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Come sono fatti certi libri, 8 / “Terra matta”, di Vincenzo Rabito

28 luglio 2017

di Emanuela Carbonelli

[In questa rubrica vorrei pubblicare descrizioni, anche sommarie, di libri che – al di là della storia che raccontano o del tipo di scrittura – presentano una “forma” un po’ particolare, o magari bizzarra. Che cosa io intenda qui per “forma” risulterà, credo, evidente. Se altri volessero contribuire, si facciano vivi in privato (giuliomozzi@gmail.com).]

[Articolo riveduto].

Di Vincenzo Rabito e del suo unico “libro” autobiografico, Terra matta, credo che pochi sappiano e abbiano letto. Rabito, bracciante agricolo siciliano semianalfabeta (pare conquistasse la scrittura a trentacinque anni), fu “ragazzo del ’99” e morì nel 1981 dopo aver caparbiamente scritto, dal 1968 al 1975, le sue memorie. L’incontro con la sua autobiografia fu, per me, casuale: rovistavo nel mare magnum di internet alla ricerca di scritture con punti di vista “dal basso”, per conto di un amico che insegnava in carcere e s’ingegnava a trovare percorsi didattici che in un qualche modo catturassero l’attenzione degli studenti, problematici e con pochi strumenti culturali, ai quali doveva insegnare. L’argomento concerneva gli avvenimenti storici del novecento e io avevo in testa Il mondo dei vinti di Nuto Revelli, ma l’amico era (è) siciliano, gli studenti erano perlopiù siciliani, il carcere è un carcere della Sicilia, l’input doveva essere siciliano.

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