Posts Tagged ‘Bibbia’

Il Furore di Steinbeck

26 luglio 2019

di Marco Candida

steinbeck

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La formazione dello scrittore, 21 / Sandro Campani

27 ottobre 2014

di Sandro Campani

[Questo è il ventunesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice (che per qualche settimana sarà sospesa, mentre le “formazioni” degli scrittori usciranno sia il giovedì sia il lunedì). Ringrazio Sandro per la disponibilità. gm]

sandro_campaniSono cresciuto in un paesino sull’appennino emiliano, in Val Dragone: l’ultima valle del modenese a Ovest, poi c’è il Dolo e diventa provincia di Reggio. Mia madre era di lì, mio padre del reggiano. D’estate il paese raddoppiava la sua popolazione, con i villeggianti (che su chiamavamo i berligianti, cioè i calpestanti), ma d’inverno eri sempre da solo: nella mia classe delle elementari, la più numerosa, eravamo in sei (in quinta per esempio erano in due, e facevano lezione insieme a noi). Le strade per scendere a Sassuolo, a Modena o a Reggio, allora erano scomode e lunghissime, e andare giù era un avvenimento raro. Per cui, crescevi isolato, sempre nei boschi e nei campi, spostandoti in bici per chilometri in salita, e gli amici che avevi erano dati, non c’era tanto da scegliere. Io avevo Davide, con cui facevo tutto: giocare a pallone, andare in bicicletta e andare a funghi. Quando avevo cinque anni è nato il mio primo fratello, e siamo venuti su insieme.
A differenza di come poi sarebbe diventato lui, e poi anche l’altro mio fratello, il terzogenito, io ero un bambino un po’ imbranato nei lavori. Vangavo se c’era da vangare, ammucchiavo il fieno o aiutavo a potare, seguivo mio padre a far legna, mescolavo il cemento e gli passavo i sassi se c’era da murare, gli passavo il metro e le viti se faceva qualche mobile, ma sempre con una mancanza di convinzione, di realtà, di aderenza alle cose, direi, che mi faceva sentire sbagliato. Ero privo di quella sicurezza nei gesti e nel contatto con gli oggetti che avrebbe dovuto far di me un uomo normale. A Natale (mio nonno era mezzadro giù a Scandiano, allora, poi sarebbe risalito a Carpineti) si parlava sempre di trattori, e io continuavo a non capirne niente, refrattario, proprio, e provavo un fastidio bruciante per la mia inadeguatezza. Guardare le bestie, tutte quante, mi piaceva tantissimo, ma anche lì da esteta, non con gli occhi di uno che avrebbe saputo come trattarle.
Hai il desiderio di muoverti dentro il mondo vero in cui si vive e si maneggiano gli oggetti con costrutto, e invece ti sembra di poterlo soltanto guardare, e parlarne, perché lo osservi irrimediabilmente dal di fuori: questa dissociazione è una cosa da cui temo non scapperò mai finché campo.

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La formazione dello scrittore, 5 / Demetrio Paolin

19 giugno 2014

di Demetrio Paolin

[Questo è il quinto articolo della serie La formazione dello scrittore, che appare in vibrisse il giovedì (ed è parallela a quella La formazione della scrittrice, che appare invece il lunedì). Ringrazio Demetrio per la disponibilità. gm]

Demetrio PaolinDa dove inizio? Dal mio paese, in cui ho vissuto per 25 anni. Il mio paese non ha una libreria che sia una, né una biblioteca comunale. Quindi mi pare strano ora essere qui a raccontare a voi la mia formazione di scrittore. Eppure mi sembra che tutto trovi ragione in quell’assenza di libri, che ha fatto nascere in me qualcosa come un bisogno. Ovvio che il mio è un ragionamento ex post, per fare chiarezza su un movimento della mia psiche di allora (ovvero di un preadolescente con una leggera balbuzie e un difetto di pronuncia nella “s”) che percepisco ancora come oscuro.

Nella mia casa non c’erano libri. Io, infatti, non provengo da una famiglia di lettori. Non ho ricordi del tipo: “Quando avevo otto anni entrai nello studio di mio padre e presi di soppiatto il primo libro, erano i racconti dei pirati di Salgari”. Io ho una diversa storia: a casa mia c’era una Bibbia. È stata quella la mia prima lettura. Le pagine della Bibbia sono state per me, prima che un testo sacro, un libro di storie bellissime e di narrazioni avvincenti. Penso alla storia di Saul o a quella di Davide, penso all’impressione che ne ebbi leggendo la vicenda dei Maccabei, oppure di come mi stupii nel leggere Qoelet, o i profeti. Il turbamento di riconoscermi in Geremia. Ci ho messo un po’ a leggerla tutta, dal “Bershit” [“In principio”] iniziale al “Maranathà” [“Vieni, Signore”] della fine, eppure credo che niente di quello che ho scritto dopo, al di là del suo valore, possa essere compreso senza capire che la mia fantasia e la mia immaginazione non si sono nutrite dei miti greci e romani, che non ho formato la mia idea di mondo avendo come riferimento Achille e Ettore, Patroclo e Ulisse ma Mosè, Esaù, Isaia, Salomone.

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