Posts Tagged ‘Enrico Macioci’
30 dicembre 2016
di Enrico Macioci
Che libro bizzarro e originale La truffa come una delle belle arti (Aliberti editore, 2016) di Gianluca Barbera! Un po’ romanzo e un po’ saggio filosofico, un po’ Don Chisciotte e un po’ Candido, con incursioni storiche e puntate, rapide ma acute, nel campo della filosofia, della psicologia, della sociologia.
Ciò che anzitutto colpisce è la padronanza culturale dell’autore, capace di muoversi disinvolto fra i diversi saperi e di scioglierli con naturalezza nel fluido della narrazione. La quale si occupa della dinastia catanese dei Lopiccolo, dal lontano 1842 fino ai giorni nostri. A parlare è l’ultimo discendente della schiatta, Carl Peter, oramai vecchio e malato; Carl si rivolge a un certo signor Ricci, che lo sta intervistando per redigere una biografia su di lui, in uscita presso un importante editore italiano. Il dialogo – in realtà un monologo di Lopiccolo, che di tanto in tanto gira al signor Ricci qualche domanda o esclamazione – si sviluppa nella stanza di un ospedale di Rio de Janeiro. Da Catania, dove all’inizio del libro si muove il bisnonno di Carl, fino a Rio dove il medesimo Carl langue, l’epopea familiare è costellata di spostamenti innumerevoli, quasi impossibili da ricostruire nella loro capricciosità, occasionalità e casualità. Barbera li snocciola con un piacere narrativo evidente, che si trasmette subito al lettore, una sorta di febbre giocosa. L’extravaganza, la deviazione, la parentesi, il racconto nel racconto costituiscono la cifra stilistica di Barbera, assieme a un lessico terso e a una sintassi che non “gratta” mai. Divertenti e preziosi inoltre gli innesti dialettali, a mezzo fra il romanesco e il siciliano.
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Tag:Enrico Macioci, Gianluca Barbera
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8 dicembre 2016
di Enrico Macioci
Merenda da Hadelman (Aliberti, 2016) di Nicola Manuppelli, è un libro dal ritmo e dal timbro americani, e tuttavia non risulta per nulla artificioso o finto. Manuppelli, eccellente traduttore di Andre Dubus, Charles Baxter, Sara Taylor e numerosi altri autori irlandesi e statunitensi, ha affinato il proprio naturale talento di cantastorie alla scuola dei grandi maestri anglosassoni. Il risultato è quest’opera asciutta ma lirica, breve ma pregna, rapida ma esaustiva; un’opera compiuta senza che si avverta lo sforzo del compimento.
Hadelman, un ex poliziotto che prende in gestione un locale allo scopo di proteggere la ragazza che lavora nell’agenzia dall’altra parte della strada, si trova presto invischiato in una storia a tinte fosche. Il romanzo, che parte quasi allegro, assume man mano i contorni del noir, con picchi di violenza e di tensione che Manuppelli gestisce bene, senza scadere nell’effettaccio e senza indulgere nel patetico. I personaggi sono pochi e delineati con cura, e così gli ambienti. Sembra di osservare un quadro di Edward Hopper: interni precisi e scolpiti, esterni rarefatti e ostili. Il bar di Hadelman in particolare funge da centro geografico ed emotivo della vicenda: “Una caffetteria, un pub, una tavola calda sono contenitori di storie. In fondo, è ciò di cui in parte siamo fatti e di cui abbiamo bisogno. Storie che ci intrattengano e che non abbiano altri fini se non quello di cullarci nella nostra ricerca di qualcosa – la felicità, il bisogno di fuggire, l’ambizione, la semplice allegria – un po’ come i racconti che ci stupivano da bambini.” Intorno al perno del bar si muovono Hadelman, i suoi amici e i suoi nemici; il locale, un po’ come accade in certe serie tv (pensiamo a Happy Days, girato tutto fra casa Cunningham e il bar Arnold’s), risulta talmente familiare che si ha l’impressione di entrarci, sedersi al bancone e prendere un caffè o una fetta di torta, scambiando quattro chiacchiere col gestore.
