Posts Tagged ‘Aldo Busi’

“Lomissione”, di Giorgio Perecco

20 gennaio 2016

di Ennio Bissolati

[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse recensisce libri introvabili, dei quali sostiene di essere l’unico lettore. gm]

lomissioneChe la creativita nasca spesso dalle costrizioni, e luogo ormai comune. Cio che a molti sfugge e che ci sono costrizioni piu e costrizioni meno feconde. L’autore del romanzo Lomissione (il cui nomignolo – giacche non possiamo credere che “Giorgio Perecco” sia un nome autentico – rimanda evidentemente al nome – autentico, questo si – di Georges Perec, autore di quell’immortale capolavoro – e non solo della letteratura lipogrammatica – che e La disparition, La scomparsa nell’unica arditissima “traduzione” italiana esistente) sembra non essersene reso conto. Egli si limita infatti a omettere (fin dal titolo) la dove grammatica lo esige, l’apostrofo. Che razza di costrizione sia una costrizione che non e affatto una costrizione, ma una semplice omissione, ognuno puo immaginarlo. L’unico effetto e quello di un continuo intralcio all’occhio, come avviene nella lettura di certi autori semicolti che, per mancanza di carita, gli editori pubblicano senza nemmeno curarsi di evitar loro il ridicolo.

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“Il folle volo”, di Telemaco Sampugnari

8 gennaio 2016

di Ennio Bissolati

[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse scrive di libri dei quali sostiene di essere pressoché l’unico lettore. In certi casi, come questo, non stentiamo a credergli. gm]

sampugnariA volte gli allievi superano i maestri: non è il caso di Telemaco Sampugnari, che nella prefazione a Il folle volo (Obituaria print, pp. 246: ma si tratta sostanzialmente di un’autoedizione) si dichiara allievo e financo in gioventù amico del celebre Anacleto Bendazzi, sacerdote dedito più alle bizzarrie letterarie che alle sacre orazioni – ma veramente non è degno nemmeno di legargli i lacci dei sandali. La nobile arte del centone è stata praticata lungamente nei secoli: si cominciò centonizzando Omero, ossia componendo nuovi poemi tutti fatti di versi suoi (ma suoi di chi, poi? Visto che Omero…); per tutta l’età di mezzo furoreggiò Virgilio, che in qualità di preteso quasi-profeta dell’avvento del Cristo fu saccheggiato a più riprese per rifare con versi suoi ora la Bibbia, ora certe vite di Santi, ora il Catechismo.

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La formazione dello scrittore, 30 / Stefano Trucco

26 dicembre 2014

di Stefano Trucco

[Questo è il trentesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Ringrazio Stefano per la disponibilità. Le due rubriche ormai escono irregolarmente, seguendo l’arrivo degli ultimi contributi. gm]

stefano_truccoFormazione dello scrittore? Io? E’ proprio il caso?

Giulio Mozzi me lo chiede e io gli devo molto (una salutare stroncatura, soprattutto); c’è un mio romanzo in libreria, finalmente; gli editori, Bompiani e Rai-Eri, vogliono che io mi dia da fare ad autopromuovermi. Insomma, ci devo provare, a raccontare la mia formazione di scrittore, anche se ne avevo parlato abbastanza a lungo (sì, lo so, troppo a lungo) in un articolo qui su vibrisse il gennaio scorso e quindi lascerò parecchie cose come già dette e altre come omesse del tutto. Non è che parlare di me mi dispiaccia, anzi. Del resto, fare lo o essere uno scrittore è stato, fin da quando riesco a ricordare, l’unico obbiettivo serio della mia vita, l’unico mezzo accettabile per perpetuare il mio nome dopo la morte, motivo che ho in comune con la maggior parte degli artisti, grandi e minori, il cui nome sia stato davvero ricordato, almeno per un po’.

Il problema è un altro. Mettiamola così: da circa una decina d’anni sono impegnato in una minuziosa e radicale riscrittura di me stesso, una ristrutturazione il più completa possibile dei modi in cui mi rapporto con il resto del mondo. Negli ultimi quattro anni, poi, da quando mi sono finalmente rimesso a scrivere dopo più di vent’anni di blocco, si sono cominciati a vedere i risultati; nell’ultimo anno, infine, dopo la partecipazione al programma televisivo Masterpiece e la pubblicazione del mio romanzo d’esordio, Fight Night (insieme a un provvidenziale miglioramento delle mie condizioni di lavoro), il cambiamento in meglio è ormai innegabile. Ho persino cominciato ad andare in palestra. Di questo potrei parlarne fino alla nausea.

