Posts Tagged ‘Federico Platania’
30 settembre 2016
di giuliomozzi
1. Tempo fa commisi l’errore di procurarmi un libro che s’intitolava più o meno La letteratura cattolica nel Novecento. Dico “più o meno” perché l’ho poi dato via, e non mi torna in mente il nome dell’autore. L’ho dato via perché in quel libro si identificava la “letteratura cattolica” con (a) narrazioni in prosa, romanzi o racconti, aventi per protagonisti preti o suore; (b) componimenti poetici assimilabili al genere letterario della preghiera. La prima proposta, dunque, è: fare della letteratura cattolica che, se in prosa, non consista di narrazioni aventi per protagonisti preti o suore; se in versi, non consista di componimenti assimilabili al genere letterario della preghiera.
2. Nel 1999 Giovanni Paolo II scrisse una Lettera agli artisti. Vi si parla di arti figurative, di architettura, di musica, di poesia, di teatro, fors’anche di giocoleria e di pirotecnica, ma di romanzi no. I romanzieri, insomma, per la massima autorità dell’organizzazione ecclesiastica cattolica, non esistono. D’altra parte, mi ricordo, più o meno in quel periodo ebbi occasione, dopo la registrazione di un programma di Sat2000, di fare due chiacchiere con il cardinal Paul Poupard, allora presidente del Consiglio pontificio per la cultura: e Poupard mi disse che l’ultimo romanzo che lo aveva veramente colpito era il Diario di un curato di campagna di George Bernanos: un romanzo (molto bello, per carità) con protagonista un prete, per l’appunto, e comunque del 1936. La seconda proposta, dunque, è mandare romanzi in omaggio al papa e ai cardinali. Chissà, magari leggono. (Ve lo vedete, Bergoglio che ogni sera, a letto, prima di spegnere la luce, si legge un capitolo di Infinite Jest? Io sì).
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15 ottobre 2015

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11.
L’ascolto è attenzione, non è apprendimento; l’ascolto è testimonianza di quello che accade in quanto suono, non è conoscenza di quello che accade mediante il suono.
(Franco Donatoni, «Antecedente X»)
Baronian capì che con Elena non avrebbe funzionato la sera stessa in cui la conobbe. Eppure si innamorò subito di quella donna con la stessa forza con cui gli fu chiaro il futuro di dolore che stava allestendo con le sue stesse mani. Erano passati quasi due anni ormai.
Quel pomeriggio a Baronian era saltato un appuntamento di lavoro, ma considerando che doveva vedersi con un altro cliente in serata preferì non tornare nel suo studio. Passeggiava per via della Conciliazione cercando un’occupazione qualunque per passare un po’ di tempo in attesa del prossimo appuntamento. Era una giornata di novembre, fredda e luminosissima. In quel periodo Baronian aveva a che fare con lo spettro di una bambina che si presentava a lui con le fattezze di Amelia Earhart. Era tanto che non provava una simpatia simile nei confronti delle sue apparizioni. Quasi gli dispiaceva che entro breve tempo anche quel fantasma sarebbe stato inghiottito nuovamente dal mistero con il quale aveva imparato a convivere fin da adolescente. Amelia Earhart gli appariva sempre in piena luce, stagliando contro il cielo azzurro la sua sagoma imbottita di pelle. Da tempo ormai Baronian aveva smesso di aver paura dei fantasmi e comunque quell’apparizione con gli occhi vispi e la cuffia da aviatore con i grossi occhiali sul capo non comunicava altro che simpatia. Baronian pensò di infilarsi in una libreria, poi fu attirato da una locandina accanto all’entrata del piccolo Auditorium.
Musica spettrale.
Incontro–ricerca su Gérard Grisey.
Sembrava qualcosa che potesse interessarlo. Fantasmi che suonano. Voci dall’aldilà. Non sapeva chi fosse Grisey, ma quel nome lo incuriosiva. Entrò in sala quando l’incontro stava per cominciare. Trovò posto accanto a una donna che si voltò appena per guardarlo sedersi. Le luci erano basse e Baronian non riuscì a distinguere bene i lineamenti di quel volto che da quella sera in poi avrebbe amato. Sul palco c’era un lungo tavolo dove stavano prendendo posto tre relatori. Alle loro spalle un telo su cui, verosimilmente, avrebbero presto proiettato qualcosa. Ai lati due drappi neri davano grande severità a tutto l’ambiente. Grisey. Grisaglia. Gramaglie.
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8 ottobre 2015

9.
