Archive for the ‘Articoli di Valter Binaghi’ Category

Per Valter

15 luglio 2013

di Gabriele Dadati

[…] Sabato mattina ho partecipato ai suoi funerali a Busto Garolfo. In una chiesa grandissima, davvero gremita di persone. Non so quante, ma tantissime. Segno inequivocabile di quanto la vita di Valter fosse addentellata con numerose altre vite: dagli amici ai conoscenti, dagli studenti ai colleghi, dai vari professionisti con cui ha collaborato alla comunità dei fedeli, e così via. Sono stati funerali belli, dei quali conservo tante piccole faville (immagini, parole dette, canti, preghiere). Una in particolare vorrei condividerla. Alla fine della cerimonia mi sono trovato sul sagrato insieme ad Alessandro Zaccuri e Gianni Biondillo. A un certo punto Alessandro si è guardato intorno e ha detto: “Bisogna venire nei luoghi d’origine di una persona per capirla davvero”. Gianni ha subito risposto: “Guarda quanti giovani”, e Alessandro quasi in contemporanea ha aggiunto: “Guarda quanti giganti come lui”. […]

Leggi tutto l’articolo in Ho un libro in testa.

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Per Valter Binaghi

14 luglio 2013

di Franz Krauspenhaar

Valter Binaghi, il mio amico Valterone, non c’è più. Una delle pochissime persone dell’ambiente letterario a cui voglio bene. Un uomo vero. Se mi chiedete cosa vuol dire per me ‟uomo vero” non saprei rispondere con esattezza. Forse è un modo di essere, di sentire, di esserci anche quando non si è – e come adesso non si è più – che è delle persone che danno, che accolgono, che vogliono il bene degli altri, non solo il loro. Valterone è stato un autore vero, un insegnante amato dai suoi alunni, un amico raro. Sapevo da tempo che era malato, lo avevo sentito al telefono non molti giorni fa, avevamo riso come ai vecchi bei tempi, quando ci si trovava magari al Bar Magenta con altri scrittori, con l’amico Marino Magliani, per esempio, o con Riccardo Ferrazzi, Gianni Biondillo e altri ancora, a parlare di mille cose, a imparare l’uno dall’altro. Adesso sono molto più solo, prigioniero della mia seconda strada, gli abbracci con Valterone sono finiti. Era come essere usciti da una maledetta guerra: lui da quella della droga: era stato uno dei tanti ragazzi intelligenti e di estrema sinistra che aveva trovato la continuazione della lotta, deflagrata in un potente nulla, nell’eroina. Io, di qualche anno più giovane, ed ex simpatizzante del MSI, ero finito straperso nei miei incubi da sveglio, nelle mie paranoie, nei miei dolori insanabili. E ci eravamo incontrati quando tutto era finito da gran tempo, in un dopoguerra del cuore e della mente, quando il mondo era dirottato verso una disperazione mascherata con mille facce dello stesso prisma allucinante.

Continua a leggere l’articolo in Torno giovedì.

Per Valter Binaghi

14 luglio 2013

di Saverio Simonelli

Era un uomo sempre oltre. Oltre il suo tempo, le cose, le voci, i progetti. Bisognava sempre sforzarsi di inseguirlo, di stargli dietro. Oggi ci è sfuggito per l’ultima volta, stroncato da un male con il quale aveva combattuto con forza, con quel misto di fierezza e ironia che erano anche il segreto della sua personalità inimitabile e della sua scrittura. Valter lo avevo conosciuto qualche anno fa. Dopo avrelo letto per mesi sul web provai a chiedergli un ‘intervista in occasione dell’uscita di un suo romanzo, I custodi del talismano. Mi sorprese e mi chiamò lui al telefono dicendo che era un onore essere intervistato dalla mia tv.
Di lì nacque, ultima tra le ultime per lui l’amicizia, che è stata lunghe chiacchierate al telefono, scambio di pareri editoriali, qualche raro pranzo consumato insieme in una trasferta di lavoro. Sempre per me un chiedere e stupirmi di trovare accesso alla sua anima grande, ricca, sfaccettata, un’anima arcobaleno dove potevi trovarci tutto: la sua storia, l’impegno politico giovanile nell’estrema sinistra, il tunnel dell’eroina, poi la conversione, una fede maturata nel dolore personale, nella prova più acuta e quindi splendente e rigorosa, debordante, appunto come era lui.

Continua a leggere nel blog di Saverio Simonelli.