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La formazione dell’insegnante di Lettere, 7 / Luca Tedoldi

17 dicembre 2014

di Luca Tedoldi

[Questo è il settimo articolo della rubrica La formazione dell’insegnante di Lettere, che si pubblica in vibrisse il mercoledì. Gli insegnanti che volessero partecipare possono scrivere al mio indirizzo, scrivendo nella riga dell’oggetto: “La formazione dell’insegnante di lettere”. Ringrazio Luca per la disponibilità. gm]

luca_tedoldiUna formazione si dice in molti modi. Liceo classico, odiato e amato: belle le lezioni di Italiano, non tutte quelle di Filosofia, pochissimo tutto il resto. Al classico, ma che dico, a Giovanni Valle che venne a farci il corso, devo soprattutto l’amore per il teatro, un’arte che è insieme parola, voce, gesto, letteratura, musica, pittura, ginnastica. Primo anno d’università a Lettere, esami di Letteratura italiana e Storia moderna. Dopo il galleggiamento disanimato del liceo arrivano i primi trenta; ringalluzzito mi metto a studiare davvero ed ogni esame diventa il pretesto di dibattiti infiniti con amici e compagni di facoltà, tanto più che dal secondo anno faccio il passaggio a Filosofia. Alla fine di quelle discussioni non c’era alcun voto, nessuno pensò di riconoscerci un titolo, ma sono state tra le esperienze più formative mai vissute. Peccato per chi, laureato abilitato masterizzato, non ne ha goduto. Molto più utili dei monologhi frontali della Silsis, frequentata sia per Lettere che per Scienze umane (quattro anni di maledizioni), ma meno del tirocinio fatto a scuola (nella trincea della contrapposizione sapere-potere contra diritto all’ignoranza), a vedere quali errori non ripetere. Di primo istinto, dopo aver assistito a tanti, non intenzionali, atti di vandalismo culturale senza poter intervenire, è facile cadere nella forma imperativa e non chiedere, ma pretendere, che chi osi parlare da una cattedra debba fare questo e quello, respingere quell’altro e non dimenticarsi quest’altro ancora. Ad esempio evitare monologhi di un’ora nel silenzio pericoloso dell’aula, decodifiche del testo poetico in cui per quindici minuti si passano in rassegna tutte le versioni di un termine latino nelle lingue romanze, o sette citazioni di testi differenti in sette minuti. Insomma, rigettare come la peste l’autorefenzialità. L’alunno abbagliato accerta la competenza del docente e contemporaneamente nessuna fioritura d’idee o nozioni avviene nella sua mente, aratro senza buoi / che pare dimenticato.

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La formazione dello scrittore, 25 / Flavio Santi

13 novembre 2014

di Flavio Santi

[Questo è il venticinquesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice. Le due serie escono, ormai un po’ come viene viene, il lunedì e il giovedì. Ringrazio Flavio per la disponibilità. gm]

