabriele Dadati, L’ultima notte di Antonio Canova (Baldini e Castoldi). Io ne lessi una prima e una seconda (appena aggiustata) versione, se non ricordo male nel settembre del 2014. Se ce ne vuole, di pazienza, per pubblicare un romanzo! Ma Gabriele, devo dirlo, era tranquillamente sicuro e moderatamente ottimista. Dopo un libro di racconti (con almeno due perle dentro) e tre romanzi tutti in qualche modo (traslato, autofinzionale ecc., come si usa oggi) legati alla sua esperienza di vita (ricordo in particolare, ma solo per affetto, Piccolo testamento, Laurana), sentiva che era arrivato per lui il momento di osare il romanzo-romanzo. E poiché da un pezzo si era trovato a dedicarsi, per lavoro e per passione, e per appassionato lavoro, ad Antonio Canova, gli venne naturale metterlo al centro del suo progetto.
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Tag:Antonio Canova, Gabriele Dadati, Napoleone Bonaparate, Stefano Fugazza
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8 giugno 2017

1992. Fotografia di Basso Cannarsa
di giuliomozzi
1. Quand’ero, boh, diciottenne, diciannovenne, mi facevo dare nelle librerie i cataloghi degli editori (allora esistevano i cataloghi stampati) e poi a casa me li studiavo. Confusamente, nella mia ingenuità, identificavo l’editore con il suo catalogo, cioè con i libri pubblicati. In quelle liste cercavo una logica, un’organizzazione: e in certi casi (esempi massimi: Laterza, Il Saggiatore, Einaudi, ec.) la trovavo facilmente. Questo il mio primo pensiero. Era vero, allora. Oggi è ancora vero, ma non è più reale.
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Tag:Antonio Franchini, Basso Cannarsa, Dalia Oggero., Elisabetta Sgarbi, Gabriele Dadati, Giovanni Zaffagnini, Giuseppe Pontiggia, Lillo Garlisi, Paolo Repetti, Stefano Dal Bianco, Vittorio Sgarbi
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8 marzo 2017
di Edoardo Zambelli
Era il 1980, e per due ragazzi quella notte fredda di ottobre era stata l’ultima delle loro brevi accidentate vite.
Matteo ha 47 anni, due figli (Maddalena e Valerio), e una ex moglie (Sara). Una sera, sfogliando un giornale, vede due foto e viene a sapere che un suo amico di infanzia, intanto diventato pubblico ministero, ha riaperto un caso di molti anni prima: durante una festa, secondo dinamiche mai del tutto chiarite, ha perso la vita un ragazzo di diciassette anni, assassinato. E non è l’unico ad aver perso la vita, c’era anche una ragazza di quindici anni, il cui corpo non è mai stato ritrovato.
Matteo quella notte c’era, sa cosa è successo davvero, ma non ha mai avuto il coraggio di dirlo a qualcuno, forse nemmeno a se stesso. Adesso però sa che quel coraggio deve trovarlo, deve ricordare e rivivere quella notte che tanto peso ha avuto nella sua vita.
Il romanzo di Dario Buzzolan Se trovo il coraggio si articola, quindi, nel racconto di due notti: quella presente, in cui Matteo vaga alla ricerca dei ricordi, e quella del 1980, che è stata per lui tanto un’iniziazione all’amore quanto un’iniziazione alla morte. La narrazione, diciamo così, sdoppiata è un espediente che Buzzolan ha già usato con successo nel precedente (e bellissimo) Tutto brucia e nel più recente (e altrettanto bello) Malapianta. Qui l’arco narrativo dura dodici ore, dalle 20 alle 8, con i capitoli che scandiscono il passare del tempo un’ora alla volta.
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Tag:Alberto Ongaro, Dario Buzzolan, Edoardo Zambelli, Gabriele Dadati
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25 novembre 2016

Tranquillo Cremona: Ritratto di Giuseppe Bianchi
di giuliomozzi
[Scritto a fine 2005 o inizio 2006, su richiesta di Stefano Fugazza e Gabriele Dadati, per la collana Scrivere l’arte della Galleria d’arte moderna Ricci-Oddi di Piacenza. Forse non è vero che questo quadro è il primo in cui compare un giornale quotidiano: comunque dev’essere uno dei primi].
L’uomo col giornale in mano
ha il braccio destro abbandonato lungo il fianco.