Per Valter Binaghi

14 luglio 2013

di Riccardo De Benedetti

C’è un significato davvero condivisibile alla frase «vedersi morire»? La forma riflessiva fa problema, è il problema. Solo gli altri ci possono vedere, se ci pensiamo. Per quanti specchi possiamo circondarci, mentre viviamo, e il nostro mondo è un mondo di specchi deformanti, nessuno mai ci consentirà di vederci; rinvierà solo l’immagine di quel noi di cui possiamo innamorarci, ma di cui mai potremmo osservare le vere movenze allo stesso modo di come osserviamo quelle degli altri.
Noi sì che soli ti abbiamo visto morire. Tu hai continuato a vivere fino alla fine.
La Priora, in un passo dei «Dialoghi delle carmelitane» di Bernanos, si spaventa quando non si vede più morire. «Dio stesso è diventato un’ombra… Ahimé! Ho più di trent’anni di professione, dodici di superiorato. Ho meditato sulla morte in ogni ora della mia vita, e questo ora non mi serve a nulla!…».
Esponendoti fino alla fine ci hai obbligato non alla semplice meditazione sulla morte che ora non serve a nulla (fino alla prossima) ma a qualcosa di più grande, di più impegnativo, forse anche di contraddittorio.

Continua a leggere l’articolo in Cronache di Pastrufazio.

Per Valter Binaghi

14 luglio 2013

di Paolo Pegoraro

[da Bombacarta, vedi].

«Svaniscono idoli e speranze, e i molti nomi di Dio, e muore sulle labbra ogni invocazione o bestemmia: la stessa luce del giorno trascolora nell’argento, nel rame, nel ferro, fino al piombo di una tenebra sconfinata.
Eppure la notte non è completa: io vivo, io vedo ancora.
Là in fondo, quale fioco barlume impedisce al nulla di proclamare l’ultima verità?
Qualcosa persiste e si muove lontano nel buio e io, che non ho più nome né figura ma solo l’inerzia dell’antico volere, continuo a seguire, come vele nel vento, le mani bianche della mia bambina»

(Valter Binaghi, I custodi del Talismano)

Parlare di un amico che si saluta non è facile. Domani [oggi 14 luglio, ndr] sarebbe stato il suo compleanno, è dovuto partire prima. Valter era una persona conquistata dalla verità. E dall’amore. Uno scrittore allegorico, che ha attraversato tanti generi per parlare sempre di ciò che lo appassionava. Un filosofo nel senso autentico della parola, un amico della sapienza. Non l’ha mai abbandonata: compromessi mai, giudizi ambigui mai, allisciate al potente di turno mai. E per questo ha sempre pagato. I suoi amori: Bernard Lonergan, Gaston Bachelard, Pavel Florenskij. Autori che hanno affrontato globalmente il mistero della realtà, pensatori forti, incontri dai quali non si esce uguali. Anche Valter era così. Ribollente. Per quattro anni abbiamo dialogato a distanza a partire dai suoi libri, romanzi che potevano essere anche formalmente imperfetti, ma in cui rullava sempre la sua anima, potente come un tamburo tribale. Siamo riusciti a incontrarci dopo anni di discussioni al telefono e via mail, è stato come abbracciare l’amico d’infanzia andato a vivere all’altro capo del pianeta.

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Per Valter Binaghi

14 luglio 2013

di Marco Rovelli

[Dal blog di Rovelli in Micromega, vedi].

Valter Binaghi se ne è andato guardando in alto, verso il cielo. “Lo spirito si libera”, mi ha scritto nella mail che ho ricevuto da lui un paio di settimane fa. Non ha nascosto la morte che veniva, ma l’ha guardata in faccia. E ha voluto consegnare ad alcuni suoi contatti quella che lui stesso ha definito “un’eredità”: uno scritto assai articolato (Valter insegnava filosofia) cui ha lavorato negli ultimi mesi della sua vita sulla “conoscenza simbolica”, ovvero sul valore di conoscenza di simboli, metafore e analogie, “laddove i concetti risultano indisponibili o inadeguati”. Ed era così che Valter praticava la letteratura: “come costruzione di simboli, forme articolate in cui si allude come si può all’indefinibilità del mondo”. Valter ha scritto nove romanzi, da L’ultimo gioco del ‘99 a Melissa, la donna che cambió la storia, dello scorso anno. Il romanzo del ‘99 veniva dopo venti anni di silenzio: Binaghi infatti negli anni settanta era stato attivo nella “controcultura” dell’epoca, redattore di Re Nudo, pubblicando per Arcana libri su Pink Floyd, Lou Reed e il punk. Dopo aver traversato – anche e soprattutto esistenzialmente – i territori estremi, territori dell’eccesso, se ne era distaccato radicalmente, con una vera e propria metanoia, una rivoluzione interiore che culminó in una conversione al cattolicesimo, in cui trovó la sua “prima radice”.

