Archive for the ‘“Pigra giovinezza” di Valter Binaghi’ Category

“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 16 (fine)

9 agosto 2012

La canzone del sole

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Luglio 2011

I

Appena le undici ed è già bollente la sabbia dei Bagni Sabrina. Ho le scarpe da ginnastica in mano e cammino a piedi nudi perché detesto zoccoli e infradito, ma cammino in punta, per offrire meno presa possibile. Senza troppa scena, però, visto che le file di sdraio sono già discretamente popolate, anche se non siamo ancora proprio in alta stagione.
Valeria cammina davanti a me, scalza anche lei, ma senza provare nessun fastidio, in quel corpo sono passate ben altre vampate e brividi, tutte le escursioni termiche del dolore e dell’angoscia nelle ultime settimane (io lo so, io c’ero), e adesso è come roccia, mi vien quasi voglia di aggrapparmi a lei, tanto sembra forte. Cammina col suo passo lento e naturalmente elegante, la sagoma fin troppo snella adesso, il copricostume bianco, svolazzante, si ferma stagliandosi tra me e il mare, immobile come un airone affacciato a un paesaggio sconosciuto. Si volta appena, il capo sopra la spalla, gli occhi ridenti a vedere che arrivo, il profilo perfetto e la testa rasata, la principessa egizia uscita dalla tomba, la magica parola sulle labbra che ha ingannato Seth, il dio della morte.
Prendiamo posto al 36 e 37, armeggio con l’ombrellone, non si apre subito ma alla fine si, è tre giorni che ho prenotato, ma è la prima volta che ci veniamo. Fino a ieri notte stava troppo male, lei. Disteso accanto, tenendole la mano, sorreggendola fino al bagno per vomitare, raccoglievo parole sconnesse in cui non comparivo mai. Mi dispiaceva un po’, che tra i frammenti di un discorso interiore spezzato dagli analgesici non si udisse mai il mio nome. Parlava di Sandro, il suo primo marito, o meglio parlava con lui, lo chiamava, lo scacciava, e di strane case d’infanzia turbate dall’orrore, e ripeteva il titolo di un vecchio film. Poi ho capito che stava lottando non più con la malattia, come all’ospedale sotto i ferri del chirurgo, ma contro la persecuzione del passato, i rimorsi e i rimpianti che ti assalgono se fuori dal sepolcro provi a pensare di ricominciare da capo. Le bestiole che hai a lungo sfamato e che t’inseguono, i pungiglioni che hai strappato fuggendo dallo scorpione, e ancora ti avvelenano la carne. Ho capito ch’era anche per me che lottava, vuole essere libera per me, e sono rimasto in silenzio. Adesso sembra così leggera, mentre scioglie i cordoni della tunica e la lascia cadere sulla sdraio. Porta un costume intero, lilla sulla pelle diafana, l’iris accanto al giglio.

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 15

6 agosto 2012

Il tunnel

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I

La prima cosa che devi imparare è prendere il tuo numero e sederti tranquilla, in attesa. Fa niente se l’appuntamento era per le 18 e alle 19.05 ancora non hanno chiamato il numero precedente. Fa niente se la stessa cosa è capitata la volta scorsa e quella prima (quindi non è un caso, ma una regola non detta) e la tua visita al poliambulatorio non è mutuata ma a pagamento, al modico prezzo di ottanta euro per un quarto d’ora o poco più di consulto. Il sistema sanitario è innanzitutto una pedagogia dell’obbedienza, a paragone della quale le nostre cazziate d’insegnanti agli studenti discoli fanno sorridere. Qui nessuno fiata e tutti s’inchinano senza bisogno di note sul registro: chi osa protestare di fronte a Geova in persona col camice bianco, colui che si proclama capace di trasformare in adempimento tecnico i miti spaventevoli del dolore e della morte?

