Posts Tagged ‘Aldo Moro’

Piombo (un’autobiografia)

30 novembre 2018

[è uscita a inizio novembre per la casa editrice tedesca NonsoloVerlag una antologia che raccoglie 10 racconti di  autori italiani dal titolo Vite allo specchio.  Pubblico qui il mio racconto.]

Di Demetrio Paolin

 

Sono nato nell’agosto del millenovecentosettantaquattro il giorno quattro di trentadue settimane, e questa furia di uscire mi ha salvato la vita, o così dice mia madre, che altrimenti sarebbe stata sull’Italicus per salire a nord da mio padre. Il mio nutrimento è stato il piombo dei ‘70, mi hanno ingrassato un latte che sapeva di zinco e gli ormoni negli omogeneizzati; le mie ossa non sono altro che il risultato della crisi energetica e il sangue è quello dei poliziotti e dei terroristi mischiato insieme. Io sono venuto al mondo mentre ogni cosa esplodeva e l’aria sapeva di tritolo e di C4. Sono nato e i corpi come quello di mia madre venivano uccisi da pallottole vaganti. Come era bella di schiena Giorgiana Masi quando il proiettile le si infilò all’altezza del polmone e lo perforò per uscire dall’altra parte, e la donna continuò la sua corsa per qualche secondo per poi sfiorire a terra morta. Io sono nato nel tempo in cui saltavano in aria treni, banche e loggiati medioevali. Io sono figlio di questa patria che chiamo Italia che è una lunga giovinezza piena di pomeriggi di noia, di sogni disfatti, di donne che avrei potuto amare e che ho cancellato; ho levigato la mia persona con una ferrea disciplina di purezza e oggi – passati 44 anni dal mio nascere – se leggete queste parole, io, Demetrio Paolin, sono morto, saltando in aria con la mia classe di alunni del liceo scientifico Keplero di Torino.

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Due o tre cose su Pomilio e Teramo

30 ottobre 2015

di Renato Minore

[continua il “convegno online” dedicato a Mario Pomilio].

Mario Pomilio

Mario Pomilio

Mario Pomilio capitò a Teramo per la prima volta nel 1951. Aveva vissuto “una stagione di esilio”, come lui stesso la definiva, a Parigi, “una città crudele per noi italiani: agli occhi del francese medio eravamo ancora quelli della pugnalata alla schiena”.

Dall’interminabile paesaggio metropolitano era proiettato in uno spazio diverso, breve e domestico, tutto fasciato di colline: quello di una tipica provincia italiana con la sua dolcezza del vivere, le acredini, i sopori. In un’intensa testimonianza – il suo ultimo scritto – pubblicata sulla rivista “Il quadrilatero”, Pomilio aveva rievocato le ragioni e le emozioni che lo portarono a usare Teramo come “quinta” in due romanzi: il primo, quello d’esordio, “religioso”, L’uccello nella cupola, il secondo “laico”, La compromissione. Come due voci, due anime che Teramo riusciva a far convivere, con le sue soste al caffè, gli incontri per le strade, il corso che si popolava verso l’ora del crepuscolo, il suo stile di città centrata entro il cerchio delle sue antiche mura e della strada di circonvallazione. Due storie distinte, ma fuse insieme, garantite da un’urbanistica fatta a misura d’uomo e dal culto dello scambio comunitario ancora possibile in provincia.

La prima storia risultava implicita nelle vestigia di una vetusta vita religiosa, le piazze attorno alle chiese, la città intorno alla sua cattedrale. La seconda, “laica”, era il lontano prodotto della borghesia postrisorgimentale con altri punti di riferimento: appunto il corso, la villa comunale, “le piazze dominate da monumenti civici, gli edifici pubblici, le scuole, certi caffè”.

Si parlò molto di questa Teramo pomiliana non soltanto stretta nella dimensione della memoria, in occasione dell’omaggio che la città abruzzese dedicò allo scrittore pochi mesi dopo la sua prematura scomparsa, a sessantanove anni, nel 1990 in occasione dell’annuale premio Teramo, quell’anno vinto da Angelo Mainardi e Marco Tornar. Nello scritto citato, Pomilio andava oltre gli struggenti ricordi che aiutavano a capire meglio ciò da cui era stata alimentata la sua fantasia. Rievocava anche le sconcezze di certa speculazione edilizia che non aveva risparmiato Teramo. “Un caso esemplare di come si è rotta un’armonia anche estetica, e di come si è alterata una ragione urbanistica che resisteva da duemila anni”. Parole dure, di un uomo profondamente ferito nella memoria di cittadino, e non di uno scrittore alla facile ricerca di un impossibile tempo perduto della nostalgia e del rimpianto.

Parole in sintonia con l’intervento dello scrittore e critico Silvio Guarnieri, il quale ricordò per l’occasione la tristezza non soltanto caratteriale di Pomilio, sia pure condita di sottile e gentile ironia: quasi uno schermo, un riflesso condizionato della sua coscienza di uomo dilaniato dall’impossibilità di poter raggiungere le sue “alte aspirazioni”, dall’ostile resistenza frapposta dalla realtà a ogni convincimento di verità e d’impegno.

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Il corpo delle vittime e il corpo dei terroristi

21 settembre 2012

di Demetrio Paolin

[nel link di seguito l’intervento che ho tenuto al convegno Le forme della contestazione in Italia: 1968-1978 tra mito e realtà, che si è tenuto nei giorni scorsi presso la Bangor University (Galles). dp]

L’Italia è una infanzia. L’Italia, uscita dalla guerra, voleva essere adulta e salda e si trova non avere gambe, braccia robuste per reggere tanto. E’ l’infanzia di molti giovani cittadini per cui i treni esplodevano, le banche saltavano in aria e i fratelli maggiori venivano picchiati nei cortei.
E’ in parte la mia infanzia, di bimbo quattrenne, che ha come primo ricordo il pianto della propria madre quando vede le immagini di via Caetani, e che spesso ha sognato nei suoi sogni di giungere in una landa desolata e di trovarvi un corpo morto gigantesco. Un corpo che il giovane bimbo quattrenene sa essere quello di Aldo Moro, che dopo morto invece di rimpicciolirsi si fa via via più grande, fino a diventare così enorme, coprendo l’intero orizzonte celeste, da rendere inutile qualsiasi sepoltura o rito funebre

Il corpo delle vittime e il corpo dei terroristi

Corpi politici, 6

29 dicembre 2009

Aldo Moro ammazzato dai rapitori.

Corpi politici, 5

28 dicembre 2009

Aldo Moro fotografato dai suoi rapitori.

Corpi politici, 4

27 dicembre 2009

Aldo Moro, fotografato dai suoi rapitori.