Archive for the ‘Microrecensioni’ Category

“L’ultima notte di Antonio Canova”, di Gabriele Dadati

16 febbraio 2018

di giuliomozzi

E’ in libreria più o meno da oggi questo romanzo di Gabriele Dadati, L’ultima notte di Antonio Canova (Baldini e Castoldi). Io ne lessi una prima e una seconda (appena aggiustata) versione, se non ricordo male nel settembre del 2014. Se ce ne vuole, di pazienza, per pubblicare un romanzo! Ma Gabriele, devo dirlo, era tranquillamente sicuro e moderatamente ottimista. Dopo un libro di racconti (con almeno due perle dentro) e tre romanzi tutti in qualche modo (traslato, autofinzionale ecc., come si usa oggi) legati alla sua esperienza di vita (ricordo in particolare, ma solo per affetto, Piccolo testamento, Laurana), sentiva che era arrivato per lui il momento di osare il romanzo-romanzo. E poiché da un pezzo si era trovato a dedicarsi, per lavoro e per passione, e per appassionato lavoro, ad Antonio Canova, gli venne naturale metterlo al centro del suo progetto.

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Ho letto e ho pianto

6 giugno 2015

di giuliomozzi

romolo_bugaro_effetto_dominoEffetto domino di Romolo Bugaro racconta una storia molto semplice. Un piccolo imprenditore immobiliare tenta l’affare della vita: la costruzione, in zona pedemontana, di una cittadella residenziale di lusso. A un certo punto la banca, per una valutazione puramente formale (e forse per beghe interne), gli blocca il credito. Lui va a rotoli. I suoi fornitori vanno a rotoli. I fornitori dei fornitori vanno a rotoli. Uno di loro si impicca. L’imprenditore si rivolge a un possibile partner: che gli dice di no. Ma un collaboratore dell’imprenditore lavora nell’ombra. Quando l’ultima possibilità è vendere tutto, è proprio il partner già indisponibile, pilotato proprio dal collaboratore ormai ex, a comperare al minor prezzo possibile. Alla fine la cittadella si costruisce, e rende ai compratori un sacco di soldi. La moglie dell’imprenditore – amata di un amore non romantico e solido – è portata via, in fretta, da un cancro: come se il destino volesse fare pulizia di tutto, proprio di tutto, senza lasciare niente. Il nostro uomo si trova spogliato e solo.

Io sono uno che legge col corpo e vi dico: ho letto, senza fermarmi mai; e ho pianto; e ho provato compassione per tutti. Questo romanzo di Bugaro è ancora più asciutto e concentrato dei precedenti. A tratti sfiora la nuda cronaca. Appaiono qua e là delle immagini – dei paesaggi, soprattutto – e la scrittura si eleva a un’intensità emotiva altissima.

Non so che altro dire. Magari qualche frase scontata, tipo: “Questo è un grande romanzo”. Sì, è un grande romanzo.

Romolo Bugaro, Effetto domino, Einaudi 2015, pp. 228, 19,50 euro.

Spike Up

17 marzo 2015

di Marco Candida

punch-al-rumIn Italia il titolo è Punch al rum. In inglese è Rum Punch. E’ un romanzo di Elmore Leonard. Quentin Tarantino ne ha tratto il suo terzo film: Jackie Brown. Una trama, a detta di molti, intricata. Per essere compresa può forse aiutare riassumerla in modi diversi.

Può essere riassunta come la vicenda di Ordell Robbie il quale fa sistematicamente fuori  i compagni che si fanno beccare per questa o quella ragione con le mani nel sacco e una volta dietro le sbarre possono denunciarlo alla polizia come bandolo di un’organizzazione di furto e contrabbando d’armi. Prima Ordell si libera di Beaumont Livingston. Non appena si trasforma in un complice inaffidabile, Ordell non esita a far fuori Louis Gara. Per arrivare a Jackie Brown, con la quale incontrerà grossi ostacoli. Insomma, da questa prospettiva il film di Tarantino presenta lo schema delle storie sugli omicidi seriali con Ordell Robbie nel ruolo di serial killer. Uno degli schemi narrativi più elementari che esistano.