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 14

2 agosto 2012

Silhouettes

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I

Dopo la lezione che mi ha impartito Maura ieri sera, non è che me ne servisse subito un’altra. E invece stamattina, all’intervallo, proprio mentre sto per dare il primo morso alla focaccia, mi si avvicina la collega Porrini.
«Volevo parlarti di una cosa»
«Un caso umano, chiaramente»
Mi fissa con aria di rimprovero: «Guarda che è pure una tua alunna»
Non scherziamo, Porrini. Io ai miei alunni ci sto attento quanto te ai tuoi, e se c’è disagio nell’aria me ne accorgo e provvedo. Potrei farti nomi e cognomi di gente che ho tirato fuori dalla merda. Certo, a pensarci sono tutti maschi. Che vuoi, Porrini, con le femmine un prof deve starci attento, ci vuol niente a ingenerare equivoci e passare per il solito vecchio maiale in cerca di carne fresca.
Mi prende per un braccio e mi porta alla finestra della sala professori, da dove si vede il cortile. Il cielo è grigio sporco, ma visto che non piove i ragazzi sono sciamati come vespe in giro, formando capannelli misti da cui si levano nuvole di fumo e cicalecci rumorosi.
La Porrini mi addita Silvana Grimi, mia alunna di Quinta. Una ragazza penosamente grossa. Soprattutto la parte inferiore del corpo, rivela un’obesità patologica. Molto in disparte dagli altri, cammina su e giù col cellulare all’orecchio. Dalla mimica labiale, pare anche lei impegnata in vivace conversazione.
«Come si è integrata in classe?» mi chiede.
«Bè…Non è che sia un campione di socievolezza, ma neanche musona. Educata, tranquilla. A dir la verità resta piuttosto isolata dagli altri»
«E l’intervallo lo passa tutti i giorni al telefono»
In effetti. L’avevo notato, certo, ma essendosi trasferita da un’altra scuola l’anno scorso, ho pensato che non ha ancora legato con i compagni di qui e preferisce sentirsi con quelli di prima.
«È così negativo?»
«No. Se dall’altra parte c’è qualcuno. Una mia alunna, la Donati di Quinta C, mi ha detto che non è vero niente. Finge»

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 13

30 luglio 2012

Roba da cineteca

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I

Quando avevo vent’anni ero certissimo che mi sarebbe toccato uno dei seguenti destini: 1) Finire massacrato in uno scontro coi fasci di piazza Carroccio (in effetti mi era riuscito, in quarta Liceo, di rimediare una costola incrinata), potendo contare sull’eterno ricordo dei compagni del centro sociale Amadeo Bordiga. 2) Ardere come una torcia prima di conoscere l’onta della maggiore età, consumato dalle droghe psichedeliche e dai digiuni, lasciando dietro me un solo grande romanzo intitolato «Le avventure di un giovane corvo», pubblicato postumo da Adelphi. 3) Partire con Sabrina Rossetti, studentessa in medicina e mio (unico?) amore, per un paese del Terzo Mondo dove avremmo costruito un dispensario e saremmo morti di febbre gialla, l’uno nelle braccia dell’altra, in una notte afosa di dicembre.
Invece, una volta laureato e rimessa in darsena l’Arca rivoluzionaria con cui pensavamo di attraversare il Diluvio, mi sono accomodato nel comune riflusso degli anni Ottanta. Avevo iniziato a insegnare con passione, chiedendo alle nuove generazioni un risarcimento della mia adolescenza consumata dall’utopia, ma pian piano la frustrazione di quel mestiere mi aveva sopraffatto. L’insegnante è voce che grida nel deserto, patetico nostalgico dell’Intero. Propone la mistica del Senso e della Narrazione a gnomi inafferrabili che vivono di zapping e si presentano per salti quantici, disprezzando ogni forma di continuità come un tradimento dell’istante, unico vero Dio. Tra i banchi di scuola avevo realizzato, molto più che tra le pagine dei filosofi francesi alla moda, l’ineluttabilità del post moderno e la fine dell’Enciclopedia. Prima di trasformarmi in una cariatide che sostiene un tetto sfondato, mi ero strappato di dosso quella divisa da perdente, tuffandomi a pesce nella post-umanità della cultura di massa. In buona compagnia, avevo scoperto l’agilità multimediale dell’intellettuale ex-comunista, specchiandomi negli ex leaders di Lotta Continua trasformati in anchormen televisivi, nei semiologi che scrivevano fumettoni di seicento pagine, negli unni che si disputavano un seggio di consigliere regionale. Così ho provato a diventare scrittore, ma non è andata neanche quella, e in più ci ho rimesso il matrimonio.

