Archive for the ‘Diario’ Category

Storia di questa volta

14 ottobre 2015

di giuliomozzi

Sono le sei di mattina. Per sicurezza controllo sulla tabella dei percorsi e sul cartello dell’orario. Sì, l’autobus che mi porterà alla Mandria passerà entro qualche minuto.
Aspetto qualche minuto.
L’autobus arriva.
Salgo.
Viaggiamo.
Tre semafori prima della stazione, lì dove dovrebbe svoltare a sinistra e prendere per la Mandria, l’autobus va dritto.
Mi avvicino al conducente.
“Non andiamo alla Mandria?”, dico.
“Questa volta no”, dice il conducente.

Storia di una volta

13 ottobre 2015

di giuliomozzi

Per sicurezza guardo la tabella. Sì: l’autobus che intendo prendere passa per la stazione ferroviaria.
Aspetto.
L’autobus arriva puntuale.
Salgo.
Viaggiamo.
Tre semafori prima della stazione, l’autobus svolta a sinistra.
Mi avvicino al conducente.
“Non passiamo per la stazione?”, dico.
“No”, dice il conducente.
“Ma sulla tabella ho letto che questa linea passa per la stazione”, dico.
“Una volta”, dice il conducente.
“Una volta quando?”, dico.
“Fino alla settimana scorsa”, dice il conducente.
Oggi è martedì.

Tecniche di seduzione

2 luglio 2015

bergamo

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Teoria e tecnica della comunicazione efficace

2 luglio 2015

autobig3

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Supposizioni

28 giugno 2015

di giuliomozzi

Suona il telefono di casa. Vado a rispondere.
“Buongiorno, è in casa il signor Giulio Mozzi?”, dice una voce baritonale.
“Sono Giulio Mozzi”, dico.
“Quindi è in casa”, dice la voce baritonale.
“Ho risposto al telefono di casa”, dico.
“Mai rispondere direttamente, vero?”, dice la voce baritonale.
“Lei ha saputo ciò che voleva sapere”, dico.
“Lei suppone di sapere che cosa io voglio sapere”, dice la voce baritonale.
“Lei ha chiesto un’informazione, e gliel’ho data”, dico.
“Ma lei non ha la minima idea di che cosa io voglia veramente da lei”, dice la voce baritonale.
“Vuole sapere che cosa penso del suo romanzo”, dico.
La voce baritonale ride.
“No”, dice, “voglio sapere se le interessa la nuova offerta di Vodafone per l’Adsl”.
“Non mi interessa, grazie”, dico.
“Peccato”, dice la voce baritonale. “Per il romanzo ci sentiamo la settimana prossima”.

“La ripetizione è una forma di variazione” (B. Eno).

4 giugno 2015
La variazione è una forma di ripetizione (E. Brian)

La variazione è una forma di ripetizione (E. Brian)

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Richiesta d’informazioni

15 Maggio 2015

di giuliomozzi

Suona il telefono. Numero sconosciuto. Rispondo.
“Buongiorno signor Mozzi, volevo parlare con il signor Mozzi, è lei?”, dice una voce femminile leggermente ansiosa.
“Sono io”, dico.
“Buongiorno signor Mozzi. Le telefonavo per avere qualche informazione sui suoi corsi di scrittura”, dice la voce femminile leggermente ansiosa.
“Mi dica”, dico.
“In realtà, signor, Mozzi, volevo alcune informazioni su di lei”, dice la voce femminile leggermente ansiosa.
“Anch’io voglio un’informazione su di lei”, dico.
“Quale informazione?”, dice la voce femminile leggermente ansiosa.
“Il suo nome”, dico.
“Ah, mi scusi. Sono Arianna. Arianna Bondi”, dice Arianna.
“Bene”, dico. “Allora, Arianna, quali informazioni le servono?”.
“Lei capirà che la qualità di un corso”, dice Arianna, “a prescindere dal programmma che poi è sempre quello che deve essere, con tutti gli argomenti che ci devono essere, dipende sempre dalla qualità del docente”.
“Sono d’accordo”, dico.
“Allora io vorrei sapere se lei ha frequentato la Scuola Holden”, dice Arianna.
“No”, dico.
“Ah, peccato”, dice Arianna.
“Perché peccato?”, dico.
“Perché io cercavo un docente che avesse frequentato la Scuola Holden”, dice Arianna.
“Io ho insegnato nella Scuola Holden”, dico.
“Ha insegnato?”, dice Arianna.
“Sì”, dico.
“Eh, ma non è la stessa cosa”, dice Arianna.

