di giuliomozzi
A carico mio.
Affare fatto, dico.
Ah, dice il tassista.
Allora, se può, dico, la spenga.
Anche perché a me Stockhausen, sarà anche un grande, ma mi fa cagare.
Apro la porta e dico: Prego.
Arriva una ragazza tutta stretta in un giacchino troppo leggero, mal protetta da un ombrello troppo piccolo.
Aspetto un taxi.
Be’, dico, sempre meglio dei Pink Floyd.
Che c’è?, dice il tassista.
Che musica si sente in questo taxi lo decido io.
Ci rimettiamo ad aspettare.
Complimenti, dice il tassista.
Devo soddisfare le esigenze del cliente medio.
Dico solo che se a lei fa piacere ascoltare Stockhausen, fa piacere anche a me.
Do l’indirizzo.
Do l’indirizzo.
Do l’indirizzo.
Do un’occhiata.
Dobbiamo far ascoltare ai clienti questa radio qui.
E allora perché lo mette su?, dico.
E dunque?, dico.
E più sono strane, più pagano.
E’ mezzanotte passata.
E’ mezzanotte passata.
E’ un capolavoro della musica del nostro tempo.
Fa cagare, dice il tassista.
Fa un freddo cane, dice la ragazza.
Fermo, dico.
Fine corsa.
Gli Einstürzende Neubauten vanno benissimo, dico.
Guardi che Stravinskij andava benissimo, dico.
Guardi, dice la ragazza, io devo andare proprio, e mi dice dove.
Ha sempre una musica che fa cagare, dice la ragazza.
I Genesis, dice il tassista. Si rende conto?
I Genesis?, dico.
Il tassista allunga la mano sul cruscotto.
Il tassista frena di colpo.
Il taxi arriva.
Il taxi arriva.
Il taxi arriva.
In questo caso, dico, le dirò che a me Stockhausen andava benissimo.
Infatti, dice la ragazza. Facciamo a metà?
Io su Venezia 12 non ci salgo, dice la ragazza.
L’ho presa su un paio di volte, su quest’ora, dice il tassista.
La prego, dice il tassista.
La ragazza?, dico.
Le chiamo un collega, se vuole.
Lei appartiene a una ristretta minoranza, dice il tassista.
Lei ascolta Stockhausen per suo diletto; salgo io e mette su il liscio; la invito a rimettere su Stockhausen; e lei mi dice che devo pagare per questo.
Lei conosce il Gesang der Jünglinge im Feuerofen?, dice il tassista.
Ma a lei piace questa radio?, dico.
Ma abbiamo la sponsorizzazione.
Ma è Venezia 12, dice la ragazza.
Ma io non devo far piacere a lei, dice il tassista.
Ma noi abbiamo una sponsorizzazione, dice il tassista.
Ma non avevate una sponsorizzazione con una radio commerciale?, dico.
Ma…, dico.
Ma…, dico.
Magari la prossima canzone va meglio, dice il tassista.
Mah, dico. A me pare che qui siamo lei ed io.
Me ne frego della sponsorizzazione, dice il tassista.
Meno male, dice il tassista.
Mi faccia capire, dico.
Mi scusi, dice la ragazza, ma i taxi arrivano?
Naturale, dico.
No, dico.
Non ho ancora chiuso la porta che riconosco la voce distorta, moltiplicata e straniata del bambino in Gesang der Jünglinge im Feuerofen di Karlheinz Stockhausen.
Non ho ancora chiuso la porta che riconosco le note e i timbri del Sacre du printemps di Stravinskij.
Non ho ancora chiuso la porta che riconsco il tipico sound degli Einstürzende Neubauten.
Non le piace questa radio?, dice il tassista.
Non mi interessa questa musica, dico.
Non ne dubito, dico.
Non pretendo di imporre Stockhausen a tutti, dico.
Non può pretendere di imporre i suoi gusti a tutti.
Non sarà per cinque minuti d’attesa che morirò di freddo.
Non siamo amici.
Non so neanche che radio è.
Non vorrei perdere il controllo di me stesso.
Perché?, dico.
Perché?, dico.
Piove fitto.
Pretendeva che le mettessi su i Genesis.
Prima di partire il tassista allunga la mano destra sul cruscotto, abolisce Stockhausen e passa a una radio di liscio.
Prima di partire il tassista allunga la mano destra sul cruscotto, abolisce Stravinskij e passa a una radio commerciale.
Può scendere, dice il tassista.
Può scendere, dice.
Sa, dice il tassista, pensavo che lei fosse amico di quella là.
Salgo a bordo.
Se siamo più o meno nella stessa direzione, il primo taxi che arriva lo prendiamo tutti e due.
Se vuole un trattamento personalizzato, dice il tassista, deve pagarlo a parte.
Senta, dico, io devo andare, e le dico dove devo andare.
Si avvia.
Si figuri, dice il tassista.
Si mette anche lei ad aspettare, sotto la pensilina.
Si trova sempre l’allocco che paga per le cose più strane, dice il tassista.
Sì, dice il tassista.
Sì, dice il tassista.
Sì, è Venezia 12, dico.
Siamo di strada, dico.
Sono alla stazione ferroviaria.
Sono davanti al cancello di casa e aspetto un taxi.
Sono le sei di mattina.
Sto alla stazione ferroviaria, sotto la pensilina del posteggio, e aspetto un taxi che non arriva.
Sto aspettando da una decina di minuti, dico.
Tuttavia, a me il liscio fa cagare.
Tuttavia, sulla base della mia lunga esperienza, so che la maggioranza dei clienti preferisce il liscio.
Vabbè, senta, dico, io vado.
Vada, vada, dice la ragazza.