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 12

26 luglio 2012

Ipotesi di complotto

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I

Visto che si sono sistemate dietro e mi fanno fare la figura del taxista, la musica me la scelgo io: Bob Dylan, Oh mercy, il miglior album dai tempi di Blonde on blonde, e se gli pare troppo slow peggio per loro. Tanto non è che sembrano farci molto caso, alla musica: mentre siamo pazientemente incolonnati sulla provinciale per Legnano (Monica ha deciso che bastava un giorno di convalescenza, e sto portandola al suo Liceo prima di dirigermi con Lisa al nostro, a Parabiago) commentano bisbigliando la serata precedente. La giornata è luminosa, nell’azzurro pieno del cielo si staglia la sagoma innevata delle montagne, il massiccio del Rosa, che di qui si vede bene.
«Che gli dici a scuola, della faccia?»
«Che sono caduta dal motorino»
«Ma ce l’hai almeno il motorino?»
«No. Gli dico dal motorino di un ragazzo».
«Non mi sembri il tipo che va ancora in due sul motorino»
«Dipende dal motorino. Ma anche dal ragazzo»
Ridono di gusto.
«Per esempio il tuo bassista, come si chiama, Stefano? Con quello in motorino ci salirei»
«Steppo? Ma daiii. Non l’avrei detto che ti piace uno così»
«Dici che è brutto?»
«Ma no, mica brutto. Però è….come dire….è cucciolo!»
«È vero. Mi è piaciuto tantissimo quando prima di andare ti ha dato un bacio sul naso. Ma anche gli altri, come sono carini con te. A me nessuno mi ha mai fatto le coccole così»
«Per forza, sono l’unica ragazza. E prima regola, gli ho detto fin dall’inizio, nessuna storia con nessuno del gruppo. Così mi hanno preso come sorella, e devi vedere come mi stanno addosso quando si va a suonare nei locali. Guai a chi si avvicina, peggio dei poliziotti»
«Ma anche Jimi viene a sentirvi?»
Silenzio. Intuisco che Lisa deve averle fatto segno di non toccare l’argomento proibito, almeno non finché il noioso parente siede al posto di guida con le orecchie tese. Jimi, ancora lui: lo spasimante più peloso di un levriero afgano. Perfino l’ultima arrivata è più degna di confidenze di me, agli occhi di mia figlia, ma in fondo sono contento. Con tutti i suoi lividi penosi Monica stamattina ha un’allegria nello sguardo, che consola. E anche mia figlia, che normalmente al mattino ha l’aria di una che deve percorrere il miglio verde, mai vista così ciarliera. Sento che questa convivenza farà bene a tutte e due. Probabilmente anche a me. Così provo a dimenticarmi di Valeria.

