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Mario Pomilio, “Il quinto evangelio”. Alcuni appunti teologici
30 ottobre 2015di Andrea Ponso
[continua il “convegno online” dedicato a Mario Pomilio].
Ipse enim liber est, qui pro pelle carnem
habuit et pro scripturam Verbum Patris.
Garnerio
Esso potrebbe essere allora, con le stesse caratteristiche, quella che viene chiamata riserva escatologica, vale a dire la funzione tipologica che impedisce alle figure dei racconti evangelici di chiudersi in se stesse. Da quest’ultimo punto di vista mi pare fondamentale la riflessione di Paul Beauchamp sulla figuralità nei due testamenti. La figura è in un rapporto particolare con la cosa perché, come dice Beauchamp, “marcando la differenza tra significante e significato, la legge rinvia l’avvento del significato, lo differisce” (Paul Beauchamp, Le récit, la lettre et le corps, Paris, Ed. Du Cerf, 2007, p. 51). Tuttavia, non si tratta di disgiunzione dualistica ma di relazione e cooperazione che, per altro, non avviene fuori dal corpo (della vita, della lettera, della scrittura) ma dentro, in quella modalità immersiva e ripetitiva tipica anche del rito: ci troviamo in una specie di pienezza che lo stesso Beauchamp paragona al nome ebraico della “manna”, mân hu che letteralmente significa “che cos’è?”:
L’equilibrio di questa coincidenza nella manna ha per condizione la fugacità della cosa; gli ebrei la dicevano “che cosa?” (mân: Es 16, 15), da cui il suo nome, posato sul quasi niente. La sua apparizione è anche una sparizione, che ne impedisce l’acquisizione e il farne provviste. Si tratta di un oggetto del desiderio, ma anche di sazietà: “ancora manna …”. (Nb 11, 6) (Beauchamp, cit., p. 50)
Questo continuo riproporsi dell’interrogazione è la modalità principale per non cadere nell’idolatria e nella sicurezza della fede come possesso e proprietà di una conoscenza; per rimanere aperti alla grazia e alla storia nel suo farsi, in cui l’uomo è essenzialmente colui che riceve gratuitamente la rivelazione al di là di tutti i possibili significati che da solo può costruire e gestire:
Il ritorno di Mario Pomilio, romanziere europeo (da lunedì 26 ottobre )
24 ottobre 2015di Demetrio Paolin
Più o meno a maggio di quest’anno avevo tra le mani la copia della nuova edizione del Quinto Evangelio (L’orma editore, 2015) di Mario Pomilio; nella mia libreria facevano mostra di sé la ristampa de Il nuovo corso (Hacca, 2014) e di Scritti cristiani (Vita e pensiero, 2014). E mentre ero indeciso su come scrivere, qui in vibrisse, mi è capitato di leggere un’affermazione di Giulio Mozzi sul suo profilo di facebook che diceva più o meno che il Quinto Evangelio era il più bel romanzo italiano del dopoguerra. Alla sua affermazione mi venne solo da dire: Dio mio, sì! Giulio ha ragione.La letteratura, sappiamo, non è una classifica di calcio, ma spesso è utile cercare di stabilire un qualche ordine di grandezza, cercando – in parole povere – di fornire una sorta di canone dei testi. E sicuramente il romanzo di Pomilio, ma sarebbe meglio dire la sua opera, dovrebbe essere contemplato al suo interno. In realtà, però, dell’autore abruzzese si è parlato poco o niente, relegandolo al ruolo marginale nell’economia della nostra storia letteraria.
Per questo motivo in quel giorno ho pensato di scrivere una breve mail a tre amici, scrittori e lettori forti dell’opera pomilana, dicendo loro che volevo provare a costruire sul Quinto Evangelio e sull’opera di Pomilio non una semplice recensione o saggio ragionato, ma qualcosa di più.
Gli amici in questione erano Giulio Mozzi, Alessandro Zaccuri e Gabriele Dadati e il qualcosa in più che avevo pensato e immaginato è quello che leggerete nei prossimi giorni qui sul sito di vibrisse ovvero una sorta di convegno on line dal titolo Il ritorno di Mario Pomilio, romanziere europeo, in cui scrittori, critici, teologi e giornalisti sono stati chiamati a scrivere un loro contributo.