La canzone del sole
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Luglio 2011
I
Appena le undici ed è già bollente la sabbia dei Bagni Sabrina. Ho le scarpe da ginnastica in mano e cammino a piedi nudi perché detesto zoccoli e infradito, ma cammino in punta, per offrire meno presa possibile. Senza troppa scena, però, visto che le file di sdraio sono già discretamente popolate, anche se non siamo ancora proprio in alta stagione.
Valeria cammina davanti a me, scalza anche lei, ma senza provare nessun fastidio, in quel corpo sono passate ben altre vampate e brividi, tutte le escursioni termiche del dolore e dell’angoscia nelle ultime settimane (io lo so, io c’ero), e adesso è come roccia, mi vien quasi voglia di aggrapparmi a lei, tanto sembra forte. Cammina col suo passo lento e naturalmente elegante, la sagoma fin troppo snella adesso, il copricostume bianco, svolazzante, si ferma stagliandosi tra me e il mare, immobile come un airone affacciato a un paesaggio sconosciuto. Si volta appena, il capo sopra la spalla, gli occhi ridenti a vedere che arrivo, il profilo perfetto e la testa rasata, la principessa egizia uscita dalla tomba, la magica parola sulle labbra che ha ingannato Seth, il dio della morte.
Prendiamo posto al 36 e 37, armeggio con l’ombrellone, non si apre subito ma alla fine si, è tre giorni che ho prenotato, ma è la prima volta che ci veniamo. Fino a ieri notte stava troppo male, lei. Disteso accanto, tenendole la mano, sorreggendola fino al bagno per vomitare, raccoglievo parole sconnesse in cui non comparivo mai. Mi dispiaceva un po’, che tra i frammenti di un discorso interiore spezzato dagli analgesici non si udisse mai il mio nome. Parlava di Sandro, il suo primo marito, o meglio parlava con lui, lo chiamava, lo scacciava, e di strane case d’infanzia turbate dall’orrore, e ripeteva il titolo di un vecchio film. Poi ho capito che stava lottando non più con la malattia, come all’ospedale sotto i ferri del chirurgo, ma contro la persecuzione del passato, i rimorsi e i rimpianti che ti assalgono se fuori dal sepolcro provi a pensare di ricominciare da capo. Le bestiole che hai a lungo sfamato e che t’inseguono, i pungiglioni che hai strappato fuggendo dallo scorpione, e ancora ti avvelenano la carne. Ho capito ch’era anche per me che lottava, vuole essere libera per me, e sono rimasto in silenzio. Adesso sembra così leggera, mentre scioglie i cordoni della tunica e la lascia cadere sulla sdraio. Porta un costume intero, lilla sulla pelle diafana, l’iris accanto al giglio.