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Tag:Enrico Macioci, Nicola Manuppelli
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5 ottobre 2016
di Enrico Macioci
Dunque Elena Ferrante sarebbe Anita Raja. Che cambia? Nulla, a mio avviso. Ho letto L’amore molesto, I giorni dell’abbandono, La figlia oscura e il volume che apre la tetralogia de L’amica geniale; ho trovato i primi due libri piuttosto contorti, il terzo bello e il quarto una perfetta, coinvolgente macchina narrativa. Non ho mai pensato al fatto di non conoscere l’identità dell’autrice dei testi, né mentre li leggevo né dopo; tutt’al più talora mi domandavo se davvero vi si celasse un uomo. La questione è dibattuta e delicata: esiste un modo di scrivere maschile ed uno femminile? Io non posseggo risposte, però a naso mi pareva che quei libri appartenessero alla sensibilità di una donna. E comunque: finché un romanzo mi piace (o non mi piace), chi l’ha concepito può essere uomo o donna, vivo o morto o moribondo; la biografia dell’autore/autrice non aggiunge e non sottrae un’oncia al godimento estetico. Debbo precisare che le biografie degli artisti mi appassionano; amo frugare nei loro segreti, nelle loro pene, nei loro squallori; ma tengo sempre distanti testo e persona. I dati biografici risultano utili ai fini d’un più preciso inquadramento, la sociologia e la psicologia ci soccorrono; ma non possono rappresentare il perno di un’analisi degna. Di William Shakespeare, forse il più grande scrittore di sempre, sappiamo pochissimo; fu davvero l’umile figlio d’un guantaio o non invece, come riteneva Freud, un nobile d’alto lignaggio? Fu magari Cristopher Marlowe sotto mentite spoglie, che tentava di sfuggire agli agguati politici del tempo? Fu addirittura un certo Crollalanza, siciliano migrato in Inghilterra? Non lo sappiamo, non lo sapremo mai e nemmeno c’interessa quando ci immergiamo nell’Amleto, nel Re Lear o ne La tempesta; allora conta solo la voce flautata che, traversando i secoli, ammalia il nostro orecchio.
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Tag:Arthur Rimbaud, Christopher Marlowe, Don DeLillo, Elena Ferrante, Enrico Macioci, Enrique Vila-Matas, Henry Roth, J.D. Salinger, Paul Verlaine, Philip Roth, Sigmond Freud, Thomas Pynchon, William Shakespeare
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27 gennaio 2016

Due scrittori a confronto
di Enrico Macioci
[Enrico Macioci (vedi qui la sua “storia di formazione”) ha pubblicato: Terremoto, Terre di mezzo 2010 (vedi); La dissoluzione familiare, Indiana 2012 (vedi); Breve storia del talento, Mondadori 2015].
Tempo fa postai su Facebook, per gioco ma nemmeno troppo, una frase in cui Cormac McCarthy disprezzava Marcel Proust, e aggiunsi di ritenere il francese inferiore a Dostoevskij: valanga di commenti, educati ma accalorati. Proust rappresenta oggi una delle poche figure letterarie davvero indiscutibili, un totem, un imperativo categorico, per tanti addetti ai lavori “il più grande scrittore di ogni tempo.” Ciò è indice, credo, di un’epoca oramai del tutto mondana e secolare; ma non è questo il punto.
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26 ottobre 2015
di Enrico Macioci
[Continua il “convegno online” dedicato a Mario Pomilio].

Mario Pomilio
Che cos’è
Il quinto evangelio di Mario Pomilio? Alla domanda si può rispondere in almeno due maniere.
Anzitutto consideriamo l’oggetto narrativo. Pomilio lo pubblicò dopo prove quali L’uccello nella cupola, Il testimone, Il nuovo corso, Il cimitero cinese, e dopo un lungo blocco durante cui stese saggi e riflessioni e maturò risposte profonde alla sua crisi di uomo e scrittore, allestendo l’officina e forgiandosi gli strumenti per edificare il capolavoro. Veniva da un decennio di stasi creativa che lo portò ai confini del silenzio, e Il quinto evangelio rappresentò la svolta attraverso cui ribaltare le difficoltà in risorse e l’afonia in una diversa, più potente voce. Accade abbastanza spesso, del resto, che un autore consacri il proprio genio attraverso un solo, grande libro – pensiamo a Dante, a Melville, a Musil; è anche il caso di Pomilio.
Il quinto evangelio venne pubblicato nel 1975 (lo stesso anno in cui uscì Horcynus Orca di D’Arrigo), dunque in pieno postmoderno; tuttavia esso riassume, forse più di qualsiasi altro testo narrativo in Italia e in Europa, la migliore essenza postmodernista per poi scavalcarla. Si tratta cioè di un’opera aperta, metatestuale, labirintica, autoriflessiva, debordante, ramificata, potenzialmente infinita; è l’opera di un autore assai consapevole; è colta; ama gli intrighi; mette e si mette in scena; è insomma un’opera intelligente, che richiede al lettore una collaborazione attiva e quasi una co-creazione. Ciò che invece manca di postmoderno – mancanza che non stona e anzi aggiunge merito a Pomilio – sono l’ironia e il disincanto che finiranno per divorare parecchi scrittori a venire, determinando la deriva nichilista che Foster Wallace, già nella seconda metà degli anni ’90, denunciò con toni piuttosto allarmistici. Non si può scherzare (per) sempre, e Pomilio nel suo romanzo non scherza. Del resto Il quinto evangelio parla della questione delle questioni, la questione che per brevità potremmo chiamare del Libro. Quale prova più ustionante per uno scrittore?
