Valter Binaghi, Sullo stato del comune sentire
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Tre pezzi difficili, 3 (esortazioni)
6 luglio 2013Tre pezzi difficili, 2 (esortazioni)
6 luglio 2013Valter Binaghi, L’insonne
Che cos’hai, non ti senti bene? –
Mi affretto a rassicurarla, prima che si svegli del tutto: – No, niente. Solo non riesco a dormire – Si gira dall’altra parte con un: – Ah. – moderatamente partecipe.
L’insonne non è un solitario per vocazione, ma non necessariamente è angosciato dall’incombenza di fare da testimone all’altrui serenità. Guardare la tua donna dormire, può essere anche un’esperienza tonificante, quando a poco a poco il suo volto si rilascia nella tranquilla fiducia infantile che a te è preclusa. E se si agita, se qualche immagine onirica perturba la piega delle sue labbra, puoi allungare il braccio, carezzarle la schiena, in un gesto di pura prossimità animale che blandisce i capricci del sangue e scioglie l’intrico di rovi in cui si è impigliato il sognatore.
Quanto all’insonne, se restare immobile per più di due ore risulterà intollerabile (d’altra parte lei ha il sonno leggero, e non puoi svegliarla in continuazione), potrà sempre trovare rifugio sul terrazzo, almeno d’estate, dove una sdraio e un posacenere lo attendono complici, per la quasi quotidiana rivisitazione dei propri appunti di psicologia spicciola.
Tre pezzi difficili, 1 (esortazioni)
5 luglio 2013Valter Binaghi, Lettera all’amico miscredente
La prima volta che ti ho incontrato eri uno scolaro sporco e malvestito, l’abominio della maestra di terza elementare, quello che graffiava le pagine col pennino spuntato e regolarmente prendeva due in calligrafia. Te ne fottevi del bello scrivere, e succhiavi castagne secche fregate al cartolaio: mentre col mio sussiego di bravo figlio d’impiegati ti mettevo in guardia dalle spaventose reprimende della zitella, allargavi il tuo sorriso sgangherato:
– Dagli una spanna di cazzo e vedrai come si calma –
E così grazie, amico, per avere una prima volta sgomberato l’altare dall’idolo.
Nessun Dio nel candore pastorizzato della pagina di scuola, ma solo addestramento all’obbedienza, e il castigo dei sensi che mimava la virtù.
Ti ho incontrato più tardi, all’angolo della strada, mentre allungavi circospetto una banconota al ragazzino, a venti passi dalla farmacia: – Alcol a 95 gradi. Capito? Di che è per tua mamma, per fare il nocino – A te, nessuno nel paese serviva più nemmeno un bicchierino: eri il barbiere rovinato dal delirium che ha fatto uno sbrego alla guancia paffuta dell’assessore, ubriacone con un piede nella fossa, strafelice di esplodere nell’alto dei cieli come un’inutile cometa, obbrobrio del borghese che amministra i suoi giorni.
E così grazie ancora, per avermi insegnato che siamo figli del lusso e dello spreco: nessun Dio nella partita doppia, nell’economia pelosa dei buoni propositi, nel programma fariseo che affetta il paradiso giorno per giorno senza lacrime e senza gioia: solo uno sbirro cosmico a guardia di quei loro sudati risparmi.
E di nuovo sei venuto sulla mia strada, a scardinare le premesse di un’educazione scientifica mentre imparavo i segreti del motore e dell’accelerazione che ha nome Progresso: eri un bidello che masticava bestemmie, smerciavi panini al salame sottocosto agli studenti alla faccia dell’azienda incaricata dal Consiglio d’Istituto, e ogni giorno deridevi i miei sforzi: – Bella cosa la macchina, e il concerto dei pistoni, e le ruote come mandibole affamate di strada, ma chi guida? – dicevi – chi è che schiaccia il pedale, e decide dove si deve andare? Questa, caro mio, è la scienza che qui ti si nasconde! –
E di nuovo grazie, per avere infranto con una sassata lo specchio mentitore: nessun Dio nell’algido silenzio dei laboratori, nè davanti alle lenti del cannocchiale di Galileo, solo volontà di dominio, e lavori forzati per la natura stuprata.