L’uomo col giornale in mano
regge il giornale con la mano destra,
alza lo sguardo e volta il viso verso
noi, che lo guardiamo.
L’uomo col giornale in mano
ha interrotta la lettura del giornale
per guardare
noi, che lo guardiamo.
L’uomo col giornale in mano è morto.
Noi, per ora, siamo vivi.
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Tag:Gabriele Dadati, Giuseppe Bianchi, Stefano Fugazza, Tranquillo Cremona
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30 settembre 2016
di giuliomozzi
1. Tempo fa commisi l’errore di procurarmi un libro che s’intitolava più o meno La letteratura cattolica nel Novecento. Dico “più o meno” perché l’ho poi dato via, e non mi torna in mente il nome dell’autore. L’ho dato via perché in quel libro si identificava la “letteratura cattolica” con (a) narrazioni in prosa, romanzi o racconti, aventi per protagonisti preti o suore; (b) componimenti poetici assimilabili al genere letterario della preghiera. La prima proposta, dunque, è: fare della letteratura cattolica che, se in prosa, non consista di narrazioni aventi per protagonisti preti o suore; se in versi, non consista di componimenti assimilabili al genere letterario della preghiera.
2. Nel 1999 Giovanni Paolo II scrisse una Lettera agli artisti. Vi si parla di arti figurative, di architettura, di musica, di poesia, di teatro, fors’anche di giocoleria e di pirotecnica, ma di romanzi no. I romanzieri, insomma, per la massima autorità dell’organizzazione ecclesiastica cattolica, non esistono. D’altra parte, mi ricordo, più o meno in quel periodo ebbi occasione, dopo la registrazione di un programma di Sat2000, di fare due chiacchiere con il cardinal Paul Poupard, allora presidente del Consiglio pontificio per la cultura: e Poupard mi disse che l’ultimo romanzo che lo aveva veramente colpito era il Diario di un curato di campagna di George Bernanos: un romanzo (molto bello, per carità) con protagonista un prete, per l’appunto, e comunque del 1936. La seconda proposta, dunque, è mandare romanzi in omaggio al papa e ai cardinali. Chissà, magari leggono. (Ve lo vedete, Bergoglio che ogni sera, a letto, prima di spegnere la luce, si legge un capitolo di Infinite Jest? Io sì).
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24 ottobre 2015
di Demetrio Paolin

Mario Pomilio
Più o meno a maggio di quest’anno avevo tra le mani la copia della nuova edizione del
Quinto Evangelio (L’orma editore, 2015) di Mario Pomilio; nella mia libreria facevano mostra di sé la ristampa de
Il nuovo corso (Hacca, 2014) e di
Scritti cristiani (Vita e pensiero, 2014). E mentre ero indeciso su come scrivere, qui in
vibrisse, mi è capitato di leggere un’affermazione di Giulio Mozzi sul suo profilo di facebook che diceva più o meno che il
Quinto Evangelio era il più bel romanzo italiano del dopoguerra. Alla sua affermazione mi venne solo da dire: Dio mio, sì! Giulio ha ragione.
La letteratura, sappiamo, non è una classifica di calcio, ma spesso è utile cercare di stabilire un qualche ordine di grandezza, cercando – in parole povere – di fornire una sorta di canone dei testi. E sicuramente il romanzo di Pomilio, ma sarebbe meglio dire la sua opera, dovrebbe essere contemplato al suo interno. In realtà, però, dell’autore abruzzese si è parlato poco o niente, relegandolo al ruolo marginale nell’economia della nostra storia letteraria.
Per questo motivo in quel giorno ho pensato di scrivere una breve mail a tre amici, scrittori e lettori forti dell’opera pomilana, dicendo loro che volevo provare a costruire sul Quinto Evangelio e sull’opera di Pomilio non una semplice recensione o saggio ragionato, ma qualcosa di più.
Gli amici in questione erano Giulio Mozzi, Alessandro Zaccuri e Gabriele Dadati e il qualcosa in più che avevo pensato e immaginato è quello che leggerete nei prossimi giorni qui sul sito di vibrisse ovvero una sorta di convegno on line dal titolo Il ritorno di Mario Pomilio, romanziere europeo, in cui scrittori, critici, teologi e giornalisti sono stati chiamati a scrivere un loro contributo.
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Tag:Alessandro Manzoni, Alessandro Zaccuri, Andrea Caterini, Andrea Ponso, Donatella Trotta, Emanuele Trevi, Emmanuel Carrère, Enrico Macioci, Gabriele Dadati, Gabriele Frasca, Gabriele Prisco, Giulio Mozzi, Giuseppe Lupo, Italo Calvino, Mario De Santis, Mario Pomilio, Melissa Minò, Mirko Volpi, Pier Paolo Pasolini, Renato Minore, Sandro Campani, Simone Gambacorta, Tommaso Ottonieri
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31 luglio 2015
di Daniele Muriano
[Intervento tratto dal libro Se incontri Giulio Mozzi per la strada uccidilo].
Daniele Muriano ha scritto un romanzo, non ancora pubblicato.

Preleva gratis il libro
Giulio, sono stufo.
Sono tre ore che provo e riprovo. Mi hai chiesto – che cosa assurda! – di scrivere un racconto in cui mi libero di te. Ma quando ho letto la tua
email a cosa ho pensato, secondo te? Non ho letto il libro di cui questa tua – macabra, permetti – iniziativa è una citazione palese. Non era palese. Io, nella mia ignoranza, ho pensato che la commessa (dico bene? commessa) fosse di buttar fuori un raccontino in cui un Daniele Muriano di finzione uccidesse realmente te. Che scherzi che fai! Involontariamente, anche. Di fatto ho (ma è il caso di dirlo?) concepito e scritto un racconto nel quale sul finale apparivano degli avvoltoi, in un’atmosfera sognata/sognante, che divoravano il tuo corpo. Mi sono persino informato sugli avvoltoi. Non volevo mancare di realismo. Ho saputo, pensa un poco, di questo rito funebre tibetano, sempre grazie a Wikipedia, la mia ignoranza ha un’amica leale si chiama Wikipedia, comunque: il cadavere viene di fatto scuoiato, anche un po’ sbudellato, infine lasciato in balia dei volatili. Pare che rèstino – verosimile – proprio soltanto le ossa. Ma il maestro buddhista ha il compito di martellare sulle ossa, fino a ricondurle alla consistenza di polvere, che polvere siamo e polvere
eccetera, si va a sprofondare sempre nei soliti archetipi. Le ossa polverizzate e in mescola con una qualche farina vengono fornite ancora una volta ai volatili. La persona svanisce: involata. …Che ricerche mi fai fare! Per fortuna ho ricevuto un’altra
email. Mi spiegavi finalmente che si trattava di uccisione
simbolica. Ah, ma allora non devo ucciderti… per davvero… No. Vuoi che mi disfi della tua figura di guida letteraria, ho pensato, che smetta di guardare da quella parte in cerca d’un maestro. Be’, sì ma – mi sono modellato l’obiezione – io non ti ho mai ritenuto il mio maestro. Deploro con ogni mia cellula l’uso della parola al di fuori delle aule scolastiche. Neppure i miei maestri elementari, maestri professori della media e maestri successivi sono mai stati – nel mio mondo – in qualche modo maestri. E li darei in pasto ai volatili con molto meno ritegno. Quindi, nel mio mondo non esistono maestri in quanto non esistono aule scolastiche. Questo per iniziare. Io devo a te, Giulio, la mia vita testuale. Ho cominciato la mia vita testuale scrivendo
Sangue!, il racconto di una decina di cartelle che ti sottoposi cinque anni fa, scritto in una notte e, immediatamente cioè all’indomani, passato nelle tue braccia con uno stratagemma. Sì, ti ho fatto un’imboscata. Sì, mi sono intrufolato in quella presentazione, nella sede di Laurana, dove tu, con la solita voce piana, dicevi e dicevi, non ricordo niente in effetti, di cosa andavi dicendo. Avevo nella tasca della giacca (era un ottobre di gelo) il mio manoscritto. Come un aspirante terrorista confuso in mezzo alla gente, nascondevo il mio testo, per poi,
voilà, comparire al termine dell’incontro e pregarti – in un simile contesto equivaleva a ingiungerti – di leggere. Ah, attentato! Facesti una faccia da vittima disarmata. «Potresti spedirmelo con l’email?», fu il tentativo di respingimento. «Ma è impaginato, guarda. Ha i margini giusti. E rientri… Ci sono i rientri!», sputai l’ultima cartuccia. L’argomento dei rientri era in effetti un colpo basso. Con i rientri c’era poco da respingermi. L’aspirante terrorista che si preoccupa dei rientri è invincibile, è temibile. E tu lo sapevi, almeno così mi immagino.