Un imprenditore nell’ambito dell’editoria

13 marzo 2015

squalo-bianco

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Latisana

6 marzo 2015

ScopaAllInsu

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Aznalubma, areknames

4 marzo 2015
Franco Battiato, compositore

Franco Battiato, compositore

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Il collezionista di fotografie di attrici porno vestite

2 marzo 2015

di giuliomozzi

Sei e mezzo di mattina. Sono sotto la doccia. Il telefono mobile, appoggiato sulla lavatrice, trilla. Chiudo l’acqua, mi sporgo, il numero non mi è noto, non rispondo.
Dieci minuti dopo, asciugato e vestito, richiamo. Uno, due, tre, quattro squilli.
“Eh?”, dice una voce maschile.
“Buongiorno”, dico. “Sono Giulio Mozzi”.
“Le pare questa l’ora di chiamare?”, dice la voce maschile.
“Veramente mi ha chiamato lei”, dico. “Dieci-quindici minuti fa”.
“Ma lei chi è?”, dice la voce maschile.
“Sono Giulio Mozzi”, dico.
“E cosa vuole?”, dice la voce maschile.
Riempio i polmoni. Svuoto i polmoni.
“Ho ricevuto una chiamata da questo numero, dieci-quindici minuti fa”, dico. “Non ho potuto rispondere perché ero sotto la doccia. Appena ho potuto ho richiamato”.
“E cercava me?”, dice la voce maschile.
“No”, dico. “Qualcuno, che ha chiamato con il telefono che sta usando lei adesso, mi ha cercato ormai un venti minuti fa”.
“Ah…”, dice la voce maschile. “Forse mia moglie”.
“Può essere”, dico.
“Chi ha detto che è, lei?”, dice la voce maschile.
“Giulio Mozzi”, dico.
“Aspetti che chiedo”, dice la voce maschile.
Elena!, sento gridare, Hai cercato tu un certo Duilio Pozzi?
Non sento la risposta.

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Poliambulatorio

24 febbraio 2015
L'avéz del prinzep, Malga Laghetto, Lavarone

L’avéz del prinzep, Malga Laghetto, lavarone

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Coda al Bancomat

21 febbraio 2015

di giuliomozzi

“C’ero prima io”, dice la signora col cappotto blu.
“Sì”, dice il ragazzo tarchiato, già armeggiando con i tasti, “ma io sono stato più veloce”.

Informazioni

6 dicembre 2014

di giuliomozzi

Ieri, ore 22.20, sull’autobus 12 da Selvazzano Dentro a Padova. A bordo siamo in due: io e un giovanotto alto con una giacca a vento gialla.
Il giovanotto si avvicina al conducente.
“Scusi”, dice. “Questo va in Prato della Valle?”.
“Sì”, dice il conducente.
“E porca…”, dice il giovanotto.
“Qual è il problema?”, dice il conducente.
“Non devo andare in Prato della Valle”, dice il giovanotto.
“Dove deve andare?”, dice il conducente.
“In Stazione”, dice il giovanotto.
“Eh, ma noi andiamo in Stazione”, dice il conducente. “Il capolinea è lì”.
“E Prato della Valle?”, dice il giovanotto.
“Passiamo prima per Prato della Valle”, dice il conducente, “facciamo le Riviere, e andiamo in Stazione”.
“Ma questo non può andare prima in Stazione?”, dice il giovanotto.
“No”, dice il conducente.
“E porca…”, dice il giovanotto.
“Il percorso è così”, dice il conducente. “Siamo in Stazione tra un quarto d’ora, anche meno”.
“Chi se ne frega della Stazione”, dice il giovanotto. “Io devo andare all’Arcella”.
“L’Arcella è dietro la Stazione”, dice il conducente.
“E questo ci passa?”, dice il giovanotto.
“No”, dice il conducente. “Mi fermo in Stazione”.
“E porca…”, dice il giovanotto.
“In Stazione può prendere il tram”, dice il conducente. “O può prenderlo anche nelle Riviere”.
“E quello va all’Arcella?”, dice il giovanotto.
“Sì”, dice il conducente.
“Ma all’Arcella dove?”, dice il giovanotto.
“Fa tutto il viale dell’Arcella, via Tiziano Aspetti, via Guido Reni”, dice il conducente.
“Io devo andare in via Colotti”, dice il giovanotto.
“Mai sentita”, dice il conducente.
“Questo non ci passa?”, dice il giovanotto.