Qualche titolo, in breve.
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24 ottobre 2015
di Demetrio Paolin

Mario Pomilio
Più o meno a maggio di quest’anno avevo tra le mani la copia della nuova edizione del
Quinto Evangelio (L’orma editore, 2015) di Mario Pomilio; nella mia libreria facevano mostra di sé la ristampa de
Il nuovo corso (Hacca, 2014) e di
Scritti cristiani (Vita e pensiero, 2014). E mentre ero indeciso su come scrivere, qui in
vibrisse, mi è capitato di leggere un’affermazione di Giulio Mozzi sul suo profilo di facebook che diceva più o meno che il
Quinto Evangelio era il più bel romanzo italiano del dopoguerra. Alla sua affermazione mi venne solo da dire: Dio mio, sì! Giulio ha ragione.
La letteratura, sappiamo, non è una classifica di calcio, ma spesso è utile cercare di stabilire un qualche ordine di grandezza, cercando – in parole povere – di fornire una sorta di canone dei testi. E sicuramente il romanzo di Pomilio, ma sarebbe meglio dire la sua opera, dovrebbe essere contemplato al suo interno. In realtà, però, dell’autore abruzzese si è parlato poco o niente, relegandolo al ruolo marginale nell’economia della nostra storia letteraria.
Per questo motivo in quel giorno ho pensato di scrivere una breve mail a tre amici, scrittori e lettori forti dell’opera pomilana, dicendo loro che volevo provare a costruire sul Quinto Evangelio e sull’opera di Pomilio non una semplice recensione o saggio ragionato, ma qualcosa di più.
Gli amici in questione erano Giulio Mozzi, Alessandro Zaccuri e Gabriele Dadati e il qualcosa in più che avevo pensato e immaginato è quello che leggerete nei prossimi giorni qui sul sito di vibrisse ovvero una sorta di convegno on line dal titolo Il ritorno di Mario Pomilio, romanziere europeo, in cui scrittori, critici, teologi e giornalisti sono stati chiamati a scrivere un loro contributo.
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Tag:Alessandro Manzoni, Alessandro Zaccuri, Andrea Caterini, Andrea Ponso, Donatella Trotta, Emanuele Trevi, Emmanuel Carrère, Enrico Macioci, Gabriele Dadati, Gabriele Frasca, Gabriele Prisco, Giulio Mozzi, Giuseppe Lupo, Italo Calvino, Mario De Santis, Mario Pomilio, Melissa Minò, Mirko Volpi, Pier Paolo Pasolini, Renato Minore, Sandro Campani, Simone Gambacorta, Tommaso Ottonieri
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29 luglio 2015
di Enrico Macioci
[Intervento tratto dal libro Se incontri Giulio Mozzi per la strada uccidilo].
Enrico Macioci ha pubblicato: Terremoto, Terre di Mezzo 2010; La dissoluzione familiare, Indiana 2012; Breve storia del talento, Mondadori 2015.

Preleva gratis il libro
Naturalmente il problema con Giulio Mozzi è sempre consistito nella voce, che lui ha bassa e fioca, il rantolo d’un fiumiciattolo che scorre lento tra grigi sassi sotto la calura estiva metallica solida canicolare agostana.
I maestri in genere non parlano così, posseggono voci piene e autoritarie o magari soffici e suadenti, voci che ti spingono a guardare la vita con occhi diversi, occhi che non sapevi di possedere e che d’improvviso t’aprono il cuore in due ali dorate, e il tuo cuore spicca il volo e se ne va chissà dove per il vasto mondo; oppure i maestri, se parlano piano, parlano talmente piano da tacere, come certi saggi hindu o zen, o come certi mistici che vivono negli eremi o nei tronchi d’albero, senza nutrirsi e nemmeno bere se non qualche fresca goccia di rugiada; ma Giulio Mozzi non è hindu né zen né mistico, Giulio Mozzi è un cattolico che parla, e io sospetto che dica quasi sempre cose interessanti, che la sua acutezza quasi mai lo lasci cadere nell’ovvio. Solo che io ho sempre compreso – specie al telefono ma anche di persona, e nonostante enormi sforzi auricolari e di concentrazione e attenzione, sforzi capaci di prostrarmi per il buon quarto d’ora successivo – io ho sempre compreso non più del trenta per cento dei suoi discorsi, ragion per cui non so quantificare realmente Giulio Mozzi, né tantomeno definirlo un maestro. Come possiamo considerare maestro qualcuno che non comprendiamo? Che letteralmente ci sfugge? Che il nostro udito non riesce a trattenere?
