di Demetrio Paolin
In questi giorni ho finito di leggere Piccolo testamento (Laurana, 2011) di Gabriele Dadati e La luce prima (Isbn, 2011) di Emanuele Tonon. Le note che stendo sono sotto forma d’appunti perché se ho ben chiaro cosa voglio dire – ovvero che questi due libri sono definiti e presentati come “romanzi”, ma romanzi non sono – non ho ben chiaro come argomentare tutto questo.
L’impressione che non siano romanzi è dovuta a come i testi si impongono nel procedere della lettura. Pur essendo libri che raccontano un lutto a brillare dalle pagine è proprio l’assenza della persona morta. Nel caso di Piccolo testamento Vittorio, il maestro che muore, non è altro che una presenza fantasmatica. E’ un vero e proprio fantasma, così lo definisce l’io narrante, che va a sommarsi agli altri fantasmi delle donne amate/usate. In La luce prima la madre, a cui è dedicato il canto d’amore del figlio, non ha mai una presenza reale nella scena, ma rimane annunciata, vista di lato. Al massimo ne riemergono dalle pagine le tracce: il profumo, la crema per le mani o il pigiama.
Al centro di questi libri, in realtà, c’è l’io e non un Io qualsiasi, ma l’Io di uno scrivente, di una persona che per lavoro, per vocazione ha a che fare con le parole. La riflessione quindi non è tanto sull’altro, sulla persona che scompare, ma su chi resta e su chi resta e sul come la racconta.
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