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Ogni essere sembra in sé rotondo (Karl Jaspers)

8 luglio 2013

rugiada

pane

Wigwam at Plymouth Plantation

Tre pezzi d’antiquariato, 1 (allegorie)

7 luglio 2013

scacchi platonici

Valter Binaghi, Platone a Siracusa

Per la terza volta Platone faceva quel viaggio: per la terza volta, in piedi sul ponte della nave, guardava allontanarsi le fertili coste italiche finché si riduceevano ad una striscia sottile, bruna, presto inghiottita dal vasto abbraccio del cieelo e del mare. Per la terza volta il suo cuore, prostrato dal volere degli Dei, salutava con rimpianto il filosofico sogno della Giusta Bellezza che redime la terra.
Il monotono cigolìo dello scafo intorpidiva i suoi pensieri, così Platone scese sotto coperta, per un buon sonno. E sognò.

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Tre pezzi d’antiquariato, 2 (allegorie)

7 luglio 2013

Valter Binaghi, Per colpa di una scimmia

Ora che la mia scala è scomparsa,
devo mettermi giù dove tutte le scale hanno inzio,
nella sudicia bottega da rigattiere del cuore.
(William Butler Yeats)

scimmiaIl maestro fu svegliato,nel bel mezzo del suo riposo pomeridiano, da grida scomposte che provenivano dal giardino. Là fuori, sotto i rami contorti e frondosi del fico, i due discepoli disputavano animatamente.
Eraclito cinse le vesti e si affacciò alla porta. “Ebbene?” domandò sorridendo: “Volete forse che tutti i cittadini di Efeso sappiano della vostra sapienza? Per Zeus! Le vostre grida giungono oggi ben oltre i limiti consentiti alla serena conversazione dei saggi!”
“Perdona maestro”, fece il giovane Cratilo, scuotendo i lunghi riccioli dalla fronte abbronzata, “ma costui mi esaspera con la sua testardaggine, nè si arrende quando io esibisco, a conferma del mio argomento, il tuo autorevole detto”.
“Questa è bella!” scattò irruento l’amico Panfilo: “anch’io sono in grado di suffragare il mio discorso con un detto del maestro e sei proprio tu, razza di presuntuoso, ad ignorare tale testimonianza…”
Eraclito scoppiò in una risata e si grattò la barba: “Forse voi credete soltanto di avere lo stesso maestro, ma non è così, se la vostra discussione finisce col mettere Eraclito contro Eraclito stesso. Oppure, come dice il volgo, Eraclito è proprio oscuro e i suoi detti si azzannano tra loro come un groviglio di vipere affamate: in questo caso vi sareste imbattuti in una pessima sapienza, che è stretta parente della follia! Sentiamo comunque qual’è l’origine della disputa”

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Tre pezzi d’antiquariato, 3 (Allegorie)

7 luglio 2013

Valter Binaghi, La grotta di Epimenide

ulisse04Si dice che, prima della generazione attuale, quando ancora la stirpe dei filosofi non aveva visto la luce, la terra fosse abitata da una razza di uomini divinamente sapienti. Uno di costoro, di nome Epimenide, un giorno penetrò in una grotta sacra a Zeus e lì si addormentò, dormendo per molti, moltissimi anni.
Si risvegliò in un altro tempo, e il mondo era molto mutato. Appena gli uomini lo conobbero, si sparse la fama della sua sapienza e molti si recavano da lui. Tra questi giunse un giorno il re Odisseo di Itaca. Egli voleva tutto conoscere e raggiungere le colonne d’Ercole, dove si trovano i confini del mondo, ma venti contrari lo sospingevano ogni volta indietro, e l’impresa era più volte fallita. Così si recò da Epimenide e gli chiese: «Perché l’oriente e l’occidente non si possono ricongiungere?».

