Posts Tagged ‘Alberto Arbasino’

Come sono fatti certi libri, 32 / “Fratelli d’Italia”, di Alberto Arbasino

30 novembre 2017

di giuliomozzi

[In questa rubrica pubblico descrizioni, anche sommarie o parzialissime, di libri che – al di là della storia che raccontano o del tipo di scrittura – presentano una “forma” un po’ particolare, o magari bizzarra. Che cosa si intenda qui per “forma” mi pare, visti gli articoli già pubblicati, piuttosto evidente. Chi volesse contribuire si faccia vivo in privato (giuliomozzi@gmail.com). gm].

Prima edizione, Feltrinelli 1967, 532 pp.

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Come sono fatti certi libri, 12 / “Super-Eliogabalo”, di Alberto Arbasino

1 agosto 2017

Le rose di Eliogabalo, di Lawrence Alma Tadema, 1888 (L’imperatore uccide gli ospiti di una sua cena soffocandoli con una massa di petali di rose fatti cadere dal soffitto)

di giuliomozzi

[In questa rubrica vorrei pubblicare descrizioni, anche sommarie, di libri che – al di là della storia che raccontano o del tipo di scrittura – presentano una “forma” un po’ particolare, o magari bizzarra. Che cosa io intenda qui per “forma” mi pare, ora che ci sono undici articoli pubblicati, piuttosto evidente. Chi volesse contribuire si faccia vivo in privato (giuliomozzi@gmail.com). gm].

Gli undici articoli finora pubblicati in questa rubrica dovrebbero ormai aver suggerito alle gentili lettrici e ai gentili lettori che un “libro” è una cosa ben diversa da un “romanzo”, anche quando il “libro” contenga, in effetti, un testo che è un “romanzo”.

Se poi il “libro” contiene qualcosa che viene spacciato per “romanzo” (a es. perché fa parte di una collezione di “romanzi”, o perché reca in copertina la dicitura “romanzo”, o perché l’autore è generalmente considerato un “romanziere”, ec.) benché in realtà sia qualcosa che, per carità, al “romanzo” più o meno vagamente somiglia o allude, ma senza esserlo propriamente, e in qualche caso addirittura senza che si possa dire che cosa quel testo effettivamente sia, ec. – allora la differenza si sente ancora di più.

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Dieci buoni motivi per leggere “Favole del morire” di Giulio Mozzi

22 febbraio 2015
Volete una nocciolina?

Volete una nocciolina?

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Il mestiere di poligrafo

24 settembre 2009

di Alberto Arbasino

Gli articoli di Federica Sgaggio e Demetrio Paolin, e gli altri che nel suo Paolin cita, mi hanno fatto tornare alla mente questo intervento a un convegno pronunciato da un Alberto Arbasino trentatreenne, e pubblicato nel periodico L’Europa letteraria, a. V, n. 28, aprile 1964. gm

A. A., 1966.

A. A., 1966.

Non c’è scrittore, credo, che almeno per una volta non abbia considerato la carriera letteraria come una scelta inevitabile fra due ipotesi: l’impegno divorante e totale alla Balzac o alla Hugo in un’opera sempre più enorme e mai compiuta, o la rinuncia altrettando totale di Rimbaud, atteggiamento non meno grandioso e magnanimo. Senza trascurare, beninteso, una terza possibilità da tener sempre presente: morire al momento giusto, come Radiguet…
Poi le cose, si sa, nella realtà vanno assai diversamente. E il dilemma pratico si presenta di solito sotto altra forma. La letteratura non è nutriente; non lo è mai stata; e forse non è neanche giusto che lo sia. Lo scrittore potrà ragionevolmente optare per la soluzione onesta e collaudata del “secondo mestiere”: tradizionalmente “il più lontano possibile dalla letteratura”. Per parecchie ore al giorno venderà degli oggetti o tratterà coi clienti, o sposterà carte in ufficio. Poi, nelle serate o nei sabati pomeriggio che altri dedica alla danza o alle passeggiate, coltiverà il suo ortino, una paginetta dopo l’altra, con la trepida circospezione di chi va a trovare l’amante nei tre quarti d’ora fra la colazione e la riapertura dell’ufficio. Molto bene. Beato chi riesce a dividersi in compartimenti così giudiziosi. Ma questa soluzione non tiene conto del fatto che la letteratura può essere prima di tutto una malattia e un vizio: come l’esibizionismo o l’ubriachezza.

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