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 11

23 luglio 2012

Madri d’Italia

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I

Domenica, giorno di vacanza e relax in qualsiasi altra parte della provincia. Qui no. La domenica, anche a notte inoltrata, qui le auto scalpitano, t’incalzano a due centimetri dal paraurti finché non ti fai da parte e le fai passare (ma dove cazzo andate?). Gente che sgomma, impreca, come se dovesse correre in ufficio a timbrare entro cinque minuti. Qui il ritmo è sempre quello frenetico del business, anche per riportare a casa la fidanzata. Questa città la detesto. Ci ho vissuto un anno ai tempi dell’università, e sono scappato appena ho potuto, una volta scoperto che i miei ritmi metabolici sono e vogliono restare quelli del contadino.
Piccola storia del mondo, dalle bucoliche alla bomba atomica.
Il mondo è diviso in gente di città e gente di campagna, e i cittadini, che sono infelici e intossicati, non si danno pace finché riescono a fregare i campagnoli, e a farli diventare come loro. La gente di campagna ha bisogno di poco e odia le novità. I cittadini conoscono molte parole in più, riescono a farti sentire scemo quando vogliono, e soprattutto sanno come istillarti la passione malsana per l’universale. Cominciano dalle donne, e le seducono con le solite cose: specchi per truccarsi e tendine alle finestre per non lasciarsi vedere senza trucco. Le donne insegnano ai figli a disprezzare i loro padri, e a diventare migliori di loro. Così prima o poi andranno a ingrossare l’esercito dei ciarlatani e degli ansiosi di città, e faranno a gara per chi costruisce il marchingegno più abnorme e stupefacente.
Tutto qui? Tutto qui.

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 10

19 luglio 2012

Una serata nella metropoli

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I

Ai bei tempi (anni Settanta e Ottanta) la Statale del Sempione dopo le dieci di sera era una pista integra e veloce, sbarazzata dalle file tossicchianti delle utilitarie dei pendolari. La mia A112 blu col tettuccio bianco filava come una lippa, tagliando in due i paesotti dell’Alto Milanese (San Vittore Olona, San Lorenzo, Pogliano), fino al bivio prima di Pero. Lì a destra c’era l’imbocco della tangenziale (week end al mare o in una Bologna frizzante di occasioni, l’erotismo letterario nelle trattorie della provincia colta) dritto c’era Milano, il parco Sempione per rifornirsi d’erba e poi il Teatro Off in uno scantinato, o le polemiche furibonde tra noi di Lotta Continua e i figarini del Pdup in qualche circolo sui Navigli.
Arrivo al «crossroad» della mia giovinezza e improvvisamente mi ricordo che negli ultimi dieci anni, causa bretella pro Malpensa e spostamento Fiera di Milano, il bivio è diventato un trivio, un quadrivio, di più, un mostruoso doppio rondò con un numero incredibile di uscite e rientri, cartelli indicatori di colori e grandezze diverse, mentre le strisce bianche sulla strada seguono in parte il nuovo, in parte il vecchio tracciato.
Rallento, aguzzo lo sguardo, il velo di pioggia non aiuta i miei occhi che – inutile dirlo – non sono più quelli di un tempo, un bolide nero pieno di ragazzotti mi fa sobbalzare con un colpo di clacson che sembra un insulto, poi mi sorpassa e s’infila tagliandomi la strada nell’ingresso per la tangenziale.
Continuo a seguire il tracciato del rondò cercando di leggere le uscite una ad una, mi ritrovo al punto iniziale, il piglio avventuroso con cui sono salito in auto venti minuti fa è svanito lasciando il posto ad una rabbia impotente nei confronti del burocrate posizionato all’urbanistica dell’ente locale responsabile di questo scempio, cui auguro un cancro dolorosissimo, possibilmente in posizione anale, intanto continuo a girare come una trottola, non c’è nemmeno spazio per accostare e raccogliere le idee, mi vien da piangere, finché: «Pero-Milano», Dio, è quella. «Terra, terra!». Cristoforo Colombo respira di sollievo, la vedetta l’ha salvato in extremis, ancora un po’ e i marinai se lo sarebbero mangiato al posto delle gallette dure come il legno inzuppate nell’acqua dei barili piena di vermi.

