Posts Tagged ‘Claudio Giunta’

La formazione dell’insegnante di lettere, 5 / Giovanni Accardo

3 dicembre 2014

di Giovanni Accardo

[Questo è il quinto articolo della rubrica La formazione dell’insegnante di Lettere, che si pubblica in vibrisse il mercoledì. Gli insegnanti che volessero partecipare possono scrivere al mio indirizzo, scrivendo nella riga dell’oggetto: “La formazione dell’insegnante di lettere”. Ringrazio Giovanni per la disponibilità. gm]

Giovanni_AccardoSono cresciuto in un minuscolo paesino della provincia di Agrigento, Villafranca Sicula, dove non c’era né una libreria né una biblioteca. Nonostante i miei genitori fossero entrambi maestri elementari, per casa non giravano molti libri. Mia madre è stata per tanti anni insegnante di scuola materna, impegnata soprattutto a crescere me e mia sorella. Mio padre divideva il suo tempo libero tra il calcio e il poker, però aveva anche una grande passione per la politica, perciò non perdeva un telegiornale, sia a pranzo che a cena, e leggeva i giornali. Così, a tredici anni (nel frattempo in paese avevano aperto un’edicola), incominciai a leggere i giornali e ad interessarmi di politica: ricordo perfettamente i comizi per le elezioni regionali del 1975. Il mio futuro era stato già deciso: avrei fatto il medico, per diventare ricco ed essere rispettato in paese. Avrei studiato a Roma o in una città del Nord. Così aveva stabilito mio padre. Ho frequentato il liceo classico, ma di cultura classica ne ho respirata davvero poca, parte per colpa mia, parte per colpa degli insegnanti: freddi, distanti e autoritari. Della maggior parte di loro non ricordo neppure il nome. Della scuola, a dire il vero, non me ne importava molto, in testa avevo soprattutto le ragazze, la musica rock e la politica. In quarta ginnasio faticavo a parlare e scrivere in lingua italiana, la mia lingua madre era il dialetto siciliano, i miei compagni di gioco erano per lo più figli di pastori e di contadini. Al ginnasio, la gran parte dei miei compagni di classe, alcune ragazze in particolare, parlavano un buon italiano e mi mettevano soggezione. Avevo quattro nello scritto, ma mi tiravo su con l’orale, grazie all’ottima memoria e alla voglia di non sfigurare, nonostante la mia paralizzante timidezza. Di studiare, però, non m’importava nulla. Guardavo le ragazze e sognavo la mia prima esperienza sessuale. Alla fine dell’anno scolastico, la professoressa di lettere disse che non mi rimandava perché andavo bene nell’orale ed ero molto educato, però durante l’estate dovevo leggere e prenderla come abitudine, perché avevo pochissimo lessico e una fantasia limitata. Non mi disse né cosa leggere né dove prendere i libri. In paese l’unico che leggeva e che possedeva una biblioteca era il prete, andai a chiedere consiglio a lui. Mi fece abbonare al Club degli Editori, che ogni mese mi spediva un libro a casa. Ma l’unica cosa che continuava ad appassionarmi erano i giornali, leggevo “Paese Sera”, “La Repubblica”, “L’Espresso”, “Ciao 2001”. Al prete rubai due libri di Marcuse: L’uomo a una dimensione e L’autorità e la famiglia, che lessi l’ultimo anno di liceo e che mi furono utilissimi per il tema della maturità, soprattutto il primo, citato a piene mani. Ogni tanto mio padre portava un libro a casa, prestato da chissà chi, fu così che lessi Padre padrone di Gavino Ledda, Giovanni Leone: la carriera di un presidente di Camilla Cederna, Arcipelago Gulag di Solženicyn, Il giorno della civetta, Dalle parti degli infedeli e L’affaire Moro di Sciascia; di quest’ultimo ci capii davvero poco, nonostante avessi seguito il sequestro Moro sui giornali e alla televisione. Cosa cercavo in quei libri non saprei dirlo, forse la voglia di crescere. Invece so benissimo cosa cercavo nei libri della beat generation, la vera scoperta letteraria che segnò la mia adolescenza, grazie all’amicizia con un giovane del paese di dieci anni più grande di me e che era andato a vivere a Londra: la voglia di scappare. Quando lessi Sulla strada di Jack Kerouac, nell’estate del 1978 o del 1979, capii che da quel paese e dalla Sicilia dovevo andar via. Ci sarà poi un tragico avvenimento personale che nel 1980 confermerà e aumenterà questo desiderio di fuga.

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Chi dovrebbe insegnare italiano a scuola?