Brrrr. Quando mi arrivò il giorno stesso la tua email non potevo credere che avessi letto veramente il mio racconto. Chi ero io, in fondo? Uno che, nel tuo blog
vibrisse, polemizzava a ogni piè sospinto, criticava l’insegnamento della scrittura creativa a priori e in generale, bla e bla e ancora bla.
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Tag:Daniele Muriano, Gabriele Dadati, Viviana dell'Arena
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28 luglio 2015
di Claudia Grendene
[Intervento tratto dal libro Se incontri Giulio Mozzi per la strada uccidilo].
Claudia Grendene pubblicherà il suo primo romanzo presso Marsilio, probabilmente all’inizio del 2017. Il titolo provvisorio è Come stavamo ieri.

Preleva gratis il libro
Mercoledì 25 marzo 2015 vado a sentire la presentazione di
Favole del morire di Giulio Mozzi nella sede dell’associazione Fantalica, a Padova. Arrivo un po’ in ritardo, piove, ho aspettato mio marito. Vedo Giulio Mozzi sul palco, la scrittrice gli fa delle domande. Giulio risponde con la disarmante modestia che lo caratterizza. Più le domande vogliono essere articolate e letterarie, più Giulio risponde da uomo semplice. Sono in prima fila, mi ha vista. Fa una battuta di spirito e mi sorride. Parla del libro e della morte, e del riciclo inarrestabile di materie organiche nel cosmo. Penso alla trasformazione di ogni cosa.
Mi accorgo che sono io a non vedere più lo scrittore, il maestro. Inizio a vedere l’uomo.
Dopo la presentazione, un figuro di cui non ricordo la faccia tedia Giulio con il progetto dell’opera che vuole scrivere o che ha scritto. Ognuno parla a Giulio di cose letterarie, io riesco a dirgli soltanto: «Hai bisogno di un passaggio?». Giulio non guida e abita dalle parti di casa mia.
Mi risponde di no. Ha un occhio terribilmente arrossato, mi preoccupo.
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Tag:Claudia Grendene, Elianda Cazzorla, Gabriele Dadati
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27 luglio 2015
di Giovanni Fiorina
[Intervento tratto dal libro Se incontri Giulio Mozzi per la strada uccidilo].
Giovanni Fiorina ha pubblicato: Masnago, Marsilio 2015.

Preleva gratis il libro
La stanza è bianca, senza finestre. Giulio si avvicina con quella sua camminata corta e veloce, un po’ zoppicante. Indossa un kimono rosso con la cintura nera e mi fissa serio, senza espressione. In mano ha una pistola.
Verso le sette di sera di sabato 14 settembre 2013 mi trovavo in piazza Bra a Verona, seduto a uno dei tavolini del bar Liston, uno spritz ormai finito davanti a me e una scatola portagioielli, piccola e scomoda, nella tasca dei jeans. La serata era fresca e leggera e magnifica, proprio come due anni prima, quando avevo deciso di portare a cena a Verona la mia futura moglie per il nostro secondo appuntamento. Dovevo farla innamorare, subito e senza riserve, visto che a me erano bastati pochi minuti per perdermi in quel sorriso, e speravo che la piccola Roma mi avrebbe aiutato. Una ragazza nata e cresciuta a Ipanema e che dell’Europa conosceva fino a quel momento solo Milano, infatti, non poteva resistere di fronte alla bellezza di Verona. E la serata fu davvero indimenticabile, così splendida da riprometterci di riviverla.