Gli unici altri due clienti nel ristorante erano un uomo e una donna molto anziani. Baronian, dal suo tavolo, vedeva l’uomo solo di spalle mentre la donna era impegnata a raccontare qualcosa, con un’aria molto concentrata. Quello che doveva essere il proprietario del locale passava spesso al loro tavolo scambiando parole soprattutto con la donna mentre l’uomo si limitava a sollevare le spalle di tanto in tanto, lentamente. Lee Harvey Oswald. Finalmente Baronian si era ricordato di chi era il volto dell’uomo che gli era apparso quella mattina tra il gruppo dei manifestanti di fronte alla Sebastiani. Ecco il nuovo fantasma americano con il quale avrebbe avuto a che fare nei prossimi mesi. – Gnocchi con gli asparagi –, disse il cameriere porgendo il piatto a Baronian.
Baronian chiuse il laptop che aveva tenuto aperto a fianco a sé fino a quel momento, più per abitudine che per vera necessità. Stava ricontrollando gli appunti che aveva preso nel corso della giornata intervistando i quadri della Bragadin. Aveva una serie di powerpoint preimpostati. Con un lavoro di un paio d’ore si potevano tirare fuori report di sintesi in grado di stupire il cliente. Individuare soluzioni, prospettare sviluppi, evidenziare punti deboli. Tutte cose che il cliente sapeva già, a meno che non fosse proprio uno sprovveduto, ma che, confermate dal superconsulente, acquistavano un brillante carattere di urgenza. Il nulla al quadrato. Baronian cercò di ricordare senza successo il nome della commissione presidenziale che aveva indicato in Lee Harvey Oswald l’unico colpevole dell’omicidio di John Fitzgerald Kennedy.
A distogliere Baronian dal piatto di gnocchi che aveva davanti fu la voce della donna, quando disse: – Potrebbe chiudere per favore? –. La porta della trattoria era aperta e la mano sulla maniglia era quella della ragazza con la felpa color vinaccia che Baronian aveva incontrato quella mattina. L’unica persona che sembrava non averlo preso per pazzo quando diceva al fantasma con la faccia di Oswald di scansarsi per lasciarlo passare. La ragazza incrociò lo sguardo dell’uomo e chiudendosi la porta alle spalle si incamminò velocemente verso di lui.
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1 ottobre 2015

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6.
Dopo le prime volte, Baronian aveva individuato una via dietro casa di Coronari dove era sempre facile trovare parcheggio. Andare a casa di Coronari. La cosa continuava a sembrargli strana. A stupirlo era il contrasto tra i temi di cui avrebbero parlato e lo scenario casalingo in cui si sarebbe svolta la conversazione. Scatole di soldatini e costruzioni rovesciate sul pavimento, profumo di sugo dalla cucina, alterazioni dello stato psichico, trance e spiritismo. Perché proprio a lui era toccata una simile anomalia? Perché non poteva passare il suo tempo libero, come gli altri professionisti che conosceva, a parlare del nuovo modello di Blackberry o del modo più conveniente per sfruttare le miglia di Alitalia?
Baronian citofonò. La piastra di metallo gracchiò per un secondo poi si sentì la voce di Clara.
– Sì? –.
– Sono Baronian. Scusa, non ho avvertito che passavo. Se vuoi… –.
– Sali sali –.
Baronian fece le due rampe a piedi. La porta si aprì senza che dovesse suonare il campanello. Dietro, con il braccio allungato e la mano chiusa sulla maniglia troppo alta per lui, c’era Tommaso.
– Ciao –, disse Baronian.
– Ciao –, rispose il bambino senza guardare l’altro negli occhi.
Da dietro arrivò subito Clara.
– Ciao Alessio, scusa se non ti do la mano ma sto cucinando –, disse mostrando le mani bagnate.
– No, scusate voi – disse Baronian – passavo di qui e sono passato senza telefonare prima –.
– Non ti preoccupare. Orazio è nel suo studio. Vai pure –.
Baronian fece un cenno di assenso e lasciò l’ingresso. Il piccolo Tommaso tornò nel salone a far guerreggiare tra loro modellini di astronavi mentre dalla televisione arrivavano le note della sigla di un qualche programma di intrattenimento.
Baronian si fece strada lungo il breve corridoio fino ad arrivare alla stanza dove Orazio Coronari aveva messo su il suo piccolo studio. La faccia di Coronari brillava d’azzurro. Quando Baronian entrò nella stanza, Coronari abbassò lo schermo del portatile e la sua faccia tornò del solito colore.