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Tre pezzi difficili, 3 (esortazioni)

6 luglio 2013

valter-e-robi-per-blog

Valter Binaghi, Sullo stato del comune sentire

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Tre pezzi difficili, 2 (esortazioni)

6 luglio 2013

insonnia

Valter Binaghi, L’insonne

Che cos’hai, non ti senti bene? –
Mi affretto a rassicurarla, prima che si svegli del tutto: – No, niente. Solo non riesco a dormire – Si gira dall’altra parte con un: – Ah. – moderatamente partecipe.
L’insonne non è un solitario per vocazione, ma non necessariamente è angosciato dall’incombenza di fare da testimone all’altrui serenità. Guardare la tua donna dormire, può essere anche un’esperienza tonificante, quando a poco a poco il suo volto si rilascia nella tranquilla fiducia infantile che a te è preclusa. E se si agita, se qualche immagine onirica perturba la piega delle sue labbra, puoi allungare il braccio, carezzarle la schiena, in un gesto di pura prossimità animale che blandisce i capricci del sangue e scioglie l’intrico di rovi in cui si è impigliato il sognatore.
Quanto all’insonne, se restare immobile per più di due ore risulterà intollerabile (d’altra parte lei ha il sonno leggero, e non puoi svegliarla in continuazione), potrà sempre trovare rifugio sul terrazzo, almeno d’estate, dove una sdraio e un posacenere lo attendono complici, per la quasi quotidiana rivisitazione dei propri appunti di psicologia spicciola.

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Tre pezzi difficili, 1 (esortazioni)

5 luglio 2013

Valter Binaghi, Lettera all’amico miscredente

morimondo5La prima volta che ti ho incontrato eri uno scolaro sporco e malvestito, l’abominio della maestra di terza elementare, quello che graffiava le pagine col pennino spuntato e regolarmente prendeva due in calligrafia. Te ne fottevi del bello scrivere, e succhiavi castagne secche fregate al cartolaio: mentre col mio sussiego di bravo figlio d’impiegati ti mettevo in guardia dalle spaventose reprimende della zitella, allargavi il tuo sorriso sgangherato:
– Dagli una spanna di cazzo e vedrai come si calma –
E così grazie, amico, per avere una prima volta sgomberato l’altare dall’idolo.
Nessun Dio nel candore pastorizzato della pagina di scuola, ma solo addestramento all’obbedienza, e il castigo dei sensi che mimava la virtù.

Ti ho incontrato più tardi, all’angolo della strada, mentre allungavi circospetto una banconota al ragazzino, a venti passi dalla farmacia: – Alcol a 95 gradi. Capito? Di che è per tua mamma, per fare il nocino – A te, nessuno nel paese serviva più nemmeno un bicchierino: eri il barbiere rovinato dal delirium che ha fatto uno sbrego alla guancia paffuta dell’assessore, ubriacone con un piede nella fossa, strafelice di esplodere nell’alto dei cieli come un’inutile cometa, obbrobrio del borghese che amministra i suoi giorni.
E così grazie ancora, per avermi insegnato che siamo figli del lusso e dello spreco: nessun Dio nella partita doppia, nell’economia pelosa dei buoni propositi, nel programma fariseo che affetta il paradiso giorno per giorno senza lacrime e senza gioia: solo uno sbirro cosmico a guardia di quei loro sudati risparmi.
E di nuovo sei venuto sulla mia strada, a scardinare le premesse di un’educazione scientifica mentre imparavo i segreti del motore e dell’accelerazione che ha nome Progresso: eri un bidello che masticava bestemmie, smerciavi panini al salame sottocosto agli studenti alla faccia dell’azienda incaricata dal Consiglio d’Istituto, e ogni giorno deridevi i miei sforzi: – Bella cosa la macchina, e il concerto dei pistoni, e le ruote come mandibole affamate di strada, ma chi guida? – dicevi – chi è che schiaccia il pedale, e decide dove si deve andare? Questa, caro mio, è la scienza che qui ti si nasconde! –
E di nuovo grazie, per avere infranto con una sassata lo specchio mentitore: nessun Dio nell’algido silenzio dei laboratori, nè davanti alle lenti del cannocchiale di Galileo, solo volontà di dominio, e lavori forzati per la natura stuprata.