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Gabriele Dadati, “Per rivedere te” / Appunti di lettura

11 giugno 2014

di Demetrio Paolin

per-rivedere-te_gabriele-dadatiLeggendo il nuovo libro di Gabriele Dadati Per rivedere te (Barney Edizioni) ho più volte pensato di trovarmi davanti non a un romanzo, ma a un libro di etnografia. Questi appunti brevi sono il tentativo di spiegarmi e di spiegarvi il motivo di questa mia convinzione

Se diamo retta alla dicitura di copertina Per rivedere te è sicuramente un romanzo, ma se decidiamo di addentrarci dentro le pagine della storia che Dadati ci racconta, qualcosa ci suona diverso. Intanto, però, cerchiamo di rendere conto della trama. Il protagonista, Gabriele Dadati – scrittore con all’attivo un libro di racconti pubblicato con un piccolo editore e in procinto di uscire con un romanzo storico con un editore importante – deve intervistare, per una collana di libri editi dal Corriere della Sera, Manlio Castoldi, anziano scrittore, tra i più importanti della sua generazione, che vive in Brianza dove ha ambientato tutte le sue storie. Durante queste sedute per la preparazione del romanzo, Gabriele conoscerà Tabita, nipote di Manlio, e tra di loro nascerà una storia d’amore.

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“Fisica della malinconia”, di Georgi Gospodinov

26 giugno 2013

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“Ripristinando antichi amori”, di Yehoshua Kenaz

6 Maggio 2013

di giuliomozzi

[Poiché mi sono accorto che questo romanzo è stato ristampato – da Giuntina, peraltro nel 2010 – ed è quindi reperibile, ripubblico qui la recensione che ne feci nel 1999 – quando uscì per Mondadori – per il supplemento del manifesto, Alias. gm]

Ho letto Ripristinando antichi amori di Yehoshua Kenaz (trad. Elena Loewenthal) la notte tra il 12 e il 13 ottobre [1999], viaggiando in treno da Salerno a Padova. Eravamo in sei nello scompartimento, io stavo dalla parte del corridoio e leggevo con la mezza luce che veniva di lì. Ogni tanto dormivo un po’ anch’io.

Il libro è strano. La stranezza è che ci sono cinque o sei storie – due strettamente interdipendenti e le altre vagamente connesse – e che in queste storie ci sono almeno un paio di misteri belli grossi: che però non vengono risolti, mentre il tutto termina con un avvenimento improvviso, imprevisto, e direi quasi insensato. Mentre leggevo ero pieno di tensione, ma la fine delle storie non me l’ha fatta scaricare, così che mi è rimasta tutta dentro.

L’ultima ora e mezza di viaggio (da Bologna a Padova) l’ho passata a guardare iniziare il giorno (cambiato treno e posto, stavo dalla parte del finestrino) e a farmi venire in mente delle frasi adatte. Così ho pensata questa frase: «Ripristinando antichi amori è un romanzo nobile, lento, bello, triste, semplice, e francamente un po’ noioso. È possibile parlarne solo per mezzo di frasi ambivalenti, o ambigue, come per esempio: “Non è il tipo di romanzo che ti leva il sonno, ma nemmeno te lo fa venire”, o: “Mi ha lasciata in corpo una specie di delusione, ma sono contento di averlo letto”».