Niente di nuovo

3 ottobre 2014

corvaccio

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Afabetico 2 / Totale

2 ottobre 2014

di giuliomozzi

A carico mio.
Affare fatto, dico.
Ah, dice il tassista.
Allora, se può, dico, la spenga.
Anche perché a me Stockhausen, sarà anche un grande, ma mi fa cagare.
Apro la porta e dico: Prego.
Arriva una ragazza tutta stretta in un giacchino troppo leggero, mal protetta da un ombrello troppo piccolo.
Aspetto un taxi.
Be’, dico, sempre meglio dei Pink Floyd.
Che c’è?, dice il tassista.
Che musica si sente in questo taxi lo decido io.
Ci rimettiamo ad aspettare.
Complimenti, dice il tassista.
Devo soddisfare le esigenze del cliente medio.
Dico solo che se a lei fa piacere ascoltare Stockhausen, fa piacere anche a me.
Do l’indirizzo.
Do l’indirizzo.
Do l’indirizzo.
Do un’occhiata.
Dobbiamo far ascoltare ai clienti questa radio qui.
E allora perché lo mette su?, dico.
E dunque?, dico.
E più sono strane, più pagano.
E’ mezzanotte passata.
E’ mezzanotte passata.
E’ un capolavoro della musica del nostro tempo.
Fa cagare, dice il tassista.
Fa un freddo cane, dice la ragazza.
Fermo, dico.
Fine corsa.
Gli Einstürzende Neubauten vanno benissimo, dico.
Guardi che Stravinskij andava benissimo, dico.
Guardi, dice la ragazza, io devo andare proprio, e mi dice dove.
Ha sempre una musica che fa cagare, dice la ragazza.
I Genesis, dice il tassista. Si rende conto?
I Genesis?, dico.
Il tassista allunga la mano sul cruscotto.
Il tassista frena di colpo.
Il taxi arriva.
Il taxi arriva.
Il taxi arriva.
In questo caso, dico, le dirò che a me Stockhausen andava benissimo.
Infatti, dice la ragazza. Facciamo a metà?
Io su Venezia 12 non ci salgo, dice la ragazza.
L’ho presa su un paio di volte, su quest’ora, dice il tassista.
La prego, dice il tassista.
La ragazza?, dico.
Le chiamo un collega, se vuole.
Lei appartiene a una ristretta minoranza, dice il tassista.
Lei ascolta Stockhausen per suo diletto; salgo io e mette su il liscio; la invito a rimettere su Stockhausen; e lei mi dice che devo pagare per questo.
Lei conosce il Gesang der Jünglinge im Feuerofen?, dice il tassista.
Ma a lei piace questa radio?, dico.
Ma abbiamo la sponsorizzazione.
Ma è Venezia 12, dice la ragazza.
Ma io non devo far piacere a lei, dice il tassista.
Ma noi abbiamo una sponsorizzazione, dice il tassista.
Ma non avevate una sponsorizzazione con una radio commerciale?, dico.
Ma…, dico.
Ma…, dico.
Magari la prossima canzone va meglio, dice il tassista.
Mah, dico. A me pare che qui siamo lei ed io.
Me ne frego della sponsorizzazione, dice il tassista.
Meno male, dice il tassista.
Mi faccia capire, dico.
Mi scusi, dice la ragazza, ma i taxi arrivano?
Naturale, dico.
No, dico.
Non ho ancora chiuso la porta che riconosco la voce distorta, moltiplicata e straniata del bambino in Gesang der Jünglinge im Feuerofen di Karlheinz Stockhausen.
Non ho ancora chiuso la porta che riconosco le note e i timbri del Sacre du printemps di Stravinskij.
Non ho ancora chiuso la porta che riconsco il tipico sound degli Einstürzende Neubauten.
Non le piace questa radio?, dice il tassista.
Non mi interessa questa musica, dico.
Non ne dubito, dico.
Non pretendo di imporre Stockhausen a tutti, dico.
Non può pretendere di imporre i suoi gusti a tutti.
Non sarà per cinque minuti d’attesa che morirò di freddo.
Non siamo amici.
Non so neanche che radio è.
Non vorrei perdere il controllo di me stesso.
Perché?, dico.
Perché?, dico.
Piove fitto.
Pretendeva che le mettessi su i Genesis.
Prima di partire il tassista allunga la mano destra sul cruscotto, abolisce Stockhausen e passa a una radio di liscio.
Prima di partire il tassista allunga la mano destra sul cruscotto, abolisce Stravinskij e passa a una radio commerciale.
Può scendere, dice il tassista.
Può scendere, dice.
Sa, dice il tassista, pensavo che lei fosse amico di quella là.
Salgo a bordo.
Se siamo più o meno nella stessa direzione, il primo taxi che arriva lo prendiamo tutti e due.
Se vuole un trattamento personalizzato, dice il tassista, deve pagarlo a parte.
Senta, dico, io devo andare, e le dico dove devo andare.
Si avvia.
Si figuri, dice il tassista.
Si mette anche lei ad aspettare, sotto la pensilina.
Si trova sempre l’allocco che paga per le cose più strane, dice il tassista.
Sì, dice il tassista.
Sì, dice il tassista.
Sì, è Venezia 12, dico.
Siamo di strada, dico.
Sono alla stazione ferroviaria.
Sono davanti al cancello di casa e aspetto un taxi.
Sono le sei di mattina.
Sto alla stazione ferroviaria, sotto la pensilina del posteggio, e aspetto un taxi che non arriva.
Sto aspettando da una decina di minuti, dico.
Tuttavia, a me il liscio fa cagare.
Tuttavia, sulla base della mia lunga esperienza, so che la maggioranza dei clienti preferisce il liscio.
Vabbè, senta, dico, io vado.
Vada, vada, dice la ragazza.

