Posts Tagged ‘Franco Foschi’

Romanzi, atlanti

29 ottobre 2019

di giuliomozzi

Per capire che cos’è il libro Plotted: a literary atlas di Andrew DeGraff basta spendere due minuti e guardare il video qui sopra. In sostanza, contiene una serie di “mappe” di un mannello di capolavori della letteratura soprattutto anglosassone (eccezioni: Omero, Kafka, Borges). Libri che conosciamo tutti, da Moby-Dick ad Amleto passando per Orgoglio e pregiudizio e Le avventure di Huckleberry Finn. Ho messo tra virgolette la parola “mappe”, perché va intesa nel senso più largo: la “mappa” di Moby-Dick, per esempio, non riporta i viaggi della Pequod, ma illustra gli esterni e gli interni della nave e di un capodoglio; mentre la “mappa” di Amleto riporta fedelmente i movimenti di tutti i personaggi della tragedia all’interno del castello di Elsinore [e mi ha fatto venire in mente, senza possibilità di scampo, l’Amleto a fumetti di Gianni De Luca (disegni) e Raul Traverso (sceneggiatura)].

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Due passi nella materia oscura

19 ottobre 2018

di Franco Foschi

 

Chi, come il sottoscritto, legge narrativa con passione e attenzione da più di quarant’anni, sa che grossomodo la letteratura sceglie due grandi linee, per narrare storie: quella più realistica, sequenziale, dove invariabilmente 1+1 fa 2, e quella più svolazzante, dai margini ineffabili, che potremmo chiamare metafisica, o con una accezione più moderna ‘sperimentale’. Ovviamente ci sono fulgidi esempi di narratori capaci di smarginare con eleganza di qua e di là a seconda del bisogno (Kafka, Kundera, tanto per citare un paio di grandi campioni), ma più spesso l’editore e il lettore vogliono che il bianco sia bianco, e che il nero sia nero.

La letteratura sperimentale, dunque, non ha mai avuto vita facile, salvo qualche rara eccezione (i francesi del secolo scorso, da Roussel, uno dei capostipiti, poi Sarraute, Claude Simon tanto da arrivare persino al Nobel, Sollers, fino a Perec; in Italia un Savinio, un Landolfi, sono sempre stati ammirati incondizionatamente dai critici e premiati da editori di prestigio, ma hanno fatto storcere il naso al 90% dei lettori). Sarà che lo sperimentatore preferisce uscire dai sentieri segnati, perché è un ex-grege, sarà che gli strumenti che sceglie sono spesso ostici, diciamo che i conti in banca di chi ha scelto di lavorare sulla letteratura sperimentale non sono mai stati troppo pingui.

Però c’è un altro tipo di tesoretto che si può produrre, un tesoretto che non ha niente a che fare col Dow Jones o con il bilancino di precisione, e tantomeno con la grassa soddisfazione che produce la letteratura d’intrattenimento. E’ forse un tesoro che riguarda i felici pochi, ma è impagabile. Passa attraverso un sentiero meno facile (anzi, facilone) di tanti romanzi pop, passa attraverso le circonvoluzioni di chi per fortuna ancora le usa, invece di assorbire acriticamente, passa attraverso la ricerca delle emozioni in modo forse un po’ lambiccato, ma più solido e duraturo.

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“E allora alzatevi le gonnelle, signore, dacché si va all’inferno”

28 settembre 2017

Forse avete sentito parlare di questo libro, Più segreti degli angeli sono i suicidi, di Gian Marco Griffi. Forse non ne avete sentito parlare. Forse, se seguite vibrisse, avete letto la lettera appassionata che Franco Foschi – un mio vecchio amico, buono scrittore, formidabile lettore – gli ha rivolto qualche giorno fa. Forse, se seguite il sottoscritto in Facebook, vi ricorderete che sostenni come potei la sottoscrizione (l’editore, Bookabook, lavora col crowdfunding) affinché il libro fosse pubblicato.
Ora il libro c’è, può essere ordinato in libreria, può essere comperato in rete (sicuramente presso Bookabook o Ibs o Amazon). Vi invito a dare un’occhiata. Cliccando su Super Pippo potete prelevare una sostanziosa anteprima (sì, anche l’indice, che è comunque tutto da leggere). Buona lettura. (Ah: se volete capire perché ho messo Super Pippo, dovete leggere il libro). [gm]