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 9

16 luglio 2012

Una telefonata

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I

L’albicocco ha molti meno fiori perfino dell’anno scorso, che già era una miseria. Mi ero illuso quando dicevo a Lisa che forse gli alberi da frutta hanno un ciclo produttivo alterno, e quest’anno sarebbe andata meglio. In una delle rare escursioni nel nostro giardino incolto (cardi minacciosi alti come bambini armati e ambrosia straripante sulla prataglia, una versione postmoderna della vigna di Renzo), oggi mi sono avvicinato per osservarlo meglio. Diversi rami sono secchi. Alla base, la corteccia sollevata. Ne ho staccato un pezzo. Il tronco è già parzialmente disidratato, un corpo senz’anima, materia morta che si sbriciola alla presa. È da tagliare, punto e basta. Sono salito per telefonare a Valentino, il giardiniere che chiamo una o due volte all’anno, e poi non l’ho fatto per lasciar libero il telefono, pensando stupidamente che Valeria chiamasse proprio in quel momento. L’accordo è che chiamerà lei, ma in tre giorni ancora niente.

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 8

12 luglio 2012

La sindrome di Cyrano

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I

«Ma tu perché hai smesso d’insegnare, se la scuola ti piaceva?»
Valeria ha acceso una sigaretta ma l’ha spenta a metà. Dice che sta provando a smettere.
«Non mi piaceva. Dopo un paio d’anni avevo capito che eravamo lì a combattere la guerra precedente, come gli stati maggiori della prima guerra mondiale»
«Traduzione per il popolo?»
«Il mondo non somiglia più a un libro. E i libri non parlano più del mondo»
«Si, lo so da un pezzo. Gli serve di nuovo lo sciamano per imparare, o il giullare. Non si fa niente con questi se non con un po’ di musica»
«E tu balli o canti?»
«Io sarei un socratico seduttore. Provo a farli innamorare del domandare. Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore? Che ci prendano gusto, che non ne abbiano mai abbastanza. E ogni tanto ballo, anche, perché se non ti vedono fare quello che dici non ti credono. Ma dimmi di te»
«Quello che mi piaceva era curare i cuccioli malandati. Quelli che nascono male, storti e bruttini, che resteranno nel cesto perché nessuno li compra e nemmeno li vuole in regalo.»
Mentre parla Valeria si alza in piedi e mi fa segno di seguirla in salotto. Sulla tovaglia apparecchiata c’è ancora mezza bottiglia di Chardonnay. Prendo il vino e i bicchieri.
«All’inizio», continua, «gli alunni in difficoltà. Poi i casi di handicap. Mi sono specializzata, e sono passata dalla cattedra di lettere al sostegno all’handicap» Valeria ha sfilato i piedi dalle scarpe e si è adagiata sul divano come su un triclinio romano. La testa appoggiata alla mano, il gomito sul bracciale, le gambe piegate a elle. Sono seduto in poltrona, di fronte a lei, devo sforzarmi di non guardare continuamente le sue ginocchia tornite.
«Mi piacerebbe sapere qualcosa di questi metodi»
«Ho studiato e usato un po’ di tutto, ma alla fine mi sono accorta che tutto serve e niente serve»
«Cioè?» (more…)

“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 7

9 luglio 2012

Amore mercenario

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I

E comunque, visto che scrivono tutti compreso Lo Ritto, ho pensato che mi ci rimetto anch’io. Questa volta senza ambizioni letterarie, però. Proverei a imbastire un noir, una cosa tutto ritmo e suspanse, oppure una storia patetica di scuola, tipo professore sfigato alle prese coi piccoli criminali di un Istituto Professionale dell’hinterland, perché no? Starnone ci ha fatto il pane con macchiette così, e adesso pubblica dei signori romanzi per Einaudi. In tutti i casi, debbo guadagnare un po’ di soldi: Lisa evidentemente ne ha bisogno, anche se non mi dice per che cosa. Non mi va di vederla sfacchinare anche l’anno prossimo in un pub. Andrà all’Università e l’Università è una cosa seria, bisogna darsi almeno un paio d’anni di frequenza e studio a tempo pieno per ingranare bene. È il discorso che ho fatto al mio agente stamattina, che non si è nemmeno stupito più di tanto dopo due anni che non gli mando una riga. Da dietro gli occhialini tondi stile John Lennon, ha ascoltato con attenzione approvando con vistosi cenni del capo quando ho pronunciato la parola «noir», e si è detto ben disponibile ad esaminare ed eventualmente già a proporre un mio parziale.
«Dopotutto non sei proprio un nessuno. È vero che i libri precedenti non sono andati alla grande, ma il tuo nome te lo sei fatto, no? Allora, aspetto una bella sinossi in tre o quattro cartelle e un incipit sostanzioso, almeno il trenta per cento del testo, okay?»

