[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse recensisce libri introvabili, dei quali sostiene di essere l’unico lettore. gm]
Non c’è manuale o prontuario o ricettario di scrittura creativa che non dedichi un capitolo o paragrafo o capoverso al temuto temibile temibilissimo blocco dello scrittore: a quella condizione, cioè, piuttosto curiosa, nella quale si trova chi vorrebbe tanto scrivere, ma davvero tanto, eppure si ritrova davanti alla pagina bianca (che ormai è una pagina digitale, si sa: ma fa tanto nobile, fa tanto colto e cult, fa tanto Mallarmé parlare di “pagina bianca” ed eventualmente scrivere di nient’altro che della pagina bianca, fare riferimento alla “scrittura del silenzio”, eccetera) e lì si ferma, incapace di scrivere una sola riga – o una sola riga soddisfacente. Per carità: il più delle volte tale “blocco” (come spiega assai felicemente in questo articolo Amleto De Silva – fratello del più celebre Diego, e noto collezionista di boules à neige) non è altro che un blocco sociale: c’è chi s’immagina che scrivere (verbo usato intransitivamente, mai – è ovvio – nella locuzione “scrivere una certa cosa”, che dissolverebbe all’istante ogni qualsivoglia possibilità di compiacersi del “blocco”: rem tene, verba sequentur, ovvero: hai voluto la bicicletta, ora pedala) sia un’attività spiritualmente elevata, il cui puro e semplice esercizio dovrebbe portare lo scrittore in un empireo socioculturale inimmaginabile: e così, davanti alla pagina bianca, si blocca come si bloccherebbe sulla soglia un Bissolati qualsiasi, invitato a una festa, nel momento in cui si accorge di aver sbagliato l’abito (troppo formale per una festa che è più che altro una rimpatriata di vecchi amici del college, troppo poco formale per una festa alla quale sono invitati anche i futuri e magnati suoceri dell’invitante, ecc.).