“Più segreti degli angeli sono i suicidi”, di Gian Marco Griffi

14 settembre 2017

di Franco Foschi

[L’opera di Gian Marco Griffi intitolata Più segreti degli angeli sono i suicidi, pubblicata da Bookabook, sarà ufficialmente nelle librerie – o, quantomeno: ordinabile presso le librerie – da domani, 15 settembre 2017. A suo tempo mi spesi perché l’opera fosse pubblicata: ora desidero, veramente, che quante più persone la leggano. Qualche giorno fa ne ho regalata una copia a Franco Foschi, vecchio amico, buono scrittore, formidabile lettore: che mi ha incaricato di far avere a Gian Marco questa lettera. Col suo permesso la pubblico. gm].

Caro Griffi,

benedetto il giorno che Giulio Mozzi mi ha regalato il suo libro! Era da un pezzo che non ridevo così sguaiatamente, che non inorridivo così a fondo, che non arrivavo proprio all’ultimo passo prima dello scandalo, che non godevo dell’iconoclastia invece che della speranza.

Ho già una certa età, quella per intenderci in cui si passa da incendiari a pompieri, per cui da tempo mi sono adagiato su una lettura forse mai del tutto rassicurante, ma comunque sempre più tesa alla ricerca della ‘pregnanza’ che della lucida follia. Il suo romanzo atomico ha ribaltato e scombiccherato questa prospettiva, a favore del leggere come una scudisciata, e a sentirsi appena masochisti perché questa scudisciata ti piace…
Difficile dare una sistemata critica al suo menhir narrativo per cui, esattamente come lei saltabecca come le pare nella scrittura, io farò altrettanto nei pensieri, nelle annotazioni, nelle sbracate, nelle valutazioni. Il suo libro è barocco, eccesivo, indegno, moralissimo, feroce, tenero, laido, ributtante e affascinante. Le idee originali comico-sataniche sono talmente tante che chissà quante riuscirò a ricordarne…

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Il codice del dolore (e la consolazione del gioco)

12 luglio 2017

di Franco Foschi

[Franco è un amico, questo devo premetterlo. E’ uno scrittore bravo ed eclettico, in prosa e in versi, ed è un eccellente pediatra. E ha altre qualità morali, sulle quali qui sorvolo. Ha letto Fiction 2.0 e mi ha mandato questo. gm].

Quanti, tra coloro che scrivono, partono sin dall’inizio ponendosi un obiettivo alto? Quanti, tra questi, hanno la forza, le idee e quel filo di presunzione necessari?

La massima parte degli scrittori, sfogliandoli nelle librerie, mi pare abbia a che fare più che altro col mondo del commercio. L’altra fetta che mi sembra dominante è quella di chi scrive senza tanti perché. Infine, nella “torta” statistica, c’è quella strisciolina esigua, di solito dipinta con un colore intenso perché altrimenti sparirebbe, che appartiene agli scrittori con un perché. I quali con ogni probabilità rifiuterebbero questa nicchia, alcuni magari sarebbero pronti a schermirsi, altri a sostenere una leggerezza che poi i loro testi contraddicono, altri, forse la maggioranza, sceglierebbero il silenzio.