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Un libro divertentissimo che consiglio a tutti

20 ottobre 2012

di giuliomozzi

Se volete farvi un’idea di chi fosse Giovanni Zibordi (del quale io ignoravo tutto fino a pochi giorni fa), potete leggere le prime pagine di questo documento qui. Nel quale troverete parecchie informazioni sulla sua carriera politica (1870-1943, fu socialista riformista, nacque a Padova e visse a lungo a Reggio Emilia) e appena un accenno al libro che ho acquistato qualche settimana fa presso Libroteka di Trento e che potreste acquistare al volo, ad esempio, presso Ebay. Di Giovanni Zibordi non c’è traccia in Anobii, c’è solo una traccia di Google Books, eccetera; benché il libro, secondo il catalogo del Servizio bibliotecario nazionale, sia stato ristampato fino al 1951.
E dunque solleviamo il velo (ma chi ha curiosato nei link ha già scoperto tutto): il libro s’intitola Divulgazioni manzoniane, si sottotitola Guida a intendere “I promessi sposi” e, pur con tutti i suoi limiti, è il meglio fatto tra i libri – appunto – divulgativi sui Promessi sposi che mi sia capitato di leggere o sfogliare. In che senso è “il meglio fatto”? Leggiamo l’indice, per intero:

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Breve storia di un evento privato

15 ottobre 2012

Questo articolo non è la recensione di un libro di Georges Perec

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Raul Montanari, “Il Cristo Zen”

7 gennaio 2012

di Valter Binaghi

Raul Montanari, "Il Cristo Zen"Uno scrittore italiano, ben noto al grande pubblico come narratore (ma è anche traduttore da lingue classiche e moderne), mette insieme un libro dal titolo disturbante, in cui affianca la parola di Gesù a quella dei maestri Zen, e lo fa dichiarandosi ateo alla terza pagina.
Ce n’è abbastanza per pensare a una di quelle improvvisazioni eclettiche che stuzzicano lo scrittore di successo un po’ annoiato. E invece basta cominciare a leggere la lunga introduzione, che occupa un buon terzo del libro, per accorgersi subito che il lavoro di Montanari è tutto tranne che frutto d’improvvisazione. Con precisione storica, unita a considerazioni che evidenziano una riflessione teologico-morale di lunga durata, l’autore racconta la storia del Buddhismo nelle sue diverse ramificazioni, fino a quella variante che si affermò in Cina come Ch’an, e penetrò in Giappone all’inizio del XIII secolo prendendo il nome di Zen. In seguito Montanari espone le ragioni che l’hanno spinto ad avvicinare cristianesimo e buddismo zen. In entrambi egli trova «la contemplazione e l’abbandono alla natura, al fluire degli eventi. L’interiorizzazione del culto e l’insofferenza verso ogni formalismo. La polemica contro la ricchezza. La spiritualità e la forza della fede capace di smuovere le montagne ove l’ostacolo del pensiero logico sia eluso. L’intransigenza davanti alla Verità, a un dovere superiore che suggerisce comportamenti apparentemente ingiusti o illogici. L’antintellettualismo e l’elogio del pensiero semplice o addirittura del non-pensiero. L’anticonformismo nei rapporti con le gerarchie, le classi sociali, la tradizione, e con quel grande mistero insondabile che è la donna».

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Claudio Giunta, “Il paese più stupido del mondo”

12 settembre 2010

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Chiara Arrighetti, “Un’oncia di rosso cinabro”

7 settembre 2010

Un’oncia di rosso cinabro di Chiara Arrighetti, edizioni Carta Canta, è arrivato a me per una via diretta: me lo ha messo tra le mani una persona che lavora in un’azienda dove un po’ lavoro anch’io, dicendomi: “Questo l’ha scritto un’amica mia. Vuoi guardarci?”. Siccome la persona – quella che mi ha messo tra le mani il libro, intendo – è persona che per varie ragioni stimo, ho detto: “Sì”. D’altra parte, il mio mestiere consiste nel leggere qualunque cosa mi capiti a tiro. O almeno nel provarci.
Dopodiché, mentre tornavo a casa in treno, un poveretto si è suicidato buttandocisi sotto. Siamo arrivati a Padova non alle otto e dieci, come previsto, ma quasi a mezzanotte. E a quel punto non solo avevo finito di leggere l’Oncia, ma me l’ero anche imparato a memoria.