Alfabetico 1 / Dialogo

2 ottobre 2014

di giuliomozzi

“Affare fatto”, dico.
“Ah”, dice il tassista.
“Allora, se può”, dico, “la spenga”.
“Be’”, dico, “sempre meglio dei Pink Floyd”.
“Che c’è?”, dice il tassista.
“Complimenti”, dice il tassista. “Tuttavia, sulla base della mia lunga esperienza, so che la maggioranza dei clienti preferisce il liscio”.
“E allora perché lo mette su?”, dico.
“E dunque?”, dico.
“Fa cagare”, dice il tassista. “Ma abbiamo la sponsorizzazione”.
“Fa un freddo cane”, dice la ragazza.
“Fermo”, dico.
“Gli Einstürzende Neubauten vanno benissimo”, dico.
“Guardi che Stravinskij andava benissimo”, dico.
“Guardi”, dice la ragazza, “io devo andare proprio”, e mi dice dove.
“Ha sempre una musica che fa cagare”, dice la ragazza.
“I Genesis?”, dico.
“I Genesis”, dice il tassista. “Si rende conto?”.
“In questo caso”, dico, “le dirò che a me Stockhausen andava benissimo”.
“Infatti”, dice la ragazza. “Facciamo a metà?”.
“Io su Venezia 12 non ci salgo”, dice la ragazza.
“L’ho presa su un paio di volte, su quest’ora”, dice il tassista.
“La prego”, dice il tassista. “Non vorrei perdere il controllo di me stesso”.
“La ragazza?”, dico.
“Lei appartiene a una ristretta minoranza”, dice il tassista. “Non può pretendere di imporre i suoi gusti a tutti”.
“Lei conosce il Gesang der Jünglinge im Feuerofen?”, dice il tassista.
“Ma a lei piace questa radio?”, dico.
“Ma è Venezia 12″, dice la ragazza.
“Ma io non devo far piacere a lei”, dice il tassista. “Devo soddisfare le esigenze del cliente medio”.
“Ma noi abbiamo una sponsorizzazione”, dice il tassista. “Dobbiamo far ascoltare ai clienti questa radio qui”.
“Ma non avevate una sponsorizzazione con una radio commerciale?”, dico.
“Ma…”, dico.
“Ma…”, dico.
“Magari la prossima canzone va meglio”, dice il tassista.
“Mah”, dico. “A me pare che qui siamo lei ed io”.
“Me ne frego della sponsorizzazione”, dice il tassista. “Che musica si sente in questo taxi lo decido io”.
“Meno male”, dice il tassista.
“Mi faccia capire”, dico. “Lei ascolta Stockhausen per suo diletto; salgo io e mette su il liscio; la invito a rimettere su Stockhausen; e lei mi dice che devo pagare per questo”.
“Mi scusi”, dice la ragazza, “ma i taxi arrivano?”.
“Naturale”, dico. “E’ un capolavoro della musica del nostro tempo”.
“No”, dico. “Non siamo amici”.
“Non le piace questa radio?”, dice il tassista.
“Non ne dubito”, dico. “Tuttavia, a me il liscio fa cagare”.
“Non pretendo di imporre Stockhausen a tutti”, dico. “Dico solo che se a lei fa piacere ascoltare Stockhausen, fa piacere anche a me”.
“Non so neanche che radio è. Non mi interessa questa musica”, dico.
“Perché?”, dico.
“Perché?”, dico.
“Può scendere”, dice il tassista. “Fine corsa. A carico mio. Le chiamo un collega, se vuole”.
“Può scendere”, dice.
“Sa”, dice il tassista, “pensavo che lei fosse amico di quella là”.
“Se vuole un trattamento personalizzato”, dice il tassista, “deve pagarlo a parte”.
“Senta”, dico, “io devo andare”, e le dico dove devo andare. “Se siamo più o meno nella stessa direzione, il primo taxi che arriva lo prendiamo tutti e due”.
“Sì, è Venezia 12″, dico.
“Si figuri”, dice il tassista. “pretendeva che le mettessi su i Genesis”.
“Si trova sempre l’allocco che paga per le cose più strane”, dice il tassista. “E più sono strane, più pagano”.
“Sì”, dice il tassista.
“Sì”, dice il tassista. “Anche perché a me Stockhausen, sarà anche un grande, ma mi fa cagare”.
“Siamo di strada”, dico.
“Sto aspettando da una decina di minuti”, dico.
“Vabbè, senta”, dico, “io vado”.
“Vada, vada”, dice la ragazza. “Non sarà per cinque minuti d’attesa che morirò di freddo”.

Remix

2 ottobre 2014

di giuliomozzi

Aspetto un taxi.
Arriva il taxi.
Aspetto un taxi che non arriva.
Non ho ancora chiuso la porta.
Arriva il taxi.
Allunga la mano sul cruscotto.
Aspetto un taxi.
Aspetto un taxi che non arriva.

“Guardi che Stravinski andava benissimo”.
“Ma noi abbiamo una sponsorizzazione”.
“Le dirò che a me Stockhausen andava benissimo”.
“Me ne frego della sponsorizzazione”.
“Pretendeva che le mettessi su i Genesis”.
“Ma non avevate una sponsorizzazione?”.
Il tassista frena di colpo.
“Può scendere”, dice. “Gli Einstürzende Neubauten vanno benissimo”

“E’ un capolavoro della musica del nostro tempo”.
“Mi fa cagare”.
“Non le piace questa radio?”.
“Lo decido io”.
“Questa radio qui”.
“Si rende conto?”.
“Non ne dubito”.
“Mi fa cagare”.

Sono alla stazione ferroviaria.
E’ mezzanotte passata.
Sono le sei di mattina.
Sono davanti al cancello di casa.
Sotto la pensilina del posteggio.
E’ mezzanotte passata.
Piove fitto.
“Le chiamo un collega, se vuole”.

Rip.: Aspetto un taxi.
Arriva il taxi, ecc.