Mozzi ha il talento, la forza, le idee e quel pizzico di presunzione da appartenere agli scrittori con un perché. E che gran perché, nel suo caso. I racconti di questo Fiction 2.0, remake riveduto e corretto di un libro già uscito sedici anni fa, possiedono un piglio, una carica emotiva e una elettricità tali, soprattutto nella prima metà del libro, che ci prendono a spallate lasciandoci barcollanti, stupefatti, ma soprattutto pieni di domande. Il che è una caratteristica di ogni forma d’arte che meriti rispetto. Sì, perché gli argomenti di Mozzi non sono mai light, diciamo così dietetici (per l’anima, ovvio): il suicidio, la malattia della mente, il sesso anche patologico, il disamore, la frustrazione esistenziale… Argomenti che non possono che essere resi sulla pagina se non in maniera provocatoria, violenta: niente di consolatorio, quieto, quella letteratura che ti lascia lì tranquillo a crogiolarti nel nulla, nel vuoto, nello sterile riposo…

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“Maps of the Imagination: the Writer as Cartographer”, di Peter Turchi

24 settembre 2016

di Franco Foschi

[A volte succedono cose strane. Chiesi questa recensione a Franco Foschi ben due anni fa. Ieri, convinto di averla a suo tempo pubblicata, la cerco. Non la trovo. In effetti, non la pubblicai a suo tempo. Mi scuso con Franco].

peterturchi_mapsofimaginationCi sono dei libri che partono con dei presupposti arditi. Il libro di cui parleremo nelle pagine seguenti ne possiede uno apparentemente sconcertante, e cioè quello di assimilare il lavoro dello scrittore a quello del cartografo. Un gioco intellettuale, un paradosso per professori universitari, un bob bon per degustatori dello sfizio culturale?

A ben pensarci, la premessa teorica non è poi così forzata: se quando scriviamo pensiamo di andare in un luogo, e non di costruire qualcosa, ogni similitudine di questo libro appare chiara. Ma Peter Turchi si sforza di andare oltre. Le metafore non le cerca affatto, e quando accade soprattutto non le forza. Non si arrotola su testi o citazioni per rinvigorire il suo postulato. Non si arrocca in un linguaggio tecnico comprensibile solo ai felici pochi. No. Quel che fa è proprio tuffarsi in un gioco solare, sorridente, comunicativo e affabile, per dire tanto, raccontare, senza annoiare.

Ma veniamo al nucleo del suo argomentare. Le carte geografiche e la scrittura creativa, cos’hanno in comune? Sono, i loro linguaggi, in qualche modo sovrapponibili?

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Le “formazioni” a Milano (scrittrici e scrittori)

18 Maggio 2015
Clicca sulle copertine, leggi la scheda

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Martedì 19 maggio alle 18.30, a Milano presso lo Spazio Melampo (via Carlo Tenca 7) prima pubblica presentazione dei due volumi – La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore – pubblicati dall’editore Laurana: il primo a cura di Chicca Gagliardo, il secondo a cura di Gabriele Dadati. I due volumi prendono ispirazione dalle due rubriche pubblicate per diversi mesi in vibrisse, e intitolate appunto La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore.

La formazione dello scrittore, 22 / Franco Foschi

30 ottobre 2014

di Franco Foschi

[Questo è il ventiduesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice (che per qualche settimana sarà sospesa, mentre le “formazioni” degli scrittori usciranno sia il giovedì sia il lunedì). Ringrazio Franco per la disponibilità. gm]

