
Fotogramma dalla serie televisiva Fargo, di Noah Hawley
Daniele Muriano chiacchiera con Edoardo Zambelli
[Per i tipi di Laurana è da poco uscito Storia di due donne e di uno specchio, il secondo romanzo di Edoardo Zambelli – il primo, L’antagonista, usciva nel settembre 2016 per lo stesso editore.
La prima parte della chiacchierata si può leggere qui. Si è parlato con Edoardo di come funziona la sua immaginazione, del rapporto con i personaggi e di come delle narrazioni gli interessino «più i mondi che non i loro abitanti»].
Vorrei curiosare per il mondo che abita Edoardo Zambelli nel tempo della scrittura. Intendo il tuo mondo interiore.
Prima di tutto, vorrei che ti si potesse immaginare: sarei contento se mi raccontassi dove hai scritto per la maggior parte del tempo l’ultimo romanzo, con quali strumenti, secondo quali orari.
Dopodiché, ripensando a quelle giornate (o a quelle settimane, se ci hai lavorato continuativamente) come potresti definire il tuo stato d’animo? Ti sembrava di vivere più intensamente? Se è stato così, in quale atmosfera sentimentale? (O magari si è trattato solo di fredda fatica della lucidità…)
Hai detto già che la riscrittura è stata «la parte più divertente» e perciò mi interesserebbe quanto alla prima stesura.
Il fantasma che sventola sulle mie domande è sempre uno: la relazione che intercorre tra scrittura e felicità possibile (felicità anche microscopica, puntiforme, istantanea).
Ecco, sarà più difficile adesso dire che non sei stato oggetto di un’invadenza.
Ma no, anche qui nessuna invadenza. Solo, mi è un po’ difficile ricordare il periodo della prima stesura, sono passati diversi anni. Su alcune costanti del mio scrivere sono sicuro: non ho orari di scrittura – e nemmeno periodi, mi capita di scrivere per alcune settimane, e poi magari di non farlo per altrettante settimane -, scrivo solo a casa mia, direttamente al computer, poi rileggo e correggo su un tablet. Sulla tua domanda più generale riguardo al rapporto tra scrittura e felicità posso dire di essere felice quando scrivo, ancora di più quando mi rileggo e mi pare di aver fatto qualcosa di buono. Non vivo lo scrivere come un atto doloroso, forse anche perché, come dicevo alla tua prima domanda, non investo emotivamente nulla nelle storie che scrivo. Quello che mi fa “male” sono i periodi in cui non scrivo, quelli – le settimane, qualche volta anche i mesi di cui dicevo prima –, in cui il romanzo è in corso ma per pigrizia o svogliatezza non lo faccio pur continuando a pensarci ogni giorno; mi dico che dovrei ma poi niente, non c’è verso. È un po’ contorta come cosa, me ne rendo conto, ma funziono così.
Sai, per me è difficile crederci. Il tuo romanzo mi ha sconvolto. Ha agito su di me con una tale violenza. Mi riesce difficile immaginare che la scrittura sia andata davvero così liscia. Ma tutto quel che dice uno scrittore sul proprio lavoro è vero, perché non esiste prova contraria.
Mi piacerebbe sapere qualcosa del tuo rapporto con le altre narrazioni: cinema, musica, fumetti, videoarte, videogiochi o altro. Si intravede una tale quantità di materiali dell’immaginario nel tuo romanzo (anche se l’impressione è che tu non abbia intenzione di prendere a prestito niente, ti appropri e trasfiguri).
Sono molto curioso di capire di cosa si nutre il tuo immaginario.
Allora, parto dai videogiochi, perché se mi guardo indietro sono stati il mio primo contatto con le narrazioni e con un determinato tipo di narrazioni. Sono un grande appassionato di quei videogiochi chiamati avventure grafiche (o punta e clicca, o adventure games). Credo che il mio primissimo contatto col mistero (e con il piacere di subirlo e poi raccontarlo) sia stato quando da piccolo, vedendo mio fratello più grande giocare a The Secret of Monkey Island, ho letto la scritta “nel profondo dei Caraibi, l’isola di Melee”, e sotto c’era questo effetto sonoro un poco oscuro e il fermo immagine di quest’isola buia, una specie di cono, con solo un piccolo gruppetto di luci su una baia, in basso. Ecco, lì mi si è aperto un mondo. I videogiochi sono stati e continuano a essere uno stimolo, in questi ultimi anni ci sono stati sviluppatori indipendenti che hanno fatto cose strepitose.
Ovviamente poi c’è la letteratura, certo. Ho i miei scrittori favoriti, quelli a cui ritorno di continuo, per sentirmi “a casa”. I libri di Tullio Avoledo, Filippo Tuena, Carlo Lucarelli, Alberto Ongaro, Antonio Tabucchi, Giulio Mozzi, Laura Pugno, Garcìa Marquez, Juan Carlos Onetti, Roberto Bolaño sono quelli che leggo e rileggo di continuo. Funziono un po’ così, leggo cose nuove, ma poi avverto il bisogno di tornare a leggere quelle storie e quelle prose che mi ispirano, che in qualche modo sento mie.
Lo stesso vale per il cinema, ci sono cose che riguardo all’infinito perché mi piace stare in quei mondi. I film di David Lynch e dei fratelli Coen, ad esempio, o quelli di Roman Polanski. Serie tv ne guardo poche, ma Fargo è stata una delle più belle scoperte degli ultimi anni, mi pare che dentro ci sia tutto quello che mi piace, è un mondo meraviglioso in cui stare.
È diventata una risposta lunghissima, e me ne scuso. Aggiungo solo che per me i fumetti (a parte Dylan Dog, che leggevo da piccolo e che mi ha insegnato molto, e Asterix e Lucky Luke) sono una scoperta recente, graphic novels ne ho lette poche ma ci sono autori come David B. o Daniel Clowes che mi piacciono molto. La musica poi, è fondamentale, se non ascolto ogni giorno Bruce Springsteen non mi sento a posto.
Ecco, tutto questo, in un modo o nell’altro, finisce nelle cose che scrivo. Magari non in modo diretto, ma c’è.