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La formazione del fumettista, 13 / Andrea Cascioli

3 febbraio 2015

di Andrea Cascioli

[Questa è la tredicesima puntata della rubrica del martedì, dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Andrea per la disponibilità. gm].

Andrea_CascioliMi contatta Matteo Bussola.
Dice che vorrebbe un mio scritto, mi manda un link perché veda di che si tratta.
Sostanzialmente mi chiede di dire cosa è importante in questo lavoro, ovvero cosa è importante PER ME.
La forma mentis, è importante.
Non sentirsi bravi, è importante.
La narrazione, è importante.
Un fumettista, come uno sceneggiatore, come un regista, come un attore, è al servizio della storia.
Non dell’Arte, non dell’applauso, non del proprio ego; della storia da raccontare.
Non ci sarebbe bisogno di scrivere altro, il mio intervento potrebbe finire qui.
Bussola però non sarebbe contento di questo ermetismo, e poi Fabio Celoni ha scritto molto di più.
Ti credo, Fabio Celoni è molto più bravo di me.
Ho imparato moltissimo guardando certi suoi disegni.
Ecco, per esempio, se io fossi convinto di essere più bravo degli altri non riuscirei ad imparare da loro.
Avere una certa consapevolezza circa i propri limiti è un trucco per migliorarsi.
La certezza matematica di essere perfettibile non è un legame, è una fionda, ti catapulta in uno stato di perenne capacità d’apprendimento.
Ti lancia lontano, dove da solo non saresti arrivato.
È la gioia di imparare da tutto e da tutti.
I presuntuosi, poveretti, non ce l’hanno, e continuano a dibattersi in una pozzanghera autoreferenziale ripetendosi a gran voce “io sono un Artista, non vengo abbastanza apprezzato”.
In questo modo non crescono, si nutrono del loro stesso sapere e di nient’altro.
Il mondo dei fumetti ne è pieno.
Anche senza fumetti, il mondo ne è pieno.

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La formazione del fumettista, 6 / Fabio Celoni

2 dicembre 2014

di Fabio Celoni

[Questa è la sesta puntata della rubrica dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti, che esce in vibrisse il martedì. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Fabio per la disponibilità].

La formazione del fumettista.
Parlacene.
La prima immagine che sfolgora è quella di campi-scuola per kamikaze, passaggi terribili con le ginocchia nel fango e il kalashnikov serrato tra le mani, urla di sottomissione all’idea e sveglie massacranti in albe tumide di pioggia, nella giungla malese.
L’immagine non è del tutto falsa, ci tengo a precisare.
Bisogna anche considerare che facendo questo mestiere si può vagamente tendere a reinventare la realtà, per ciò che questo può voler dire (“realtà”, intendo). Un po’ come il meraviglioso protagonista del burtoniano “Big Fish”, che non era affatto un misero raccontafrottole, come una superficiale osservazione potrebbe suggerire, ma un vero demiurgo in grado di plasmare la creta della vita, per dargli nuova forma, e s’intende nuova vita. Così dovrebbe valere all’infinito, almeno finché esisteranno i poeti e gli artisti.
Ma i fumettisti, dicevamo.
Vorrei, per una volta, tentare di parlare di tutto ciò che sta fuori dalla tecnica, e dal suo apprendimento.
La tecnica è necessaria, fondamentale, per potersi esprimere con una determinata efficacia, è un megafono per dar voce al proprio respiro, ma se ci si domanda se sia più importante l’amplificatore o ciò che viene amplificato, ecco, non credo ci sia nemmeno bisogno di dare una risposta.
La tecnica si apprende studiando, a scuola, e nel lavoro di tutti i giorni. Sì, perché non esiste un giorno in cui puoi dire davvero di aver capito tutto, rimane un apprendimento costante, senza meta. Che potrebbe pure essere frustrante, se non fosse una ricerca continua di tesori, cosa di cui ci si può dimenticare ogni tanto. Così si possono fare dei passi, anche dei tratti di corsa, ma il traguardo, quello è meglio lasciarlo ai radiocronisti (sempre che non sopraggiungano complicazioni, tipo che decidi di ritirarti dalla maratona).
Dunque non parlerò della formazione scolastica, seppure sia stata importante, anzi fondamentale, nel farmi apprendere i rudimenti tecnici, e nel farmi confrontare l’inesperienza assoluta con la classe dei disegnatori “veri”, quando – bambino di tredici anni – varcai le porte della Scuola del Fumetto di Milano, il sancta sanctorum dove venni “iniziato” a questa curiosa disciplina.
Non parlerò nemmeno dei primi passi nel mondo del lavoro, delle delusioni, delle porte chiuse e di quelle aperte, dei traguardi e delle nuove corse.
Tenterò piuttosto di andare indietro con la memoria, alla scintilla iniziale, a quello strano Big Bang psichico o spirituale, nella ricerca del ricordo di quel che mi spinse a iniziare a camminare.
Su questa strada piuttosto che su un’altra.

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