Ma i ricordi andrebbero lasciati lì, senza tentare di replicarli. Infatti ora, mentre aspettavo Lucia tornare dalla toilette per andare verso il Ponte di Castelvecchio dove le avrei chiesto di sposarmi, ero tutto fuorché rilassato. Voglio dire, da lì a pochi minuti avrei cambiato la mia vita in un modo reale, definitivo. Erano soprattutto due le cose che mi avevano terrorizzato nei mesi precedenti e che ancora non avevo del tutto accettato, a essere sinceri. La prima erano i preparativi del matrimonio: mesi e mesi trascorsi a fare ciò che un pigro come me non vorrebbe mai fare, prendere decisioni. L’altra era il dubbio – che rasentava la certezza – che con il matrimonio se ne sarebbero andate per sempre le mie quattro o cinque partite di pallacanestro settimanali in tv, sdraiato sul divano in una splendida solitudine sportiva. Ma, soprattutto, Lucia mi avrebbe detto sì? O era troppo presto? O forse troppo tardi? Il mio nervosismo aveva raggiunto livelli ormai insostenibili, così per evitare di alzarmi e iniziare a camminare da solo attorno alla piazza per cercare di calmarmi, decisi di correre il rischio e di riprovare la triade di movimenti estrazione scatola dalla tasca – apertura scatola – esibizione contenuto scatola che avevo provato più volte a casa negli ultimi tre mesi e che avevo ormai rifinito fino alla perfezione in entrambe le varianti: quella a due mani con scatola grande per pantaloni di tela e tasche larghe e quella a una mano per scatola più piccola destinata ai jeans che avevo alla fine deciso di indossare. Così, dopo aver controllato che non si vedesse nessuna futura moglie all’orizzonte, mi ritrovai con la prescelta tra le mani, pronto a gustarmi il frutto delle mie peregrinazioni tra le gioiellerie di Milano e di mezza provincia: ma quell’ingrata era vuota.
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Tag:Gabriele Dadati, Giovanni Fiorina
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18 Maggio 2015

Clicca sulle copertine, leggi la scheda
Martedì 19 maggio alle 18.30, a Milano presso lo Spazio Melampo (via Carlo Tenca 7) prima pubblica presentazione dei due volumi – La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore – pubblicati dall’editore Laurana: il primo a cura di Chicca Gagliardo, il secondo a cura di Gabriele Dadati. I due volumi prendono ispirazione dalle due rubriche pubblicate per diversi mesi in vibrisse, e intitolate appunto La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore.
Tag:Alberto Cristofori, Alessandra Sarchi, Alessandro Zaccuri, Antonella Bukovaz, Antonella Lattanzi, Carola Susani, Chandra Livia Candiani, Chicca Gagliardo, Claudia Priano, Demetrio Paolin, Elisa Ruotolo, Elisabetta Bucciarelli, Enrico Macioci, Federica Sgaggio, Federico Platania, Flavio Villani, Franca Mancinelli, Francesca Scotti, Franco Foschi, Gabriele Dadati, Giancarlo Onorato, Gilda Policastro, Giovanna Rosadini, Giovanni Battista Menzani, Giulio Mozzi, Giuseppe Caliceti, Grazia Verasani, Helena Janeczek, Isabella Leardini, Marco Rovelli, Maria Grazia Calandrone, Massimo Cassani, Paolo Di Paolo, Paolo Piccirillo, Raul Montanari, Rosella Postorino, Sandra Petrignani, Sandro Campani, Sara Loffredi, Silvia Montemurro, Simona Vinci, Simone Marcuzzi, Teresa Ciabatti, Tullio Avoledo, Valeria Parrella, Valerio Magrelli, Veronica Tomassini
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4 Maggio 2015
di giuliomozzi
Il 2014 è stato, per vibrisse, l’anno delle “formazioni”. Il 13 gennaio pubblicai la prima puntata della rubrica La formazione della scrittrice (l’ospite era Alessandra Sarchi). Gli scrittori arrivarono il 22 maggio (cominciò Valerio Magrelli). Sull’onda, ma con più incertezza, arrivarono le rubriche dedicate alle e agli insegnanti di Lettere e quella dedicata alle e agli insegnanti di scrittura creativa. Ma, sarà stata la naturale ritrosia di certe categorie, sarà stata la mia stanchezza, le due rubriche sono presto andate in pausa (ma perché non riprendere? Ora vediamo). Prosegue senza esitazioni, grazie alla disponibilità di Matteo Bussola che se n’è presa la gestione, la rubrica delle formazioni di fumettiste e fumettisti. In tutto, tra una rubrica e l’altra, sono finora più di un centinaio di articoli.