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 6

5 luglio 2012

La biga alata

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I

Cercavo un buon motivo per non passare il pomeriggio a correggere i compiti di storia di Terza, e pare proprio che l’abbia trovato. La collega Porrini telefona raramente, ma quando capita la cosa non dura mai meno di un’ora e mezza. Eleonora Porrini, cinquant’anni di illibata dedizione alla pedagogia, un solo lungo fidanzamento finito in cenere alle soglie dei trenta e il resto della vita a sublimare sulle orme dell’adorato Pascoli.
Il fatto è che per lei ogni studente sotto la media del sei è un caso umano. È sopravvissuta a stento l’anno scorso all’arresto per spaccio di un suo ex alunno ma ne ha parlato per mesi, torturando se stessa e i colleghi di corso con assurdi sensi di colpa, finché Gianazza, disturbato nella sua pennichella pomeridiana di pensionato statale per un ex alunno di cui nemmeno ricordava il nome, l’ha mandata a cagare e lei ha smesso. Ma quest’anno c’è la Lombardi di Quarta A, l’ultimo caso di anoressia conclamata nel nostro piccolo Liceo di provincia. Facile ridere delle sue premure appiccicose di zitella, ma è’ lei che se n’è accorta per prima, è lei che ha allertato la famiglia: dapprincipio si sono pure irritati, negavano l’evidenza, ma poi hanno dovuto ricredersi e ora la ringraziano per averla presa appena in tempo e ricoverata. Ieri Eleonora è stata in ospedale, per l’appunto.

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 5

2 luglio 2012

Pater familias

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I

«Fanculo, stronzo!»
Alzare le mani su di lei, no. È successo l’ultima volta che era in prima media, e mi sono sentito una merda per una settimana. Era perché prendeva le parti di sua madre, sistematicamente (era il momento in cui si consumava la rottura), anche quando Marta aveva manifestamente torto, quella solidarietà sconfinata mi faceva sentire ignobile e reietto, m’imbestialiva, un giorno le ho mollato uno schiaffone che l’ha spostata di un metro. L’ho pagata carissima. Il bruto, lo psicotico, la convocazione d’urgenza in terapia familiare. Seicento euro due sedute.
Un anno dopo ci siamo separati e Lisa ha chiesto di restare con me.
Avrei un articolo da finire per una rivista di recensioni librarie. L’ultima cosa che mi sono tenuto, una volta scrivevo di più. Ma stasera non ho voglia del computer.
«Fanculo, stronzo!»
Mi ci bevo un caffè buono su questa cosa, giù al bar da Gino, l’occasione merita.