franco_foschiSono stato un adolescente assai basic. Per me esistevano solo la pallacanestro, la pallacanestro e la pallacanestro. Dopo i 17 anni, la pallacanestro, la pallacanestro e la femmina. Poi, ovviamente, succede qualcosa affinché tu possa entrare nel mondo dei libri. Nel mio caso è stato un innamoramento. Per il compagno di liceo più cool, di un’affascinante bruttezza ma che mieteva vittime a tutto spiano nel mondo femminile, dotato di ironia debordante che utilizzava con acume più o meno sempre, di intelligenza sottile e brillante (era lui che prendeva sempre 10 nei temi di italiano, che di regola venivano letti a voce alta in classe e ci lasciavano tutti a bocca aperta), insomma, un culto laico nel quale era sin troppo facile cadere.
Chissà cosa vide lui, in me. Io che mi ritenevo molto normale, anzi di intelligenza modesta, di timidezza irrimediabile, di curiosità scadente. Sta di fatto che un giorno mi prese da parte, ‘basta con tutte quelle scemenze’ mi disse col suo sorrisetto faceto, riferendosi al mio adorato basket. Mi mise in mano Stevenson, Vonnegut, Nabokov, Gombrowicz, Frisch, Kraus, Cortàzar. Mi costrinse a leggere e leggere e, sorpresa, mi piaceva. Eppure il tutto finiva con un: “Embé? E io che ci faccio con ‘sta roba?”.
Poi l’altro evento che fu per me un vero shock. Al tema di maturità presi 10 anch’io, anzi solo io! Ma com’è possibile, pensavo, c’è stato un errore… Lui arrivò e mi disse bene, ora è il momento: dobbiamo scrivere un romanzo. In sostanza ero una specie di negro: lui mi dava un compitino da svolgere, poi leggeva, mi indicava le correzioni da fare, e via così. Nacque dunque Oh, americans!, il romanzo più divertente e più vuoto tra tutti i romanzi mai (fortunatamente) pubblicati. Lui sparava alto, ce ne andammo più volte a Milano, nelle case editrici, dove lui parlava parlava e io tacevo tacevo. Una famosa editor ci accolse cortese, disse che aveva pianto dal ridere al fuoco serrato di battute, ma che il romanzo non stava in piedi. E che se comunque avessimo prodotto altra roba, formalmente un po’ più corretta, lei era ben felice di leggerla e discuterne con noi. Niente male per due ventenni, di cui uno sfrenatamente ambizioso e narciso e uno timido e riservato!

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Corpo morto, corpo vivo, corpi inerti

14 dicembre 2009

di Franco Foschi

Questo scritto è lo scritto di uno scritto. Tratta di ciò che è stato suscitato da un altro scritto, quindi potrebbe essere vissuto come una specie di gatto stupido che si morde la coda. Io lo so che non è così. Perché quando si parla di qualcosa di cui (più) nessuno parla, c’è un che di giustizia interna, in questo – come nell’occuparsi di coloro dei quali nessuno si occupa.

Il libro

in questione è Corpo morto, corpo vivo di Giulio Mozzi. Che inizia in questo modo: «Io sottoscritto Giulio Mozzi, di anni cinquanta, scrittore di finzione…», eccetera eccetera. Che significa: «Ecco, io mi metto in piazza, e voi?».
Può una cosa del genere, quando tutto ciò che di solito nel mondo è messo in piazza è «i muscoli torniti del maschio, il corpo burroso della donna, oppure la disgrazia assortita, e magari qualche emergenza inventata», ebbene il mettersi in piazza non come figura pubblica, ma come impressionante, totalizzante sé – ebbene, ancora, tutto ciò può lasciare indifferenti?

Continua a leggere questo articolo in Il primo amore.

“La tragedia è un avvenimento quieto, senza sussulti”

7 giugno 2009

di Franco Foschi

Ora lo sappiamo: nelle incerte vite di tante persone dedite alla sopravvivenza quotidiana c’è una tragedia. Ma pur essendoci, in L’ubicazione del bene, il coro greco (la narrazione corale è intensa, e difficile da equilibrare – ma Giorgio Falco ci riesce), la tragedia è un avvenimento quieto, senza sussulti, più facile da ritrovare in un utensile arrugginito che negli urli spaventosi di una Medea.
Ecco, Falco si è dedicato alla tragedia non urlata dei nostri tempi con un piglio fermo tanto quanto malinconico.
In apparenza pare si tratti di narrazione oggettiva, scabra e lineare, priva di sussulti emotivi e quasi descrittiva, scientifica. Fredda, per intenderci. Poi il dramma immobile fa sentire il suo gelo, fa davvero rabbrividire e soffrire, perché chiarisce che anche la mediocrità può essere drammatica. Incontriamo ex-travet delle multinazionali che cercano di riciclarsi, fallendo, in attività lavorative indipendenti, incontriamo giovani coppie già ai ferri corti dopo pochi mesi di unione, incalliti solitari che guardano le vite attorno con gelida circospezione, e tutto, pur se in disfacimento, sembra sia preda di un tempo statico. Come quando dopo un tumulto si istituisce quella immobilità attiva che non fa muovere neppure la fiamma di una candela.

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