Dalle due rubriche dedicate alla formazione di scrittrici e scrittori sono nati due libri. Che, attenzione!, non coincidono con le rubriche. E’ andata più o meno così: Gabriele Dadati di Laurana mi disse quello che in realtà parecchi (a es. nei commenti agli articoli via via pubblicati) già avevano detto: “Qui un libro s’ha da fare; magari due”. Io potevo essere solo contento, ma poiché la vita umana ha dei limiti (la mia in particolare), non me la sentivo di prendermi il lavoro: perché un conto è una serie di articoli in vibrisse, un conto è un libro. Non bastava certo copincollare. Così proposi a Gabriele: “Facciamo due libri; non coincidenti con le rubriche; nei quali non ci siano necessariamente tutti i testi delle rubriche, e nei quali ci siano anche altri testi, nuovi; io non sono in grado di occuparmene; potresti occupartene tu, magari insieme a Chicca Gagliardo – che per quarantotto ragioni mi pare una persona adatta”. Gabriele accettò; e Chicca pure (grazie).
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Tag:Chicca Gagliardo, Gabriele Dadati
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15 gennaio 2015
di Rossella Monaco
[Chi volesse proporsi per la rubrica dedicata alla formazione dell’insegnante di scrittura creativa – che esce il giovedì – mi scriva, mettendo nell’oggetto il titolo della rubrica stessa. Ringrazio Rossella per la disponibilità. gm]
Ho ventotto anni appena compiuti e sono un “insegnante di scrittura creativa” da due. Ogni volta che salgo in cattedra non mi sento in grado di insegnare nulla. Mi ci ritrovo sempre un po’ per caso, spinta da tre tipi di necessità: far quadrare i conti, continuare un percorso che da un certo momento in poi è sembrato inevitabile, cercare di non disinammorarmi. All’inizio della mia strada ero piena di concetti ingenui sulla scrittura e il mondo editoriale.
Chi scrive si vergogna quasi sempre di ciò che ha creato e oggi guardando indietro alle mie prime prove, a dieci anni fa, mi chiedo cosa avrei prodotto se allora mi fossi trovata davanti me stessa, in un’aula o in una chat. Non sempre la risposta è confortante. Guardo i volti delle persone che partecipano ai miei corsi: le prime lezioni, ci vedo sconforto, sogni infranti, voglia di mettersi in gioco e di impressionarmi; alla fine, ci vedo consapevolezza. E questo mi dà energia. Paragono l’esperienza dei corsi, con ingenuità e anche un po’ di divertimento, ai miei nove anni, a quando la maestra ci salutò prima delle feste di Natale dicendoci che Babbo Natale non esisteva. Quello che seguì fu un misto di ammirazione e odio. Credo che gli iscritti provino questo nei miei confronti. L’ho capito guardandoli ma anche e soprattutto dai questionari di valutazione anonimi che sottopongo loro alla fine di ogni percorso didattico. Se c’è una cosa che ho imparato dai corsi di scrittura creativa, dai miei alunni, e da questo metodo di valutazione del mio lavoro, è che anche l’ultimo arrivato può insegnare molte cose. È per questo che ho preso coraggio e nonostante la scarsa esperienza, sono qui a raccontare il mio percorso. Funziona come in un circolo di alcolisti anonimi, credo: condividere aiuta me a focalizzare il percorso e spero possa servire ad altri, anche solo a intrattenere o a scatenare insulti o indifferenza, a piacere.
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1 dicembre 2014
di Alberto Cristofori
[Questo è il ventinovesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Ringrazio Alberto per la disponibilità. Il magazzino è vuoto, attendo i contributi di alcune persone che si sono impegnate ma hanno bisgono di tempo: la rubrica diventa irregolare. gm]
In principio c’erano i PIC: erano dei librini quadrati, illustrati, con le fiabe classiche (Biancaneve, Cenerentola, Cappuccetto Rosso…) ridotte ad uso dei bambini molto piccoli. Se non ricordo male costavano 50 lire. Mia madre me li leggeva e rileggeva, io li imparavo a memoria e poi facevo finta di leggere anch’io, seguendo col dito e suscitando l’ammirazione (ah! oh!: forse altrettanto finta) dei nonni in visita. Ma forse è vero che, a forza di studiarmeli, man mano che nascevano i miei fratelli e si riduceva il tempo materno a mia disposizione, qualche parola avevo imparato a decifrarla. Sicché, senza mai andare all’asilo, sono arrivato in prima elementare che in effetti, bene o male, leggevo.
