di Filippo La Porta
[Questo articolo di Filippo La Porta è apparso nel “Domenicale”, supplemento de “Il Sole/24 ore”, oggi 31 luglio 2016].
Il quinto romanzo di Laura Pugno, La ragazza selvaggia, fa pensare a certi racconti dello splendido filone non horror di Stephen King, lì dove il perturbante agita il lettore mostrandogli la domestica familiarità dell’estraneo, l’oscurità impenetrabile che circonda il perimetro della razionalità. La giovane biologa Tessa, custode della riserva protetta di Stellaria – un progetto fallito per mancanza di fondi – «aprì la porta sul buio del bosco…». E così ritrova la ventenne Dasha, sparita nel bosco quando era bambina: il corpo pieno di ferite e cicatrici, l’odore di selvatico, un flebile mugolio. Di lì ricostruiamo l’intera vicenda, fitta di personaggi (suggerisco di fare uno specchietto nell’ultima pagina) e storie secondarie: Dasha e la sorella gemella sono state adottate in Ucraina dai coniugi Held, Giorgio e Agnese, poi Dasha sparisce nel bosco e Nina resta in coma per un incidente; Nicola, figlio dei Varriale, trascorre gli anni dell’infanzia con loro e si iscrive all’università – Economia – insieme a Nina; con lui Tessa, a sua volta cresciuta orfana, sotto la protezione della zia Sagitta, intreccia una relazione sentimentale e tenta – vanamente – di sbrogliare quella che sembra la matassa di una oscura maledizione.