Certo, i maestri delle grandi tradizioni spirituali (Gesù, Buddha, Maometto eccetera) mostrano spesso lati incomprensibili, oscuri e ambigui, ma Giulio Mozzi non è affatto un maestro spirituale, e ciò per almeno due motivi:
● è un uomo pratico, d’una concretezza a fin di bene ma direi ruvida, tipo pietra pomice o lingua di gatto
● è un uomo che odia tirar su allievi
Il punto numero due sembrerebbe contestare l’indefessa attività d’insegnante di tecniche di narrazione che Giulio Mozzi svolge su e giù per lo stivale da oramai oltre vent’anni, ma si tratta di un’ipotesi fallace: per verificarlo basta iscriversi a un suo corso o lavorare con lui in una qualsivoglia attività, apprendere da lui una serie di cose e poi manifestare gratitudine nei suoi riguardi. Lo ripeto, Giulio Mozzi è un uomo concreto, e dunque sa farsi assai ben capire.
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Tag:Enrico Macioci
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21 luglio 2015
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18 Maggio 2015

Clicca sulle copertine, leggi la scheda
Martedì 19 maggio alle 18.30, a Milano presso lo Spazio Melampo (via Carlo Tenca 7) prima pubblica presentazione dei due volumi – La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore – pubblicati dall’editore Laurana: il primo a cura di Chicca Gagliardo, il secondo a cura di Gabriele Dadati. I due volumi prendono ispirazione dalle due rubriche pubblicate per diversi mesi in vibrisse, e intitolate appunto La formazione della scrittrice e La formazione dello scrittore.
Tag:Alberto Cristofori, Alessandra Sarchi, Alessandro Zaccuri, Antonella Bukovaz, Antonella Lattanzi, Carola Susani, Chandra Livia Candiani, Chicca Gagliardo, Claudia Priano, Demetrio Paolin, Elisa Ruotolo, Elisabetta Bucciarelli, Enrico Macioci, Federica Sgaggio, Federico Platania, Flavio Villani, Franca Mancinelli, Francesca Scotti, Franco Foschi, Gabriele Dadati, Giancarlo Onorato, Gilda Policastro, Giovanna Rosadini, Giovanni Battista Menzani, Giulio Mozzi, Giuseppe Caliceti, Grazia Verasani, Helena Janeczek, Isabella Leardini, Marco Rovelli, Maria Grazia Calandrone, Massimo Cassani, Paolo Di Paolo, Paolo Piccirillo, Raul Montanari, Rosella Postorino, Sandra Petrignani, Sandro Campani, Sara Loffredi, Silvia Montemurro, Simona Vinci, Simone Marcuzzi, Teresa Ciabatti, Tullio Avoledo, Valeria Parrella, Valerio Magrelli, Veronica Tomassini
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11 febbraio 2013
Conversazione tra Luca Cristiano e Enrico Macioci.
[…]Macioci: Ti dirò che adesso mi viene in mente uno scrittore remoto da King, ovvero Von Hofmannsthal e la sua Lettera di Lord Chandos, altro testo in cui l’atto dello scrivere è sottoposto a critica acutissima. Hofmannsthal, che è poeta prodigiosamente precoce, a 26 anni sente che le parole, anche se usate benissimo come fa lui, equivalgono a funghi muffiti, non sono in grado di rendere neppure alla lontana la complessità del reale. E qui ci risiamo non solo con la questione del realismo ma anche con Wallace, che aveva la pretesa di scrivere TUTTO su TUTTO, e io sospetto che questa pretesa, evidente in Infinite Jest, l’abbia in un certo senso stroncato (non mi sto riferendo direttamente al suicidio, bensì a una postura esistenziale e scritturale). Poi, dopo la pubblicazione della Lettera, Hofmannsthal diventa scrittore di teatro e librettista di Strauss, con buoni risultati di critica e pubblico, ma molla la poesia, molla il suo autentico daimon. È uno di quelli che Vila-Matas definisce scrittori del No nel magnifico libro Bartleby e compagnia.[…]
Leggi tutta la conversazione in Il primo amore.
Tag:Enrico Macioci, Luca Cristiano
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22 Maggio 2012
di Eleonora Zucchi
Viene da chiedersi: La dissoluzione familiare di Enrico Macioci (Indiana, 331 pp, 24,50 €) è un romanzo? La domanda sembra il titolo di un quadro di Magritte, visto che sulla copertina, sotto l’immagine di un libro apparentemente privo di parole ma consunto ai margini come se fosse stato letto, compare la scritta Romanzo, come a dissolvere un dubbio legittimo e prevedibile.