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12 giugno 2014
di Gabriele Dadati
[Questo è il quarto articolo della serie La formazione dello scrittore (parallela a quella La formazione della scrittrice), che appare in vibrisse il giovedì. Ringrazio Gabriele per la disponibilità. Il prossimo ospite sarà Demetrio Paolin. gm]
Mia mamma insegnava italiano, storia e geografia alle medie. Ok, anche educazione civica, credo. E latino nei corsi pomeridiani. Io invece ero un bambino con addosso una fifa matta del buio, ed essendo l’unico maschio dopo due femmine avevo una stanza tutta per me. Che la notte, a luce spenta, mi riempiva di angoscia.
Per farmi addormentare mia madre si sedeva ai piedi del letto e attaccava a leggermi un libro. Per lo più si trattava dei libri di epica che le lasciavano in omaggio i rappresentanti degli editori di scolastica, quelli senza il talloncino nel retro di copertina che li denunciava quali “copie fuori commercio”, libri tra le cui pagine i miti degli dei e degli eroi erano messi in prosa, sottratti ai versi della tradizione e resi potabili per i ragazzini. Così le mie fiabe avevano come protagonisti Achille, Zeus, Atena, Poseidone, Ercole e via via tutti gli altri fino a Odisseo, naturalmente. E la mia infanzia finiva per coincidere con l’infanzia dell’Occidente, per così dire.
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11 giugno 2014
di Demetrio Paolin
Leggendo il nuovo libro di Gabriele Dadati Per rivedere te (Barney Edizioni) ho più volte pensato di trovarmi davanti non a un romanzo, ma a un libro di etnografia. Questi appunti brevi sono il tentativo di spiegarmi e di spiegarvi il motivo di questa mia convinzione
Se diamo retta alla dicitura di copertina Per rivedere te è sicuramente un romanzo, ma se decidiamo di addentrarci dentro le pagine della storia che Dadati ci racconta, qualcosa ci suona diverso. Intanto, però, cerchiamo di rendere conto della trama. Il protagonista, Gabriele Dadati – scrittore con all’attivo un libro di racconti pubblicato con un piccolo editore e in procinto di uscire con un romanzo storico con un editore importante – deve intervistare, per una collana di libri editi dal Corriere della Sera, Manlio Castoldi, anziano scrittore, tra i più importanti della sua generazione, che vive in Brianza dove ha ambientato tutte le sue storie. Durante queste sedute per la preparazione del romanzo, Gabriele conoscerà Tabita, nipote di Manlio, e tra di loro nascerà una storia d’amore.
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Tag:Demetrio Paolin, Gabriele Dadati, Guido Piovene
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14 aprile 2014
di Sara Loffredi
[Questo è il quattordicesimo articolo di una serie che spero lunga e interessante. Ringrazio Sara per la disponibilità. Chi volesse proporsi, mi scriva mettendo nell’oggetto le parole “La formazione della scrittrice”. La prossima settimana toccherà a Silvia Cassioli. gm]
Vengo da una famiglia fatta di posti diversi, distanti tra loro. Nasco a Milano trentacinque anni fa ma i miei genitori si spostano subito in Valle d’Aosta, dove vivono i parenti di mio padre, la nonna calabrese, il nonno romano, la bisnonna greca. Quando compio sei anni ci trasferiamo da mia madre, a Brescia, città dove trascorro tutti gli anni della scuola. Sono una brava bambina: le elementari dalle suore, le medie al conservatorio, il pianoforte al pomeriggio. Un giorno non reggo più e decido che non voglio fare il liceo: vuole essere una vendetta stupida verso chi non mi dà attenzione, si rivela la prima scelta autonoma di cui devo gestire le conseguenze. Frequento per cinque anni un istituto professionale per tecnico di laboratorio, mi affascinano le reazioni chimiche, una sostanza che ne diventa un’altra, terreni di coltura dove cresce ciò che non si vede. Non studio niente che abbia a che fare con la letteratura. Leggo molto, ma amo davvero solo ciò che mi fa paura: da Stephen King a Hoffman e Poe. Perdo del tempo? Non lo so. Vedo film, ascolto musica, leggo fumetti. In quegli anni imparo l’attesa e la sensazione che per me esista un altrove.
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Tag:Edgar Allan Poe, Ernst Hoffman, Gabriele Dadati, Gemma Trevisani, Marco Bencivenga, Marisa Strada, Michele Rossi, Stephen King
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