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L’informazione letteraria in Italia. Una storia

7 settembre 2010

Quando me lo sono trovato davanti, ho pensato: “Oh là, ci voleva”. E quando ho finito di leggerlo, ho pensato: “Oh là, ci voleva proprio”.
Sto parlando della Storia dell’informazione letteraria in Italia dalla terza pagina a internet (1925-2009), di Gian Carlo Ferretti e Stefano Guerriero, appena pubblicato da Feltrinelli (451 pagine, delle quali un’ottantina di utilissimi indici). Un libro che non sono in grado di valutare da un punto di vista scientifico – non ne ho le competenze: sono un narratore selvatico, non ho studi letterari o storici alle spalle – ma del quale, da abitante giovane (ho cinquant’anni, ma sono qui dentro solo da diciassette; sono anziano, ma ho poca anzianità) della Repubblica delle lettere, sentivo tanto il bisogno.

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Asimov digeribilissimo

5 settembre 2010

Le riviste di letteratura e di critica della letteratura degli anni Settanta sono spesso piene di articoli oggi indigeribili. Ma nel numero 2 di Calibano, pubblicato nel 1978 ed edito da Savelli, numero monografico intitolato “Il nuovo e il sempreuguale. Sulle forme letterarie di massa”, c’è un corposo e gustoso e istruttivo e divertente e insomma digeribilissimo articolo di Alessandro Portelli: Il presente come utopia. La narrativa di Isaac Asimov, da pagina 138 a pagina 184. Proprio bello. Non so se Portelli abbia poi ripreso il saggio in uno dei suoi libri; e non so dove potreste acquistare la rivista (in Mare magnum non la trovo). La copia che ho io, la comperai almeno un paio d’anni fa in un negozio di libri, fumetti e gialli usati che c’è a Roma in via Conca d’oro. Si tratta di una copia omaggio (c’è il timbro dell’editore sulla prima pagina bianca: “Savelli s.r.l. / volume omaggio”). C’è anche, nella stessa pagina, una data scritta a penna biro nera: “Roma, 27 gennaio 1979”. Sotto la data c’era qualcosa, suppongo una firma: accuratamente cancellata con un pennarello. Presumo che il proprietario – un giornalista? – nel portare la rivista dal rivenditore di libri usati, volesse far sparire il proprio nome. Vedi mai che un collaboratore della casa editrice passa di lì, e scopre che ti rivendi i libri ricevuti in omaggio… Poi non ti mandano più niente!

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Contro la letteratura?

5 settembre 2010

Nel suo libello Contro la letteratura, appena pubblicato da Il Saggiatore, Davide Rondoni riesce nell’impresa di dire alcune cose di assoluto buon senso in modo tale da renderle quasi inaccettabili. Il titolo del libello non ha nulla che fare con il contenuto. Il sottotitolo (Poeti e scrittori. Una strage quotidiana a scuola) appena un po’. L’immagine in copertina (una mano punta una pistola alla fronte di un Dante laureato) è tremenda. L’impaginazione del testo (lo so, Rondoni qui non c’entra, o c’entra poco) è orrenda. In somma, questo libello le ha tutte per non farsi leggere. Eppure dice alcune cose di assoluto buon senso: che l’insegnante deve “saper leggere bene”, e deve “imparare a leggere bene” (ovvero: deve studiare per imparare a leggere bene); che l’insegnante deve trasmettere ai ragazzi (Rondoni ha in mente soprattutto la scuola secondaria superiore) la propria libertà, la propria passione, la felicità che le belle opere letterarie gli dànno; eccetera. Cose di così tanto assoluto buon senso, che – una volta separate dall’enfasi polemica del libello – risultano addirittura delle banalità (le banalità sono spesso esplosive: pensate quanto sono esplosive banalità del tipo: “E’ meglio se il capo di un governo non si rende ricattabile”; “E’ meglio se persone fortemente sospettate di essere dei ladri non stanno al governo”; “E’ meglio accogliere i naufraghi che ricacciarli in mare”, ecc.).
Il vero difetto di questo libello, a parte l’enfasi che trovo francamente insopportabile (ma è questione di gusti), è il bersaglio. Ad esempio, a p. 79 leggo:

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No, non era un thriller mozzafiato

4 settembre 2010

È successo di nuovo. Ero stanco, avevo bisogno di dormire, e poi la mattina dopo dovevo alzarmi presto, prestissimo, per prendere un treno. Eppure non ho resistito. Sono stato sveglio a leggere fino alle due di notte.
No, non era un qualche thriller mozzafiato d’oggidì. Era un libretto piccolo, 228 pagine; ma un libretto che si fa leggere con attenzione, con lentezza; così preciso in ogni sua frase, e così netto nel suo svolgersi, che avendolo cominciato in treno alle sei del pomeriggio, ho continuato a leggerlo sull’autobus che mi conduceva alla pensione, sul tavolo della trattoria, e infine nella mia stanzetta: fino alle due di notte.

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Giuseppe Aloe, “Lo splendore dei discorsi”

4 settembre 2010

Lo splendore dei discorsi di Giuseppe Aloe era un libro che mi tendeva gli agguati da mesi. Lo incrociavo ovunque, in tutte le librerie, sempre bene in vista, benché l’editore Perrone sia un editore piccolo piccolo. Lo comperai finalmente un mese fa, all’incirca, a Vicenza, in una libreria dove ce n’erano sei copie. Domandai al libraio: “Ma com’è che ne avete una piletta, di questo libro qui?”. Il libraio corrucciò la fronte, guardò il libro come se non l’avesse mai visto prima; poi consultò la macchina. “Ce ne abbiamo sei copie da tre mesi”, disse poi, “e questa è la prima che vendiamo”. Fece spallucce. “Si vede che dietro questo titolo c’è stata… una grossa spinta”.
Fattostà che il libro, io, lo avevo memorizzato per il titolo, suggestivo, e per la copertina, che mi pare splendida. Non so a voi. Quella foto lì, di Enda Bowe, e tagliata in quel modo, e così elusiva… Elusiva come forse l’autore stesso, pensavo. E in effetti, cercando l’autore lì dove ero quasi sicuro di trovarlo, ossia in FaceBook, trovai una foto di riconoscimento decisamente elusiva. La riprendo qui senza remore, benché FaceBook sia un luogo privato, perché – come tutte le foto di riconoscimento di FaceBook – appare a chiunque cerchi in rete immagini di Giuseppe Aloe.

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John Cheever, “Amore e la vita”

3 settembre 2010

In libreria lo trovate oggi nell’edizione Fandango, il cui titolo (Gli Wapshot) è più rispettoso dell’originale (The Wapshot Chronicle). Io invece l’ho letto nell’edizione Longanesi del 1958, fantasiosamente intitolata Amore e la vita (fantasiosamente ma non erroneamente: nel romanzo c’è infatti tanto amore, e c’è anche tanta vita) e tradotta da Marcella Hannau. Quella che non c’entra proprio per niente, e chissà chi se l’è pensata, è la distesa di dune da deserto stampata sulla sovraccoperta: proprio bizzarra, per un romanzo tutto ambientato tra il New England e New York. Mah. La mia copia proviene dalla biblioteca popolare “G. Mazzini” di Trento, e porta il numero di catalogo 4480 2. Se per caso è una copia trafugata, e lì a Trento la stanno ancora cercando da quella volta, ditegli che mi facciano un fischio. Tanto sono a Trento tutte le settimane, portargliela mi costa niente.
Sul risvolto di copertina del romanzo stanno scritte alcune cose stupefacenti:

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