È proprio il concatenarsi continuo di ambiguità semantiche e metaletterarie che permette all’autore di giocare con il lettore proponendo innumerevoli “exercices de style”, narrazioni contenute in altre narrazioni che suggeriscono divertenti regressioni all’infinito, elenchi borgesiani in cui le categorie che tengono insieme gli elementi sono prive di qualsiasi criterio intellegibile e la cui lunghezza non può che suscitare una sincera risata, come a chiedersi: “Ma veramente la lista continua per due pagine?”. E tuttavia, da questo proliferare barocco di testo, quasi indipendente da qualsiasi principio di unità e utilità, deriva un’opera interessante, stimolante e divertente, che invita a non perdersi neanche un rigo di questa singolare scrittura fatta di un apparato fittissimo di note, disegni, poesie e spazi vuoti. Il testo si sviluppa come l’infiorescenza di un arbusto infestante, che si estende dove può, senza preoccuparsi di rispettare alcuna gerarchia testuale come quella che esiste fra narrazione e note, tra trama e digressioni, fra personaggi principali e secondari, fra l’oggetto di una descrizione e i suoi minimi particolari.
Continua a leggere in Doppiozero l’articolo di Eleonora Zucchi.
In vibrisse si possono leggere alcuni (i primi) capitoli de La dissoluzione familiare, nella redazione precedente l’editing: Nascita, Don Sisma e il vomito umano, Di cos’hai paura?, Il principe e l’incubatrice, L’intervista, I signori Tenebra, Sylvanus esorcizza il grande scandalo; e inoltre una riflessione dell’autore, Enrico Macioci, proprio sull’editing (vedi), con un estratto del testo (illustrato) definitivo.
Tag:Elonora Zucchi, Enrico Macioci
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18 marzo 2012
di Alessandro Beretta
[Questo articolo è apparso oggi in La lettura, supplemento del Corriere della sera. gm]
La nascita del Principino Poppy Bank può essere una svolta per l’umanità nei territori traumatizzati dalla Grande Scossa. A provarlo, l’attrazione naturale che spinge tutti i personaggi del romanzo La dissoluzione familiare ad avvicinarsi al neonato nel terrificante Ospedale della Sacra Frattura, luogo dalla geografia incerta e dalla crudeltà tentacolare. Ci sono il padre Ham Bank, lo zio Sylvanus, la temibile Lady Tenebra, il metafisico Don Sisma e l’Onni, dittatore televisivo. Sono solo alcuni de tanti personaggi che Enrico Macioci coinvolge nel suo romanzo, favola grottesca e allegorica dietro cui pulsa il ricordo del terremoto in Abruzzo.
L’autore, nato nell’Aquila nel 1975, ha già trattato il tema realisticamente nella sua prima raccolta di racconti Terremoto (Terre di mezzo, 2010) e qui vi torna, accompagnato nell’editing da Giulio Mozzi, con taglio surreale e simbolico. Una strada poeticamente inerpicata che affronta in una triplice battaglia: stilistica, tra periodare lungo, ripetizioni, elencazioni, allitterazioni; strutturale, tra capitoli di forme diverse e note che fanno “all’incirca mezzo libro”; e, infine, di temi. Ma argomenti come la società anestetizzata dai media, la famiglia da dissolvere e le false promesse di ricostruzione, faticano a coagulare. A picchi brillanti, si alternano momenti paludosi in cui l’originalità spinta della scrittura si affossa in eccessi di speculazione. Ne esce un libro frammentario, come frammentario è il piacere di leggerlo, ma coraggioso e fuori dal coro.
Tag:Alessandro Beretta, Enrico Macioci
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11 gennaio 2011
di Enrico Macioci
[Di che si tratta. * Personaggi, ambientazioni, tempi. * Questo capitolo in Pdf.]
[Ricordo che, essendo questo romanzo assai folto di note, si è provveduto a una doppia impaginazione. Nel Pdf scaricabile le note sono, come nei libri, in calce alle pagine; nel post qui sotto le note, per praticità, sono inframmezzate al testo nel loro luogo d’inserimento, e scritte in corpo minore. gm]
Sylvanus non sentì di tradire il proprio nome né la propria ultraventennale vocazione silvestre quando s’incamminò in direzione della Città.
Un piccione
Sylvanus, come S. Francesco d’Assisi, gode d’un canale preferenziale con gli animali. Comunica con uccelli, mammiferi e persino rettili. Spesso lo hanno veduto conversare amabilmente con serpenti o lucertole o gechi, e finanche con un caimano affamato e di pessimo umore con le fauci ancora sanguinanti e i brandelli dell’ultima vittima a pendergli a brani bordeaux fra un dente e l’altro. Pur vivendo da due decenni nei boschi più selvaggi, nessun lupo e nessun orso ha mai fatto alcun male a Sylvanus. Non riesce invece a intendersi bene con gli insetti ragion per cui, colto da improvvise crisi di rabbia, ne fa strage spiaccicandoli fra le ampie palme. Dopo ognuna di queste stragi Sylvanus cade in depressioni così fonde che riesce a espiare solo tramite massacranti scioperi della fame e della sete, i quali hanno finito di forgiargli un fisico già straordinariamente forte. Egli riceve le comunicazioni più importanti da un grosso piccione bianco con gli occhiali senza lenti in montatura d’acciaio e il becco dipinto di rosso, chiamato Concorde. Nessuno sa chi distribuisca i messaggi a Concorde, né Concorde si è mai degnato di fornire delucidazioni al riguardo. Stavolta sul bigliettino legato al collo di Concorde con un elegante fiocchetto beige c’era scritto: E’ NATO STOP. E’ SANO STOP. SI CHIAMA POPPY STOP. VIENI? STOP. NON VIENI? STOP. FAI COME CAZZO TI PARE STOP. ANXIETY STOP.
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Tag:Enrico Macioci
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10 gennaio 2011
di Enrico Macioci
[Di che si tratta. * Personaggi, ambientazioni, tempi. * Questo capitolo in Pdf.]
[Ricordo che, essendo questo romanzo assai folto di note, si è provveduto a una doppia impaginazione. Nel Pdf scaricabile le note sono, come nei libri, in calce alle pagine; nel post qui sotto le note, per praticità, sono inframmezzate al testo nel loro luogo d’inserimento, e scritte in corpo minore. gm]
Lord e Lady Tenebra escono dal garage della loro villa a bordo del Suv MegaMaster 6000 di cilindrata
Si tratta d’un modello unico, progettato e costruito appositamente per Lord Tenebra, grande appassionato di motori. E’ un gigantesco Suv nero a sette porte con parabrezza, lunotto e finestrini antiproiettile e antimitragliatrice e antimissile, ruote con carroarmato capace di frantumare chiodi e pietre le più acuminate, e fari in grado d’illuminare (con l’opzione abbaglianti) a dieci chilometri di distanza e persino attraverso le montagne sia calcaree che renose. Dispone inoltre d’anti-nebbia perforanti, che smuovono masse d’aria spazzando via la bruma e al contempo gettando un abbacinante raggio bianco. Lord Tenebra coltiva la discutibile abitudine di tenere gli abbaglianti e gli anti-nebbia sempre in funzione, cosicché provoca disastrosi incidenti accecando gli automobilisti sopraggiungenti dalla direzione opposta (le retine dei malcapitati vengono bruciate all’istante, per cui il verbo “accecare” è usato qui nella sua accezione letterale). Gli automobilisti che non sono morti nell’impatto con un muro o un albero sono quindi rimasti privi della vista. Lord Tenebra non è stato mai incriminato perché è una sorta d’oscuro boss simil-mafioso e para-governativo, a capo d’una cosca denominata Col Suv Sul Cranio Dello Zingaro, il cui acronimo risulta essere CSSC; i vocaboli “Dello” e “Zingaro” sono stati esclusi dall’acronimo (compaiono solamente sul verbale di registrazione dell’associazione) in nome d’una dicitura più geometrica quale quella formata da una C, due S consecutive e un’altra C. La decisione è stata di Lord Tenebra medesimo. Del CSSC fanno parte all’incirca un centinaio di membri, ognuno dei quali colluso a propria volta con associazioni a delinquere mafiose, camorriste o para-governative (il che è sostanzialmente lo stesso). I CSSC sono gemellati coi Fratturatori dell’OSF, e non s’esclude che alcuni membri siano stati e continuino a essere travasati temporaneamente da un gruppo all’altro, magari previo cambio d’identità.
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Tag:Enrico Macioci
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23 dicembre 2010
di Enrico Macioci
[Di che si tratta. * Personaggi, ambientazioni, tempi. * Questo capitolo in Pdf.]