– Tò, il nostro medium a stelle e strisce – disse Coronari vedendo entrare Baronian – chi ti è apparso stavolta? Abramo Lincoln? –.
– Spiritoso. Che stavi guardando al computer? –.
Coronari si accomodò meglio sulla sua poltroncina girevole. – Niente –, disse.
– Ti conosco – disse Baronian appoggiandosi al bordo della scrivania – hai la faccia di un filatelico a cui una vecchietta che stava sgomberando l’appartamento ha regalato un Treskilling giallo senza sapere quanto vale –.
Coronari rise. – Sai – disse – tu ce l’hai davvero il sesto senso. Sei capitato qui, per caso, proprio oggi che ho messo le mani su un pezzo incredibile. Guarda qui –. Lo schermo del portatile, di nuovo aperto, mostrò il frammento di una pagina in PDF. Coronari scorse velocemente il documento verso l’alto fino all’intestazione.
– Armageddon Scenario –, lesse Baronian, – che roba è? –.
– Materiale CIA della migliore annata. Metà anni Settanta. Fa parte dei documenti desecretati di recente. Hai presente il progetto Stargate? –.
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24 settembre 2015

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4.
Quando collassò su se stesso il colossale serbatoio della Sebastiani conteneva oltre sette milioni di litri di melassa. Il liquido bruno, separato dallo zucchero di canna per centrifugazione, veniva conservato nel serbatoio in attesa di essere distillato in alcol industriale. Uno dei principali clienti degli zuccherifici Sebastiani era una ditta che acquistava grossi quantitativi di alcol industriale per produrre fulminato di mercurio, acetone e cordite, componenti utilizzati per esplosivi e polveri infumi. Quel 12 marzo del 2007, quando la struttura del serbatoio aveva ceduto, la produzione era ferma da alcuni giorni. Gli operai della linea di distillazione erano in assemblea permanente per costringere il management della Sebastiani a dare loro una risposta chiara sulle sorti dell’azienda. Erano vere le voci che parlavano dell’outsourcing di alcuni settori dello zuccherificio? Era vero che la linea di distillazione avrebbe chiuso e alcune decine di operai sarebbero stati messi in mobilità? Era vero che un imprenditore straniero era interessato a rilevare alcuni settori della Sebastiani senza dare però alcuna garanzia occupazionale al personale già in forza?
Quella del marzo del 2007 non era stata l’unica protesta del personale. Nei mesi precedenti i ritmi di produzione avevano altalenato spesso e il gigantesco serbatoio di melassa si riempiva in modo discontinuo. La melassa calda, appena fuoriuscita dai condotti collegati agli impianti di centrifugazione, si riversava all’interno del serbatoio mischiandosi a quella del rimbocco precedente, ormai già fredda e densa, dando vita a una poltiglia spumosa che vibrava contro le pareti del serbatoio. La reazione innescata dalla miscela di melassa a due diverse temperature comportava fermentazione e produzione di gas. In un serbatoio pieno il gas aumenta la pressione che preme contro le pareti. Nulla che non sia noto ai chimici e agli ingegneri che progettano gli impianti di distillazione e centrifugazione degli zuccheri. Quello che i chimici e gli ingegneri non potevano sapere era che il colossale serbatoio della Sebastiani, che quel 12 marzo del 2007 era colmo fino all’orlo, non veniva manutenuto da tempo e che i test di tenuta della struttura erano stati condotti in modo superficiale.
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17 settembre 2015

Parte Prima
L’ARCHIMANDRITA
S. Girolamo dice: «Se il diavolo e i demoni scorrazzano in tutto il mondo e sono presenti ovunque con incredibile velocità, perché i martiri, che hanno profuso il loro sangue, dovrebbero rimanere tappati nel loro sepolcro senza poterne uscire?». Dal quale argomento si può concludere che non soltanto i buoni, ma anche i cattivi escano talvolta dalle loro dimore, in quanto la loro dannazione non è più grande di quella dei demoni, i quali scorrazzano ovunque.
(Summa Theologiae, 69, 3)
Meglio sarebbe se fossero loro, i morti, ad evocare noi.
(Eugenio Baroncelli, «Mosche d’inverno»)
1.