21 luglio 2014

di Claudio Giunta

[Invito a leggere questo articolo di Claudio Giunta, che condivido. gm]

Premetto che
(1) credo che, in media, i migliori, i più colti e motivati (e, che non guasta, i più umili) tra gli studenti di Lettere, e tra i dottori in Lettere, siano gli studenti e i dottori in lettere classiche;
(2) non sono convinto del fatto che nel curriculum di uno studente di Lettere sia giusto dare all’insegnamento della/e letteratura contemporanea/e tutto lo spazio che gli si dà oggi (cioè da due-tre decenni a questa parte), fondamentalmente perché credo che all’università bisognerebbe studiare cose diverse da quelle che ci si vede intorno ogni giorno, che dovrebbero essere note per altre vie, e che non sempre meritano di essere studiate.
Ora che mi sono coperto le spalle con queste due belle premesse reazionarie, aggiungo una terza opinione che invece può suonare leggermente sovversiva: non credo che i laureati in latino o in greco o in glottologia, e insomma in discipline classiche, dovrebbero insegnare la letteratura italiana nelle scuole superiori.

Continua a leggere l’articolo nel blog di Claudio Giunta.

Troppo Dante?

29 novembre 2012

[…] Ora, è ben chiaro che la Commedia merita di stare al centro dei programmi scolastici: è bellissima, è importante, e spesso, se la si spiega con un po’ di brio (il che non è facile), piace anche ai più renitenti alla letteratura. Ma resta pur sempre uno dei libri più difficili che siano mai stati scritti, e il mio dubbio nasce dal fatto che la Commedia è in sostanza il primo libro col quale molti studenti hanno un contatto prolungato, e anche quello su cui, finita la scuola, avranno speso più tempo: il libro della vita e, per tanti, l’unico libro – il che spiega tra l’altro perché tanti cinquantenni che non leggono né romanzi né poesia si commuovono riaprendo dopo decenni la Commedia o sentendola recitare…

Invito a leggere tutto l’articolo Troppo Dante? di Claudio Giunta (nel suo blog).

Test d’ingresso nelle facoltà umanistiche. Adesso

14 aprile 2011

di Claudio Giunta

[Questo articolo di Claudio Giunta è apparso in marzo nell’edizione in rete della rivista il Mulino].

Tito Livio, di Arturo Martini. Opera collocata nell'atrio del Liviano, sede della facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di PadovaMolti degli studenti che s’iscrivono alle facoltà umanistiche hanno serie difficoltà ad esprimersi oralmente e per iscritto. Avere serie difficoltà significa: sbagliare i verbi, sbagliare l’ortografia, usare le parole a casaccio. È un po’ come se alla facoltà di Matematica si iscrivessero in massa ragazzi che non sanno fare le quattro operazioni, o come se le aule di Medicina fossero invase da studenti che hanno il terrore del sangue.
A diciannove anni è tardi per imparare a contare, dunque è improbabile che chi è a disagio coi numeri s’iscriva a Matematica. E la stessa cosa vale, immagino, per il sangue e per la Medicina. Ma le facoltà umanistiche sono un’altra cosa, perché nelle aule di Lettere o di Sociologia si parla di romanzi, poesie, quadri, sinfonie, storia antica, filosofia, archeologia, e a questo Bengodi uno può appassionarsi anche senza avere alcuna competenza o vocazione; ché anzi la passione – la passione cieca e inconcludente, la mania – prospera proprio là dove la competenza scarseggia. Ci si iscrive dunque alle facoltà umanistiche per passione, perché – come suona il viatico dei falliti – «l’importante è fare quello che ti piace».

Leggi il seguito di questo post >>

Claudio Giunta, “Il paese più stupido del mondo”

12 settembre 2010

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Quanto ci costa la cultura accademica?

30 luglio 2010

Segnalavo qualche tempo fa l’articolo – secondo me importante – di Claudio Giunta intitolato Quanto ci costa la cultura accademica?. A sei mesi di distanza Giunta torna sull’argomento: e anche questo secondo articolo mi pare importante. gm

Quanto (ci) costa l’editoria accademica?

19 febbraio 2010

Le riviste accademiche costano sempre di più, immotivatamente di più. E i fondi delle università sono sempre di meno. Bisogna cominciare a leggere attentamente i prezzi delle riviste a cui molte università, in Italia e all’estero, si abbonano ‘in automatico’. E bisogna iniziare a usare la rete di più e meglio di come stiamo facendo. Qui analizzo un caso molto interessante e faccio alcune proposte sul da farsi. Se vi piace e siete convinti, fate girare: sono soldi pubblici, riguarda tutti.

Un’interessantissima inchiesta di Claudio Giunta. Si può prelevarla in pdf qui. Consiglio a tutti di visitare in lungo e in largo il suo sito. gm