[Ricordo che, essendo questo romanzo assai folto di note, si è provveduto a una doppia impaginazione. Nel Pdf scaricabile le note sono, come nei libri, in calce alle pagine; nel post qui sotto le note, per praticità, sono inframmezzate al testo nel loro luogo d’inserimento, e scritte in corpo minore. gm]
“E’ mio figlio” pensa Ham Bank osservando Poppy Bank che lo osserva a propria volta da dentro l’incubatrice trasparente, coi piccoli fori per l’aria sul soffitto e una copertina verde scuro sul fondo. “Ancora una volta sono costretto a misurarmi con l’innegabile componente biologica dell’essere umano, della razza umana cui mio malgrado appartengo” cogita Ham, gli occhi grigi negli occhi grigi del figlio, il figlio che gli somiglia incredibilmente. Fissando l’esserino che lo fissa prono nell’incubatrice, tranquillo, serio, la bocca socchiusa, le pupille all’erta, le mani strette a pugno senza forza o rabbia, senza alcun sentimento che non sia, per adesso, la sorpresa e – in fondo – la gratitudine di esserci, di esistere, di sbarcare in questa valle di lacrime non sapendo ancora trattarsi d’una valle di lacrime;
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Tag:Enrico Macioci, La dissoluzione familiare
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22 dicembre 2010
di Enrico Macioci
[Di che si tratta. * Personaggi, ambientazioni, tempi. * Questo capitolo in Pdf.]
[Ricordo che, essendo questo romanzo assai folto di note, si è provveduto a una doppia impaginazione. Nel Pdf scaricabile le note sono, come nei libri, in calce alle pagine; nel post qui sotto le note, per praticità, sono inframmezzate al testo nel loro luogo d’inserimento, e scritte in corpo minore. gm]
San G.
San G. è un santo non canonizzato dalla Chiesa cattolica, che anzi ne osteggia più o meno apertamente le molteplici e multiformi attività, non potendo però occultarne lo straordinario carisma e le doti apparentemente inspiegabili. Egli medesimo si definisce un “santo laico”, oppure un “laico santo”, a seconda dell’umore che è assai variabile e dal buono tende all’ottimo al magnifico all’estatico. Non si sa se il nome San G. sia stato scelto da lui o da qualcun altro, né mai si saprà. Non si sa, né mai si saprà, di dove San G. provenga e quando sia nato e da chi. I suoi sempre più numerosi adepti lo chiamano San G. senza domandare altro. Tutti gli danno del tu, ma chi vuole può dargli del lei (anche se nessuno vuole). Gli adepti di San G. sono accomunati da alcune caratteristiche quali un certo grado di intelligenza, sensibilità, apertura mentale, mancanza di pregiudizi, generosità, solidarietà, spiccato senso artistico e del bello. Si potrebbe dire, semplificando alquanto, che essi rappresentano l’esatto opposto dei Fratturatori dell’OSF. Non è San G. a selezionare gli adepti (che lui non definisce mai adepti, anzi che lui preferisce non definire affatto), poiché San G. ritiene che verranno a lui solamente coloro che a lui vorranno venire. San G. non respinge nessuno a priori, ma sa già fin da subito chi resterà con lui e chi andrà via. Anche se s’imbatte in qualcuno di cui è convinto (sempre a ragione) che andrà via, San G. si guarda bene dal cacciarlo o anche soltanto dallo scoraggiarlo seppur lontanamente: lascia che sia l’interessato a nutrire nei confronti di San G. una tale nausea e un tale disprezzo o rabbia o addirittura furia cieca da spiccare la fuga di propria esclusiva volontà (ma attenzione: San G. non si comporta male apposta per indisporre l’interessato, è semplicemente se stesso e, come aveva previsto, l’essere se stesso basta e avanza per trasformare l’interessato in un ex-interessato). Gli adepti di San G., il cui numero va aumentando d’anno in anno in ogni piega più riposta del Paese, si riuniscono nel cosiddetto Intreccio Cultural-Psico-Animico Con Interazione Delle Principali Religioni Della Terra il cui acronimo è ICPACIDPRDT, un vocabolo abbastanza difficile da pronunciare perché ci si rivolga all’attività suddetta semplicemente indicandola con la parola Intreccio (il cui logo consiste in un groviglio di mani diverse, alcune nere, altre gialle, altre munite a quanto pare di tre dita o di unghioli a mo’ di lince, a rappresentare l’accoglienza nei confronti della diversità anche le più abissali di cui l’Intreccio si rende capace). San G. propugna un’integrazione fra cristianesimo, ebraismo, induismo, islamismo, buddhismo, taoismo, jainismo, scintoismo, confucianesimo, zoroastrismo, bahaismo, gnosticismo, ermetismo, mazdeismo, manicheismo, mitraismo, geovismo, essoterismo, ayyavali, bahà’ì, caodaismo, celtismo, neopaganesimo, odinismo, rastafarianesimo, scientology, sciamanesimo, shintoismo, sikhismo, wicca, senza disdegnare il contributo di dottrine quali la teosofia e l’antroposofia e la psicologia eccetera, nell’afflato d’una fede comune e condivisa ecumenicamente e mescolata alla scienza e alla cultura intellettuale. San G. tiene gl’incontri dell’Intreccio galleggiando a mezz’aria con le gambe incrociate sotto il corpo e le braccia conserte, il profilo d’avvoltoio e gli occhi azzurrissimi che avvampano da dietro occhiali di corno privi di lenti, una pace superiore che emana dalla figura magra e un po’ curva. Sia i suoi estimatori che i suoi acerrimi nemici hanno tentato di risalire al significato della lettera G. che lo contraddistingue; ecco alcune delle ipotesi più credibili:
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21 dicembre 2010
di Enrico Macioci
[Di che si tratta. * Personaggi, ambientazioni, tempi. * Questo capitolo in Pdf.]