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Tre pezzi facili, 1 (esperimenti di dialogo)

5 luglio 2013

SUDAN-ECONOMY-OIL

Valter Binaghi, Documento africano

Quello che vediamo all’inizio è una manifestazione celebrativa in un paese africano. Una piazza gremita di gente. Un uomo sul palco, circondato da guardie, che parla in una lingua a noi sconosciuta. L’uomo è alto, ben vestito, sui cinquanta. I capelli crespi tagliati corti, appena brizzolati. Il tono è a tratti accorato, a tratti più aggressivo. Si capisce che promette e minaccia. La qualità della ripresa rivela un piglio amatoriale, e nemmeno tanto esperto. Non solo perchè la mano è incerta, ma anche perchè la ripresa si sposta continuamente dal palco centrale (posto a una trentina di metri dall’operatore) a particolari scarsamente illustrativi della scena: dettagli sulla folla, specialmente su persone di genere femminile, un cagnetto al guinzaglio di una donna bianca (forse una giornalista europea) fino all’inquadratura un po’ troppo insistita su una matrona di colore, non più giovane ma dal seno enorme, gonfio sotto l’abito sgargiante. Poi un improvviso controcampo. Dal viale alberato che porta alla piazza arriva una fila di camionette gremite di soldati. La folla non pare far troppo caso a questo supplemento di sorveglianza. Il discorso sul palco continua, ma l’operatore si allontana definitivamente dallo scenario iniziale. Per qualche altro minuto vediamo sfilare abitazioni borghesi e negozi in quello che dev’essere il quartiere più “occidentale” di una capitale africana, poi la ripresa s’interrompe.

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Creazioni, 19

4 luglio 2013

Valter Binaghi, Venite e vedrete: il mondo si rinnova

farfallediparolenb2Siam venuti su così, con l’idea che conoscere è sollevarsi dalla vischiosa appartenenza alla palude dei corpi, e planare dalle altezze della teoria sulla cartina geografica, dove il mondo è un’arlecchinata di profili bizzarri, l’Italia uno stivale, l’India una tetta pendula di vecchia, il sudamerica un cono gelato già leccato a nordest.
Questo perchè i greci, che in politica han combinato poco ma nelle scienze erano qualcuno, ci hanno impartito la lezione che conoscere è vedere: theoria è veduta, spettacolo della forma, e per ciò stesso, distanza.
Così, pian piano, il mondo è diventato lo scenario indifferente di cui l’uomo occidentale dis-pone, come se non fosse casa sua, come se non fosse corpo proprio: ne ha fatto l’agenda dei suoi successi, la mappa dei suoi averi, il Risiko del potere.
Quest’oggi cari miei, ho preso una decisione: versato nelle scienze e nell’arte di dividere e comporre, che ha fatto di me un uomo singolarmente triste e rispettato, straccio il diploma e siedo come un Giobbe felicemente povero a grattarmi le piaghe con un coccio avendo realizzato che niente al mondo è più sicuro della carnale identità di essere e sentire.

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Creazioni, 18

2 luglio 2013

arciere

Valter Binaghi, A cosa può servire una freccia

Quando il veccchio Re morì, popolo e cortigiani lo piansero entrambi: nelle sale damascate e nei tuguri, nelle osterie rissose e sotto le lugubri arcate del mausoleo. I volti di tutti, però, rivelavano qualcosa più che semplice dolore (ah, potersi abbandonare come bambini al momentaneo sconforto della perdita, e indossare senza incertezze gli abiti listati a lutto!). Ciò che infatti angustiava i più non era la scomparsa del benigno sovrano (negli ultimi tempi, in verità, si era chiuso in uno strano mutismo, e le sue movenze nelle rare apparizioni pubbliche parevano ispirate a una distratta lontananza), ma il destino stesso del regno. Il Re, infatti, non aveva lasciato alcun testamento scritto che esplicitasse le sue ultime volontà, nè un erede designato: cosa questa ancor più singolare, se si pensa che i tre figli maschi erano perfettamente coetanei, nati dall’unico parto trigemino della compianta regina madre, spirata nel darli alla luce.Appena ultimate le esequie, una voce si diffuse dal castello, e immediatamente corse di bocca in bocca: testamento scritto non c’era, tuttavia il defunto sovrano aveva lasciato tre cofani sigillati, chiaramente indirizzati ai figli i cui nomi erano incisi sul prezioso legno di mogano. Nelle intenzioni di quel grande (ultimamente fin troppo silenzioso), quei sigilli dovevano contenere certamente messaggi o doni, che avrebbero permesso di svelare i suoi disegni sulla prole e, con essi, i destini immediati del Regno.
Furono dunque aperti i cofani, in grande solennità, sul palco delle adunanze e alla presenza dei sacerdoti, dei capi dell’esercito e dei tribuni del popolo.

