Posts Tagged ‘Elio Pagliarani’
Carla Dondi al signor Praték (Lettere delle eroine, 14)
12 agosto 2016[Le Regole del gioco].
Caro signor Praték, io non dormo più.
Caro signor Praték, mi scusi, che comincio così, è un poco un’ossessione questa cosa oramai, del dormire, ma io, veramente, non dormo più, che, mi voglio spiegare, mi deve credere, la notte mi metto, lì, nel letto, e dopo non so quante ore avviene come uno svenimento, che dura due, massimo tre ore, poi suona la sveglia, che la sveglia, signor Praték, una roba, che quel suono è il suono del mio dolore, diciamo, mi voglio spiegare, che se volessi dare un suono ai sentimenti, per esempio, l’allegria è la voce del gelataio col carretto, quello di piazza Duomo, la stanchezza, per esempio, gli affanni delle signore quando salgono sul tram con non so quante buste e pacchi e figli, il dolore, invece, ecco, il suono della sveglia, che ogni mattina, una cosa che proprio.
Un preciso squilibrio. A proposito di uno studio su Giuseppe Pontiggia
29 Maggio 2015di Lorenzo Marchese
Non era un’impresa da poco proporre uno sguardo sintetico sulla narrativa di Giuseppe Pontiggia, che ha attraversato il secondo Novecento restituendoci una linea di scrittura quanto mai spezzata e affascinante. Autore poco prolifico per via della sua ridiscussione meditata di generi (giallo, romanzo poliziesco, ricostruzione storica, saggio critico) e forme (prosa narrativa, racconto breve, poesia, prosimetro), era e rimane difficile da inquadrare in un suo qualche libro risolutivo, in una circostanza storica che possa rappresentare un suo ipotetico “periodo aureo”.
Uno studioso di Milano, Marco Bellardi, si è cimentato nello sforzo con Uno smisurato equilibrio. La narrativa sperimentale di Giuseppe Pontiggia (Franco Cesati, Milano 2015), un invito alla lettura di Pontiggia che mancava nel nostro panorama: infatti, i commenti all’opera dello scrittore sono sparpagliati in saggi monografici (alcuni, citati da Bellardi, ormai difficili da reperire) e articoli sparsi su riviste accademiche e quotidiani. Uno smisurato equilibrio ripercorre ordinatamente la produzione narrativa di Pontiggia, con un’analisi ravvicinata e un occhio attento all’aspetto stilistico delle opere, senza particolari pretese di esaustività; per quelle, è meglio rivolgere l’attenzione al Meridiano delle Opere a cura di Daniela Marcheschi, che apre all’autore con un utile saggio introduttivo (benché a volte a rischio di pomposità: rischio oltrepassato nella Cronologia) e dà una ricchissima bibliografia critica alla fine del volume. Come riconosciuto nella Nota iniziale, al lavoro di Marcheschi e ai colloqui con la studiosa questo libro deve moltissimo, rappresentando una porta d’ingresso convergente per vedute critiche e più accessibile sotto vari punti di vista – non ultimo quello economico.
La formazione dello scrittore, 1 / Valerio Magrelli
22 Maggio 2014Ritorno e ricordo: al mio liceo
[Questo è il primo articolo della serie La formazione dello scrittore (parallela a quella La formazione della scrittrice), che apparirà in vibrisse il giovedì. Ringrazio Valerio per la disponibilità. Il prossimo ospite sarà Mario Benedetti. gm]
Per anni ho frequentato il “Liceo Statale Sperimentale”. La mia formazione e quella dei miei compagni si svolse tutta nel segno di un ossimoro simile a quello che in Messico è affidato al “Partito Rivoluzionario Istituzionale”. Studiavamo la devastazione. I nostri compiti a casa riguardavano Pollock e Beckett, Cage e Joyce. Afasia, dislessia, sabotaggio, erano già materie d’esame. Insomma, l’avanguardia era la tradizione. In breve ci trovammo a rovesciare, nostro malgrado, il motto di Mallarmé. Se il poeta francese esclamava: “La distruzione fu la mia Beatrice”, noi, miti cavie del laboratorio post-moderno, mormoravamo: “La distruzione è la nostra Perpetua”. Più che una musa, infatti, la distruzione ci appariva come una vecchia Tata, rassicurante e burbera. Naturalmente, il primo mio saggio fu una monografia sul Dada.
Il rischio, però, è di finire dal Cabaret Voltaire di Tzara, al Bagaglino di Pippo Franco (riferimento a uno sciagurato spettacolo dell’epoca, poi trasformato in programma televisivo): un luogo dove applaudono solo gli sprovveduti. Per spiegarmi, vorrei accennare a una mia particolare idiosincrasia, vale a dire il fastidio, si badi bane, non contro la Merda d’artista di Piero Manzoni, bensì contro il tipo di ricezione dimostrato nei suoi riguardi. Un lavoro del genere, al pari della pisciata di Carmelo Bene contro il pubblico in sala, poteva fare un effetto scandaloso su chi ignorava l’Orinatoio, ideato da Duchamp nel 1916 e con ben altre implicazioni teoriche. Questa provocazione in differita di mezzo secolo, poteva scandalizzare l’italietta del neorealismo o di qualche cittadina pugliese, ma per il resto andava e va considerata nient’altro che un’elegante chiosa, un omaggio, un d’après, se proprio non vogliamo parlare di plagio.