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi, 4

28 giugno 2012

Misteriosi risparmi

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I

«Intanto vedi di non urlarmi nell’orecchio, che ci sento ancora bene. Io ti chiamo per capirci meglio, per essere rassicurata, e mi ritrovo l’isterico che sbraita».
Da quando sta con un avvocato, ha acquistato un suo aplomb. Si è dimenticata delle vagonate d’insulti di cui eravamo capaci ai bei tempi.
«Mi stai dicendo che le hai promesso duemila euro senza neanche chiederle a cosa le servono?»
«Lo vedi che non ascolti? Lei mi ha chiesto se dopo gli esami, alla bisogna, potrei prestarle (“prestarle”, figurati!) duemila euro. Le ho detto che se ci sarà un buon motivo per spenderli, sarà il mio regalo di maturità. Qualcosa le avrei regalato comunque, no?»
Chiamalo regalo. È più del mio stipendio.
«Però adesso ti rode, come mai?»
«Perché… in effetti… non ha voluto ancora dirmi il motivo. Così ho pensato che ne sapessi qualcosa».
Si, lo so che le vuoi bene quanto me. Ma che vuoi farci, sono stronzo, oppure ci tengo a restituirti un po’ dell’angoscia che mi hai fatto bere a sorsate, quando mi hai convinto di averti rovinato la vita. E così, adesso ti becchi anche questa.
«Vuoi un motivo in più per preoccuparti? Lisa ha già un bel gruzzolo da parte, almeno mille euro. Risultato di due premi vinti, uno con la band, l’altro per una sua canzone».
«A me non dice mai niente…»
Adesso un po’ mi dispiace, non è giusto che ti tormenti. È rimasta con me perché non le avrei imposto un estraneo, credo per questo soltanto. O forse le piace il beautiful loser, come una volta a te. È dai tempi del Foscolo che succede: le donne s’innamorano del poeta, ma poi sposano uno che si chiama Odoardo, l’equivalente dell’avvocato.
«Perché tu credi che io ne sappia molto di più? Sai che ti dico? In questo momento te lo lascerei volentieri tutto l’accudimento della prole. Lisa è diventata più spinosa di un riccio».
«Non hai idea di quello che potrebbe volerci fare con tanti soldi?» (more…)

“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi / 3

25 giugno 2012

Tutte le donne del prof

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I

Stanno sempre al telefono o in chat: la chiacchiera cosmica senza requie. Eppure quando li vedi insieme ti accorgi che tra i corpi è aumentata la distanza.
Oggi l’ho vista fuori di scuola, con un gruppetto di amici tra cui l’immancabile Valentina. Ero in auto, in attesa di lei che indugiava. Li ho osservati qualche minuto. Non vedo tutta questa pacifica disinvoltura, la confidenza della banda. Si sbirciano continuamente, di sottecchi, specialmente le ragazze, come gente sui blocchi di partenza che teme l’anticipo altrui. I maschi invece lenti, stuporosi, mi sembrano al guinzaglio. Uno si è tolto un cannone dal taschino e l’ha acceso, lì in mezzo alla strada. Lisa si è staccata in fretta, ha visto la macchina, è venuta verso di me. Gli amici che hai a quest’età sono i tuoi occhiali sulla vita: con questi c’è da andare a sbattere.
Certo che anche i miei, di amici. Quelli del gruppo TNT, come ci chiamavamo una volta. In quinta liceo, l’età di Lisa, quando ci cambiavano attorno scenari e compagnie ma noi lì fermi, insieme, cinque come le dita di una mano.