Quello sarebbe stato l’anno in cui tutti avrebbero conosciuto la verità. Vito Manuppello raggiunse velocemente il marciapiedi opposto dopo aver attivato l’antifurto della sua automobile con il telecomando appeso alle chiavi. Un cane randagio lo seguì per qualche metro, poi cambiò direzione. Manuppello ricordava di aver letto una statistica sui randagi: ogni tre minuti viene abbandonato un cane, venti ogni ora, quattrocento al giorno. Gli erano sembrati numeri gonfiati. La città avrebbe dovuto brulicare di meticci con il pelo sporco. Spinse il pulsante per chiamare l’ascensore. Le porte si aprirono immediatamente. Erano le nove e trenta del mattino. Manuppello strizzò la lingua contro il palato per sentire l’ultimo amaro del caffè bevuto prima di salire in automobile. Solo nell’ultimo anno, si erano verificati 800 incidenti stradali per evitare la morte di un animale randagio e ben 8.000 causati dall’urto contro di essi. I numeri, il potere persuasivo dei numeri. La riunione con Baronian era fissata per le dieci.
Manuppello arrivò al piano dove si trovava la sede della Perfect Way, la piccola società di consulenza che aveva avviato cinque anni prima. L’ultimo powerpoint con cui si presentava ai clienti insisteva molto su quel dato. Cinque anni. Un battito d’ali nella storia dell’uomo, un valore di cui andare fieri per una start up ormai consolidata nel settore delle consulenze. Turnaround, cambiamento, le aziende avevano paura. Sentivano tutte l’urgenza di rinnovare i manager, rivedere i processi, snellire le funzioni. In realtà a Manuppello sembrava che il mondo del lavoro fosse sempre uguale a se stesso, non riusciva a vedere una corrispondenza tra i titoli dei giornali che strillavano numeri sulla riduzione dei consumi e quanto ascoltava ogni giorno negli incontri con i clienti, nella sua vita di sempre. Commesse, progetti, fatture.
Manuppello aveva visto Baronian solo una volta, in precedenza. Un semplice incontro conoscitivo, tra i tanti che venivano fatti per valutare le società con cui avviare progetti in partnership. Quel giorno, quando Baronian si era presentato, Manuppello aveva chiesto incuriosito di che origine fosse quel cognome. – Armenia – aveva risposto Baronian – è un cognome di origine armena!–. La frase si era conclusa su una nota in maggiore. Baronian aveva sorriso appena, con gli occhi sbarrati, come per studiare l’effetto della sue parole sull’interlocutore. – È lo stesso cognome dell’archimandrita di Bucarest!–, aveva aggiunto poi. Manuppello non conosceva il significato della parola “archimandrita”, ma per un’associazione di idee, la cui correttezza non aveva pensato poi a verificare, gli erano apparse nella mente le cupole a cipolla delle chiese russe e immagini confuse di uomini dalle lunghe barbe.
Baronian gli aveva fatto un’ottima impressione e l’incontro si era concluso in modo diverso da quello che Manuppello si aspettava: nessun progetto in partnership, bensì l’acquisto di una consulenza dalla Phoenix, la società di Baronian. – Noi siamo i consulenti dei consulenti – aveva detto Baronian – il metasistema che descrive il sistema–. Filosofia del linguaggio, strutture complesse. Sul biglietto da visita di Baronian c’era disegnato un uccello avvolto dalle fiamme.
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18 Maggio 2015

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Martedì 19 maggio alle 18.30, a Milano presso lo Spazio Melampo (via Carlo Tenca 7) prima pubblica presentazione dei due volumi – La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore – pubblicati dall’editore Laurana: il primo a cura di Chicca Gagliardo, il secondo a cura di Gabriele Dadati. I due volumi prendono ispirazione dalle due rubriche pubblicate per diversi mesi in vibrisse, e intitolate appunto La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore.
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20 novembre 2014
di Federico Platania
[Questo è il ventiseiesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Le due serie escono, ormai un po’ come viene viene, il lunedì e il giovedì. Ringrazio Federico per la disponibilità. gm]
La formazione del non-lettore
Tutti i miei compagni di scuola avevano la tv a colori. Io no. La mia casa era piena di statue. Nessuno dei miei compagni di scuola poteva dire altrettanto.
Credo che la mia relazione con la cultura sia stata segnata da questa diversità che io ho sempre vissuto con orgoglio. Mio nonno, Pasquale Platania, era uno scultore (ero il nipote di uno scultore!). La mia casa era piena di libri (quanti? sicuramente più di quanti ne vedevo nelle case dei miei compagni di scuola). A otto anni ero affascinato dall’atmosfera del salotto di casa mia con tutte quelle statue, quei libri e quel vecchio televisore dove mi rassegnavo a vedere Jeeg Robot D’Acciaio in bianco e nero.
