di giuliomozzi
Qualche anno fa, nel 2004, si parlò parecchio, almeno all’interno della Repubblica delle Lettere, di un piccolo libro pubblicato dalle edizioni Spartaco: Requiem per un albero. Resoconto dal Nord-Est. Ne era autore Matteo Melchiorre, di professione storiografo, cioè scrittore di storia, ma anche – diciamo così – scrittore di storie. Il piccolo libro raccontava la storia di un albero, niente di più, di un grosso albero, di un alberón, come lo chiamavano gli abitanti del paesello di Tomo, dalle parti di Feltre, nella cui piazza sorgeva. Da quell’albero, da ciò che se ne diceva nel paesello, da ciò che si poteva ricavare dagli archivi, dall’osservazione dei luoghi, dall’ascolto delle persone, eccetera, Melchiorre riusciva a tirar fuori la storia di una comunità. Bel libro, molto bello.
Altrettanto bello, secondo me, ma forse meno notato benché pubblicato da un editore maggiore (Laterza), era il successivo La banda della superstrada Fenadora-Anzù (con vaneggiamenti sovversivi), per il quale vi rimando (ma dovete mettervi comodi: è una cosa lunghetta) a questo bel documentario-intervista. E colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente Christian Raimo, che di quel libro si prese molta cura.
Ora Matteo Melchiorre (che, nel frattempo, ha prodotto alcune serissime opere da storiografo puro: delle quali qui, per incompetenza mia, non parlo) torna in libreria con La via di Schenèr. Un’esplorazione storica nelle Alpi. Visto che ne ho scritta la bandella (e che mi pare una bandella abbastanza ben riuscita), ve la riporto pari pari qui: