[Questo è il ventinovesimo articolo della serie La formazione della scrittrice (esce il lunedì), alla quale si è ora affiancata la serie La formazione dello scrittore (esce il giovedì). Ringrazio Maria Giovanna per la disponibilità. Con questo articolo la rubrica va in vacanza: riprenderà lunedì 1 settembre 2014. gm].
Ho sempre rifiutato l’idea di fare analizzare il mio Dna per cercare chissà quale predisposizione alle malattie, trovo che non sia una buona idea. Sono però sicura di avere ereditato il gene dei lettori fortissimi: avevo due anni e mi dannavo per capire cosa significassero le lettere che vedevo sui libri, sui giornali, sulle insegne dei negozi. Mia madre trovava antipatici i bambini precoci quindi mi aiutava sì e no, mio nonno segretamente sogghignava: avrei imparato a leggere prima del tempo. E a tre anni l’esordio: lessi “Farmacia” mentre con mia madre e la nonna passavo in auto da qualche parte. E mia madre ad affannarsi: “Ma no, è un caso, ha solo associato il tipo di negozio a una parola”. Fu costretta a ricredersi: avevo davvero imparato a leggere.
Dalla lettura alla scrittura il passaggio fu immediato: ciò che si può leggere si può anche scrivere, avevo capito come funzionava. Nacque la bambina più odiata dell’asilo, correggevo con voce querula le doppie e le acca ai compagni che, ancora incerti, scrivevano alla lavagna: solo mio fratello Filippo mi ignorava, scelse un’altra sezione per evitare di farsi vedere troppo insieme a me.
La libreria dei miei era varia e nessuno controllava cosa leggessi. L’edizione integrale de I promessi sposi a cinque anni e il trattato di patologia di mio padre, i periodici che arrivavano fuori data e stropicciati dall’ambulatorio dopo che decine di mani li avevano sfogliati: qualsiasi lettura andava bene, mi piaceva tutto. La paura di volare e la fissazione per le stragi familiari arriva da quei giornali: più una storia era drammatica più mi immedesimavo. Potrei raccontarvi la vita di Carolina di Monaco da quando era in collegio in poi, ricordo tutto. Una zia mi regalava i libri adatti alle bambine: leggevo anche quelli ma la trama era troppo facile. Indovinavo e non c’era gusto.