Deviazione

1 ottobre 2014

di giuliomozzi

E’ mezzanotte passata. Piove fitto. Sto alla stazione ferroviaria, sotto la pensilina del posteggio, e aspetto un taxi che non arriva.
Arriva una ragazza tutta stretta in un giacchino troppo leggero, mal protetta da un ombrello troppo piccolo. Si mette anche lei ad aspettare, sotto la pensilina.
“Mi scusi”, dice la ragazza, “ma i taxi arrivano?”.
“Sto aspettando da una decina di minuti”, dico.
“Fa un freddo cane”, dice la ragazza.
“Senta”, dico, “io devo andare”, e le dico dove devo andare. “Se siamo più o meno nella stessa direzione, il primo taxi che arriva lo prendiamo tutti e due”.
“Guardi”, dice la ragazza, “io devo andare proprio”, e mi dice dove.
“Siamo di strada”, dico.
“Infatti”, dice la ragazza. “Facciamo a metà?”.
“Affare fatto”, dico.
Ci rimettiamo ad aspettare.
Il taxi arriva.
Apro la porta e dico: “Prego”.
“Ma è Venezia 12”, dice la ragazza.
Do un’occhiata.
“Sì, è Venezia 12”, dico.
“Io su Venezia 12 non ci salgo”, dice la ragazza.
“Perché?”, dico.
“Ha sempre una musica che fa cagare”, dice la ragazza.
“Vabbè, senta”, dico, “io vado”.
“Vada, vada”, dice la ragazza. “Non sarà per cinque minuti d’attesa che morirò di freddo”.
Salgo a bordo.
Non ho ancora chiuso la porta che riconsco il tipico sound degli Einstürzende Neubauten.
Do l’indirizzo.
Il tassista allunga la mano sul cruscotto.
“Fermo”, dico.
“Che c’è?”, dice il tassista.
“Gli Einstürzende Neubauten vanno benissimo”, dico.
“Ah”, dice il tassista.
Si avvia.
“Sa”, dice il tassista, “pensavo che lei fosse amico di quella là”.
“La ragazza?”, dico.
“Sì”, dice il tassista.
“No”, dico. “Non siamo amici”.
“Meno male”, dice il tassista.
“Perché?”, dico.
“L’ho presa su un paio di volte, su quest’ora”, dice il tassista.
“E dunque?”, dico.
“Si figuri”, dice il tassista. “Pretendeva che le mettessi su i Genesis”.
“I Genesis?”, dico.
“I Genesis”, dice il tassista. “Si rende conto?”.
“Be'”, dico, “sempre meglio dei Pink Floyd”.
Il tassista frena di colpo.
“Può scendere”, dice.
“Ma…”, dico.
“Può scendere”, dice il tassista. “Fine corsa. A carico mio. Le chiamo un collega, se vuole”.
“Ma…”, dico.
“La prego”, dice il tassista. “Non vorrei perdere il controllo di me stesso”.

Variante

30 settembre 2014

di giuliomozzi

Sono le sei di mattina. Sono davanti al cancello di casa e aspetto un taxi. Il taxi arriva.
Non ho ancora chiuso la porta che riconosco la voce distorta, moltiplicata e straniata del bambino in Gesang der Jünglinge im Feuerofen di Karlheinz Stockhausen.
Do l’indirizzo.
Prima di partire il tassista allunga la mano destra sul cruscotto, abolisce Stockhausen e passa a una radio di liscio.
“Ma non avevate una sponsorizzazione con una radio commerciale?”, dico.
“Me ne frego della sponsorizzazione”, dice il tassista. “Che musica si sente in questo taxi lo decido io”.
“In questo caso”, dico, “le dirò che a me Stockhausen andava benissimo”.
“Lei conosce il Gesang der Jünglinge im Feuerofen?”, dice il tassista.
“Naturale”, dico. “E’ un capolavoro della musica del nostro tempo”.
“Complimenti”, dice il tassista. “Tuttavia, sulla base della mia lunga esperienza, so che la maggioranza dei clienti preferisce il liscio”.
“Non ne dubito”, dico. “Tuttavia, a me il liscio fa cagare”.
“Lei appartiene a una ristretta minoranza”, dice il tassista. “Non può pretendere di imporre i suoi gusti a tutti”.
“Non pretendo di imporre Stockhausen a tutti”, dico. “Dico solo che se a lei fa piacere ascoltare Stockhausen, fa piacere anche a me”.
“Ma io non devo far piacere a lei”, dice il tassista. “Devo soddisfare le esigenze del cliente medio”.
“Mah”, dico. “A me pare che qui siamo lei ed io”.
“Se vuole un trattamento personalizzato”, dice il tassista, “deve pagarlo a parte”.
“Mi faccia capire”, dico. “Lei ascolta Stockhausen per suo diletto; salgo io e mette su il liscio; la invito a rimettere su Stockhausen; e lei mi dice che devo pagare per questo”.
“Sì”, dice il tassista. “Anche perché a me Stockhausen, sarà anche un grande, ma mi fa cagare”.
“E allora perché lo mette su?”, dico.
“Si trova sempre l’allocco che paga per le cose più strane”, dice il tassista. “E più sono strane, più pagano”.