[Ricordo che, essendo questo romanzo assai folto di note, si è provveduto a una doppia impaginazione. Nel Pdf scaricabile le note sono, come nei libri, in calce alle pagine; nel post qui sotto le note, per praticità, sono inframmezzate al testo nel loro luogo d’inserimento, e scritte in corpo minore. gm]
Don Sisma
Don Sisma, noto anche semplicemente come il Don, prima della Grande Scossa aveva senza dubbio posseduto un altro nome; ma questo particolare, come tutti quelli che lo riguardano, è andato perso nel momento in cui Don Sisma ha voluto che andasse perso. Egli è titolare dalla notte dei tempi d’una parrocchia di periferia della Città da ben prima che esistesse la Città (che già di suo è una città molto antica), parrocchia tanto insignificante esteticamente e irrilevante politicamente quanto tenuta in alta e larga considerazione da un ampio bacino di fedeli. Del Don non si conoscono né luogo né data di nascita né parentele; sembra essere sorto d’incanto da qualche luogo ultraterreno – e probabilmente è così. Vive nella più assoluta severità di costumi, privo di televisione, radio e giornali, e tuttavia conosce ogni cosa che è accaduta e che accade e che accadrà nel mondo, e come faccia è un autentico mistero. La notte non dorme, ma sosta diritto immobile al centro d’una stanza piena di crocifissi e figure sacre appesi alle pareti decrepite ascoltando a ripetizione musica sacra, in special modo Bach. Non si sa se si nutra, e di cosa (ma le dimensioni della sua pancia, all’ombra della quale d’estate si stendono piccoli branchi di cani randagi e grossi branchi di gatti altrettanto randagi, fanno ragionevolmente ritenere che di qualcosa egli si nutra).
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Tag:Enrico Macioci, La dissoluzione familiare
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15 luglio 2010
di Enrico Macioci
[Questo articolo di Enrico Macioci è apparso in Nazione indiana il 13 luglio 2010. Di Enrico Macioci si può leggere il libro di racconti Terremoto, pubblicato da Terre di Mezzo, assaggiabile anche in vibrisse, qui. gm]
Sono nato all’Aquila 35 anni fa, ho sempre vissuto all’Aquila, ero all’Aquila alle 3,32 del 6 aprile 2009, ero insieme all’oceano d’aquilani durante la manifestazione tenutasi all’Aquila il 16 giugno scorso (di cui quasi non s’è avuta notizia), ero insieme alle migliaia d’aquilani durante la manifestazione tenutasi a Roma il 7 luglio scorso (di cui per motivi non edificanti s’è avuta notizia), e sto scrivendo queste righe dall’Aquila, dove tuttora risiedo. Ciò credo mi legittimi a testimoniare in coscienza ciò che L’Aquila è divenuta nell’ultimo anno e mezzo.
Noi aquilani siamo stati gl’involontari – e sino ad ora almeno in parte inconsapevoli – protagonisti dell’apicale esplicitarsi della forza, dell’influenza e della capacità di distorsione che i massmedia hanno raggiunto in Italia. Un potere tanto più malefico quanto più subdolo, tanto più invincibile quanto più obliquo e, in definitiva, vile. Non posso definire in altro modo una divulgazione in larga parte scientemente mirata alla menzogna o, peggio ancora, all’uso strumentale del dramma. Un tradimento dei diritti non dirò già civili ma realmente e profondamente umani, e dunque un tradimento di tutti noi nella nostra integrità e nel nostro bisogno di giustizia e verità. Il travisamento più o meno clamoroso, da parte di non pochi organi informativi, della manifestazione romana del 7 luglio non è che l’ultimo tassello d’un puzzle che non saprei se chiamare diabolico o ridicolo – sempre che le due accezioni, superata una certa soglia, non si tocchino fino a combaciare.
Continua a leggere.
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