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi / 2

21 giugno 2012

Una vita spericolata

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I

Appena entrato in casa mi accorgo che c’è qualcosa fuori posto.
Un bisbiglio fitto a due voci, che termina in una chiusa perentoria, ben distinguibile: «Lascia parlare me!»
Entro in salotto. Alla luce soffusa dell’alogena, sul divano sono sedute in due.
L’altra è un topino infagottato in uno degli accappatoi di Lisa, da cui sporgono polpacci magri e piedi piccoli. La faccia è pallida e smunta, dalla forma vagamente triangolare. I capelli bagnati, neri e scomposti, coprono in parte un viso dai tratti gradevoli ma gli occhi che si accendono a intermittenza sulla mia figura svelano una certa inquietudine.
«Lei è Marina», dice mia figlia con tranquillità. Seduta accanto a lei, per statura la sovrasta di un palmo. In effetti è sempre stata molto più alta della media delle sue coetanee, alle medie la chiamavano «torre di controllo».
«Marina resta qualche giorno con noi», prosegue, con quel tono che ha più l’aria di un avvertimento che di una richiesta. E intanto cinge l’altra ragazza con un braccio, entro cui Marina si rannicchia volentieri. Ma lo sguardo dell’ospite resta sollevato su di me, in evidente attesa di una reazione.
«Bè», faccio io: «che dire? Fa sempre piacere essere considerati appena più importanti di una caffettiera in casa propria. Comunque piacere, mi chiamo…»
E le tendo la mano, che la ragazza afferra debolmente con la sua, freddissima.
Poi, per toglierla d’imbarazzo, volto le spalle e mi avvio verso la cucina.
La tavola è ancora apparecchiata, ci sono resti di pane, croste di formaggio, noccioli di olive. Merenda mediterranea, sbrigativa e nutriente. La ragazza è piuttosto male in arnese, e visto dove Lisa l’ha raccattata credo anche di sapere qual è il problema, ma voglio sentirlo raccontare da lei.
«Mentre metto in ordine qui» dico, «tu Lisa prepara cuscino e coperte per il divano. È abbastanza comodo, Marina, ci ho dormito anch’io più di una volta»
È successo quando mia moglie, un paio di giorni prima di andarsene, mi ha escluso dal letto coniugale, ma questo Lisa se lo ricorda anche troppo bene.

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi / 1

18 giugno 2012

Questo libro è dedicato a mia figlia Alice

Che ne sai tu di un campo di grano?

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I

Aprile 2011

Che ne sai tu di un campo di grano?
Con la faccia da sfottere rispondevo a mia madre in terza liceo, quando provava a investigarmi la vita, e in quel verso di Mogol c’era la distanza incolmabile tra me e il suo orecchio provinciale, educato da canzoni d’anteguerra.
Io ero una marmitta catalitica d’esperienza restituita in un turbine di idee, e comunque l’urto della vita nuova, che chiede spazio per sé.
Una lingua dura, per chi deve farsi da parte.
Ero goffo e stordito nei gesti ma lucidissimo nel sentire, barcollavo tra frammenti di sogni senza sognarne davvero nessuno. Nel mio campo di grano ci avrei voluto Valeria Guidi, di Terza A, ma lei camminava sul mio cuore con sovrana indifferenza. L’adoravo, tuttavia: ne avrei fatto il mio ergastolo.
Che ne sai tu di un campo di grano?
Che altro c’era in quel verso di Mogol, sussurrato tra scherno e confessione?
Lo sconfinato dolore e il disprezzo di te e del mondo che provi quando la vedi con un altro, e le settimane d’isolamento da tutto e tutti, la lenta cauterizzazione della ferita narcisistica, e intanto le lunghe solitudini e le terribili esitazioni di chi è ancora estraneo alla vita, adolescente dall’anima sospesa, e potrebbe facilmente disertare. Ne uscirai, e niente sarà più uguale. Avrai altre delusioni, ma entreranno tutte da questo buco. E, alla fine, si trattava solo di imparare a soffrire. Oggi ti vedi come un metallo depurato dalle scorie, forgiato a vivere come una lama da un fabbro che non ha lesinato colpi in questi cinquant’anni. Meglio non contarli. Ma la cosa più dura è stata che eri solo. Si è sempre soli di fronte all’Essenziale: gli altri non sanno.

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“Pigra giovinezza”, di Valter Binaghi

17 giugno 2012
Paolo Cervi Kervischer, Oisive jeunesse, à Rimbaud

Paolo Cervi Kervischer, Oisive jeunesse, à Rimbaud

Da domani, e poi con un capitolo il lunedì e un capitolo il giovedì, inizia la pubblicazione in vibrisse del romanzo di Valter Binaghi Pigra giovinezza.

Pigra giovinezza
A tutto asservita,
Per delicatezza
Ho perduto la mia vita.
Ah! Venga il tempo
In cui i cuori s’innamorano.

Arthur Rimbaud