di Silvia Montemurro
[Questo è il quarto articolo di una serie che spero lunga e interessante. Per ragioni pratiche ho cominciato invitando a scrivere delle scrittrici amiche. Ringrazio Silvia per la disponibilità. Chi volesse proporsi, mi scriva mettendo nell’oggetto le parole “La formazione della scrittrice”. gm]
Se c’è una cosa che mi è stata subito chiara, fin da quando ho preso in mano una penna, è che nella vita avrei potuto fare tante cose ma nulla mi avrebbe procurato la stessa soddisfazione che mi dava scrivere una storia. Ho sempre scritto, da che mi ricordi, e ho sempre letto montagne di libri, alcuni di nascosto, quelli me li sono goduti ancora di più. Da piccola c’era questa voce, dentro la testa, che romanzava ogni singolo momento della vita, sia che fossi a scuola, sia che stessi mangiando, sia che qualcuno mi stesse parlando. “Ho un libro dentro la testa”, mi vantavo con l’amica del cuore “e qualsiasi frase tu mi dica verrà registrata lì”. Iniziai a tenere un diario alle elementari, e non smisi fino alla fine delle superiori. Li ho buttati quasi tutti, forse proprio per l’orrore di dovermi confrontare con un’esistenza “registrata”, dove gli eventi importanti venivano selezionati solo da me, e inevitabilmente storpiati, ingigantiti, modificati fino all’assurdo.