Così affascinato che l’idea di prendere uno di quei libri per leggerlo non mi ha mai sfiorato. Per anni.
Ricordo però quel pomeriggio in cui mio padre, dopo aver preso un volume da uno scaffale, mi disse: vedi questo libro? Pensa che ci sono persone, anche molto intelligenti, che non sono riuscite a finirlo.
Quel libro era l’Ulisse di Joyce. Ecco. Se oggi sono un “lettore forte” è perché quel giorno mio padre (il quale, per paradosso, faceva parte di quel gruppo di lettori che non è riuscito a finire l’Ulisse) mi ha indicato una vetta da scalare, un traguardo da raggiungere. Sono stato folgorato sulla via della letteratura non grazie alla promessa di un piacere, bensì alla prospettiva di una difficoltà.
Dieci anni dopo sono sulla scalinata esterna dell’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma. Ho quella copia dell’Ulisse tra le mani. E non mi sembra vero. Mi sento come uno scalatore che dopo una serie di ferrate in montagna giunga finalmente al giorno in cui è pronto per affrontare l’Everest.
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18 novembre 2013
di Luigi Preziosi
Un’umanità disorientata, avara di disponibilità all’ascolto ed incapace di immaginare condizioni esistenziali diverse dalle proprie, esitante, perfino nelle persone più disponibili all’esplorazione dell’altro, nella ricerca di qualche cosa di comune per cui sia possibile sognare un’aggregazione solidale, popola l’ultimo romanzo di Federico Platania, Il Dio che fa la mia vendetta (Gallucci, € 15,00). Su di essa pare aleggiare una colpa collettiva, che non sminuisce certo le responsabilità individuali, individuate del resto con chirurgica accuratezza; rende, invece, plausibile lo smarrimento dei singoli, che, posti improvvisamente di fronte ad una vicenda drammatica, ne sono in buona parte, anche se in diversa misura, travolti. Tutto ha inizio con l’incidente stradale, nel quale Ivan, giovane dal passato turbolento, di ritorno da una festa investe con l’auto un uomo e lo uccide. Dell’omicidio è testimone Tommaso, che decide di non palesarsi per cogliere l’occasione di mettere in atto un suo sciagurato piano di riscatto. Nell’episodio intravede una possibilità di rivincita verso una sorte che da tempo gli si accanisce contro, costringendolo dentro un’esistenza rattrappita, compressa tra la penosa assistenza prestata alla madre invalida, un lavoro oscuro ed una totale assenza di relazioni personali. La sua vendetta contro il destino si dovrebbe consumare rivelando in via anonima ai familiari della vittima l’identità del pirata, figura in sé squallida ma che, nell’immaginazione deviata di Tommaso, possiede tutto ciò che questi desidera essere, ancor più di tutto ciò che desidera avere, per indurli a farsi giustizia da sé.
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24 settembre 2013
di Demetrio Paolin
Mi è capitato di leggere due romanzi molto diversi tra di loro, che mi hanno riportato a rivedere e approfondire le tesi che avevo sostenuto in questo articolo di un anno fa a proposito del romanzo cattolico. I libri in questione sono Il Dio che fa la mia vendetta (Gallucci Editore) di Federico Platania e Gesù. Un racconto sempre nuovo (Piemme) di Davide Rondoni.
I due testi sono interessanti proprio perché si può individuare in loro quella doppia tendenza del cosiddetto romanzo cattolico, che evidenziavo in quello scritto: ovvero da una parte il tentativo di ri-scrittura delle Scritture e dall’altra la possibilità di calare il credo della fede cattolica nel tempo presente e di vedere in che modo reagisce.
Provo a dire qualcosa di più sui libri. (Piccola avvertenza come sempre questi sono appunti, e come tali sono bisognosi di integrazioni e altro; anche essi come altri pubblicati su vibrisse e non solo sono parte di una riflessione più ampia che vorrei prima o poi mettere a fuoco).
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Tag:Davide Rondoni, Federico Platania
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10 febbraio 2013
Ma se un cattolico si mette a scrivere libri di narrativa è ragionevole definirlo, senza troppi giri di parole, scrittore cattolico? E i romanzi di uno scrittore cattolico – ammesso che questa definizione abbia un senso – sono automaticamente romanzi cattolici? Esiste davvero qualcosa, nella storia della letteratura fino ai giorni nostri, che possa essere definito romanzo cattolico? E quando uno scrittore cattolico scrive, si chiede se quello che sta scrivendo è cattolico oppure no?
