di Valter Binaghi
c6) L’autopoiesi del soggetto e la tecnica (homo faber- Homo sapiens)
L’opposizione tra l’Esistenza che è pensiero di un Essere inattingibile e il mondo che è ormai in balia dell’inarrestabile volontà di potenza dell’agire tecnico dispiegato (da quella stessa dualità metafisica inaugurata dal logos ellenico), in Heidegger aveva una sua sincerità. In effetti si trattava dell’esito ultimo di quella che abbiamo definito come una deriva gnostica della filosofia moderna che ovviamente non può essere la cura di se stessa: infatti si limita alla drammatizzazione dell’attesa di un evento salvifico nel Verbo che non può avvenire, semplicemente perchè è già avvenuto ed è stato respinto (“Le Tenebre non l’hanno ricevuta”, scrive il Vangelo di Giovanni), ossia l’Incarnazione. Il Basso Impero dell’epoca è rappresentato dall’era attuale, quella degli epigoni francesi e italiani del vate della Foresta Nera, che coi cascami di quel pensiero si sono guadagnati un posto da corsivisti sui quotidiani nazionali o la partecipazione in qualità di relatori fissi in quelle ridicole rassegne cui si dà il nome fin troppo indicativo di “Festival della Filosofia”. Ovviamente, all’uno e agli altri è possibile indossare le vesti del profeta di sventura o addirittura dell’annunciatore messianico, solo perchè ci si rifiuta di concepire pensiero e tecnica nella loro relazione polare, ostinandosi a farne l’uno la contraddizione dell’altro, come la logica dell’identità parmenidea aveva imposto ab origine.