Domanda. Si può amare la scrittura avendo come stella polare questa frase di Joseph Conrad: “Il peggior nemico della realtà sono le parole”? Io volevo dipingere. Anzi, no. Disegnare fumetti. Fare il liceo artistico e poi chissà (oltre a voler fare il calciatore nelle file dell’Udinese). Invece a metà terza media – dopo che il mio rendimento scolastico era calato bruscamente, frequentavo teppistelli, importunavo vecchiette per strada e prendevo una nota sul registro a settimana – trovo un’antologia scolastica di mio padre ferroviere (i miei non leggevano, un po’ mio nonno materno che non ho mai conosciuto ma che mi ha lasciato in eredità un bel po’ di Bur grigi stagionati). Iliade e Odissea. Nelle traduzioni neoclassiche di Vincenzo Monti e di Ippolito Pindemonte. Traduzioni che oggi troverei indigeribili, al limite dell’illeggibilità, guarda tu che effetto sortiscono su un povero tredicenne. “… contra i Greci / pestiferi vibrò dardi mortali”, “Nove giorni volâr pel campo acheo / le divine quadrella”, “E come quando di Favonio il soffio / denso campo di biade urta” ecc. ecc. Basta poco e mi innamoro delle parole. Non voglio più giocare a calcio – l’allenatore della Pozzolese viene sotto casa a implorarmi di giocare, e io niente – manco dei fumetti me ne frega più e mi metto a studiare come un forsennato latino e greco. Gli anni del liceo. Spesso mi capita di fermarmi a pensare a quegli anni di letture totalizzanti e mi domando, un po’ inebetito dai ricordi: Lo rifarei? Lo rifarei di leggere per tutta la notte le tragedie di Seneca, le commedie di Plauto, gli annali di Tacito? Con mio padre che rientra a casa dal turno di notte, mi trova chino su Orazio e mormora sconsolato: “Ho un figlio cretino…”? Sì, probabilmente lo rifarei. Lì scopro la bellezza della traduzione (oltre a tante altre cose, però quei primi esperimenti dal greco e dal latino in italiano sono inebrianti).

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La formazione dello scrittore, 17 / Giuseppe Caliceti

13 ottobre 2014

di Giuseppe Caliceti

[Questo è il diciassettesimo articolo della serie La formazione dello scrittore, parallela alla serie La formazione della scrittrice (che per qualche settimana sarà sospesa, mentre le “formazioni” degli scrittori uscitanno sia il giovedì sia il lunedì). Ringrazio Giuseppe per la disponibilità. gm]

giuseppe_calicetiLo vedo ancora, mio padre! Prima di andare a letto! Io e mio fratello eravamo bambini! Mio padre e mia madre! A turno! Ci leggevano interi romanzi d’appendice! Roba da farti rimanere stecchito! Storie di rapimenti di bambini! Favole con e senza lieto fine! Alcune pagine a sera! In un sussurro! Altre volte un intero capitolo! Altre ancora una sola pagina! Mezza pagina! A seconda del tempo a disposizione! Della stanchezza! Della giornata appena trascorsa! Io e mio fratello ci addormentavamo con quelle parole in testa! Ci addormentavamo dentro a quelle storie! Un’emozione fortissima! Da uno stato alterato di coscienza all’altro! In estate si prendeva in affitto un appartamento! Sull’Appennino! Il paese si chiamava Villa Minozzo! Esiste ancora! Mia madre era impiegata alle poste! All’ufficio centrale! Quello che un tempo era lì in piazza Gioberti! L’unica piazza con l’obelisco di Reggio Emilia! Uno stuzzicadente, più che un obelisco! L’unico della città, comunque! Si faceva trasferire per tutta l’estate all’ufficio postale di Villa Minozzo! Mio padre non ne aveva bisogno! Era maestro elementare! Aveva i tre mesi di vacanza estivi! Poteva starsene un po’ in pace! Giocare coi suoi figli! Andare in bicicletta su per le salite! E’ sempre stato un ottimo scalatore! Ha vinto per ben due volte la Gran Fondo dell’Appennino reggiano! Duecento chilometri di pura salita! A casa di mia madre ci sono ancora le coppe! I medaglieri di tutte le sue imprese! A ogni modo, una notte di luglio sorpresi mio padre! Sveglio! In piena notte! Seduto al tavolo della cucina! Con una stilografica in mano! Mi ero svegliato per andare a pisciare! Non avevo più di sette o otto anni! Mi avvicinai al tavolo! Un po’ preoccupato! Gli chiesi cosa faceva! Mi rispose! Stava scrivendo una favola per me e mio fratello! Oggi non ricordo più che fine abbia fatto quella favola! Se l’abbia poi completata e ce l’abbia mai letta! Ricordo solo il mio stupore! Stava scrivendo una favola! Sul retro della copertina di un libro! Un volume dei mitici Quindici! La mia serie preferita di libri di allora! Aveva una grafia ampia e ondulata, mio padre! Abbastanza illeggibile! Come la mia, d’altronde! Vederlo scrivere in corsivo sul retro della copertina di un libro stampato mi sembrò una specie di profanazione! Sì, una rivelazione e una profanazione contemporaneamente!

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