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Creazioni, 17

27 giugno 2013

Valter Binaghi, La musica, simbolo del creato

chagall violinistaNell’universale declino (e insipienza) delle arti rappresentative la musica, sola tra le arti, sa ancora parlare al cuore dell’uomo e se letteratura persiste nonostante tutto è perchè ne è ineliminabile la componente musaica, cioè la nuda voce umana, anche se convertita in grafema, anche se sono parole gridate nel deserto. Infatti la parola non sorretta da autentica voce cantante o narrante è vuota spoglia di manuale tecnico, puro spartito per esecuzioni o best-seller confezionati direttamente in un ufficio editoriale.
E’ dubbio che sia stato l’uomo a inventare la musica o la musica a risvegliare l’uomo a se stesso, attuando la sua più pura espressività. Forse fu questo il segreto del linguaggio adamitico, che andò non distrutto ma frantumato nella superbia di Babele, dove qualcuno pensò di non custodire più l’armonia ricevuta ma di ricrearla secondo la propria “ratio”, per farne uno strumento di potere anzichè il dono di una bellezza condivisa.
Eppure ancora accade, accadrà sempre, finche Dio non si sarà stancato di richiamare l’errante. La musica è come una polla di acqua sorgiva che ti si apre nel prato. Non puoi aprirla da solo, neanche con il talento esercitato, perchè accada occorre che qualcuno insieme a te la veda e facciate la cosa più semplice al mondo: berla. Che sia un trio jazz dei più sfigati, una rock band o un orchestra da camera non è così importante. Può pure essere uno strumento solo, ma se incontra la sete dell’Altro alla polla ci si abbevera insieme..
La musica va oltre il corpo e la psiche anche se le attraversa entrambe per rivestirsene, ma nell’attimo dell’esecuzione la musica si lascia dietro il puro suono e il significato immaginario perchè essa è attratta dal sentimento della Pura presenza, è memoria vivente dell’origine, e solo in quel punto inesteso può trovare il suo seme germinale. Questa consapevolezza spazia dai miti più ancestrali, ai complessi sistemi induisti e cinesi, e trova la sua eco nel più misterioso mito greco: quello di Orfeo, prima che Pitagora provasse a desumerne una filosofia di vita.
C’è qualcosa di meglio della musica per alludere al simbolo? Si attua in una risonanza (il simbolo è riconosciuto, allude ad altro e deve “combaciare”), suggerisce armonie complesse che ne rendono più esplicite le proporzioni e le trasferibilità, e soprattutto riporta il sentimento a una purezza che lo rende capace di mutazione, metamorfosi. Se la direzione è l’altezza, può elevarti a quell’integrità della Forma secondo cui Dio non smette mai di crearti. Perchè per alcuni è così difficile accorgersidi questo dono così largamente offerto agli uomini?

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La conoscenza simbolica / 8 (definitivo)

26 giugno 2013

di Valter Binaghi

c6) L’autopoiesi del soggetto e la tecnica (homo faber- Homo sapiens)

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L’opposizione tra l’Esistenza che è pensiero di un Essere inattingibile e il mondo che è ormai in balia dell’inarrestabile volontà di potenza dell’agire tecnico dispiegato (da quella stessa dualità metafisica inaugurata dal logos ellenico), in Heidegger aveva una sua sincerità. In effetti si trattava dell’esito ultimo di quella che abbiamo definito come una deriva gnostica della filosofia moderna che ovviamente non può essere la cura di se stessa: infatti si limita alla drammatizzazione dell’attesa di un evento salvifico nel Verbo che non può avvenire, semplicemente perchè è già avvenuto ed è stato respinto (“Le Tenebre non l’hanno ricevuta”, scrive il Vangelo di Giovanni), ossia l’Incarnazione. Il Basso Impero dell’epoca è rappresentato dall’era attuale, quella degli epigoni francesi e italiani del vate della Foresta Nera, che coi cascami di quel pensiero si sono guadagnati un posto da corsivisti sui quotidiani nazionali o la partecipazione in qualità di relatori fissi in quelle ridicole rassegne cui si dà il nome fin troppo indicativo di “Festival della Filosofia”. Ovviamente, all’uno e agli altri è possibile indossare le vesti del profeta di sventura o addirittura dell’annunciatore messianico, solo perchè ci si rifiuta di concepire pensiero e tecnica nella loro relazione polare, ostinandosi a farne l’uno la contraddizione dell’altro, come la logica dell’identità parmenidea aveva imposto ab origine.

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