Federico Platania si è fatto queste domande. E, per trovare una risposta, le ha rivolte a un po’ d’altre persone: tra le quali il Giulio Mozzi.
Ti riconosci nella definizione di “scrittore cattolico” e più in generale cosa pensi di questa classificazione?
Faccio fatica a riconoscermi nella definizione: “scrittore”. Indubbiamente sono uno che nella sua vita, tra tante altre cose, racconta storie per iscritto. Quanto al resto, indubbiamente sono cristiano cattolico; e quindi, in determinati contesti, ha senso che io venga chiamato “scrittore cattolico”, così come in determinati contesti ha senso, ad esempio, dire di un calciatore che è un ”calciatore fascista”, o di un impiegato che è un “impiegato iscritto alla Federcaccia”. […]
Continua a leggere l’intervista nel blog di Federico Platania.
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18 luglio 2012
di Federico Platania
Se io fossi Giulio Mozzi, di due raccolte ne farei una. La felicità terrena e Il male naturale – uscite in prima edizione rispettivamente per Einaudi nel 1996 e per Mondadori nel 1998 e ora ripubblicate entrambe da Laurana tra l’anno scorso e quest’anno – sono raccolte nate quasi contemporaneamente e poi germogliate lungo due intenzioni distinte. Semplificando potremmo dire: il bene e il male. Ma sarebbe una semplificazione, appunto, tanto che all’epoca ci fu qualche disorientamento critico su dove collocare questo Mozzi: pulp o buonista?
Nessuno dei due, per come la vedo io. […]
Leggi tutto l’articolo di Federico Platania su La felicità terrena (apparso nel blog dello stesso Platania nel maggio scorso, ma me ne sono accorto solo ora).
Tag:Federico Platania
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22 luglio 2011
di Federico Platania
La notizia è di quelle piccole piccole (e tra l’altro ne andrebbe verificata l’autenticità) ma a me sembra comunque utile per fare una riflessione. A quanto pare, in un cinema di Stamford (Connecticut) è apparso un curioso avviso alla clientela.
L’avviso dice, più o meno: “Gentili clienti, vi ricordiamo che The tree of life è un film d’autore, visionario e profondamente filosofico. La trama non segue un approccio narrativo lineare e tradizionale. Vi consigliamo di documentarvi sul film prima di scegliere di vederlo e vi ricordiamo comunque che questo cinema non prevede il rimborso del biglietto” (Una riproduzione dell’avviso completo, in inglese, si trova alla fine di questo post).
Continua a leggere nel blog di Federico Platania.
Tag:Federico Platania, Terence Malik
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8 marzo 2011
di Federico Platania
[…] Ma il cuore di questa raccolta sta secondo me altrove: Un male personale, Splatter (breve) e Super nivem. In questi tre racconti il narratore che percorre le storie fa una cosa rarissima, se non unica (almeno limitandosi alla narrativa italiana contemporanea): sostiene di essere colpevole e desidera essere punito. Questa scelta inusuale apre delle possibilità nuove: in altre parole, questo libro racconta qualcosa che nessuno (almeno limitandosi alla… eccetera) aveva ancora raccontato. So che quest’ultima affermazione non è dimostrabile. La dico in un altro modo: Il male naturale ha raccontato a me qualcosa che nessuno (almeno… eccetera) aveva ancora raccontato. Dal momento che esiste una “pattuglia di giovani scrittori” (sempre qui) che lo considera un modello di riferimento posso pensare che l’eccezionalità costituita da questo libro, pur se non oggettivamente dimostrabile, sia vera. […]
Leggi tutto l’articolo nel blog di Federico Platania.
Tag:Federico Platania
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21 settembre 2010
Come entrate, voi, in mare? Siete di quelli che si lasciano sommergere gradualmente, allontanandosi lentamente dalla riva e bagnandosi nel frattempo le braccia, la testa, la pancia? Oppure correte, trattenete il fiato e vi tuffate in un lampo? E poco importa se l’acqua è gelida: ormai ci siete dentro. Sappiate allora che se leggerete Sangue di cane, il romanzo d’esordio di Veronica Tomassini da poco uscito per le neonate edizioni Laurana, sarà così che verrete sommersi dalle parole. Una volta dentro, come direbbe Céline, dentro fino al collo.
Leggi tutto l’articolo di Federico Platania.
Tutto su Veronica Tomassini.
Tag:Federico Platania, Veronica Tomassini
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