di giuliomozzi
1. vibrisse, pare impossibile, ma è la mia principale fonte di reddito. Quasi tutti coloro che negli ultimi sedici anni mi hanno proposto di fare questo o quel lavoro (cose grandi, cose piccole) mi hanno conosciuto attraverso vibrisse (più che per i miei libri ec.) o attraverso vibrisse si sono fatti una certa idea di me.
2. Per gli altri social media non sono tagliato. Sono troppo vecchio. Appena appena Facebook, ma giusto quello. Già Twitter mi sfugge. Tutti gli altri, sostanzialmente, non so neanche cosa sono.
3. vibrisse è, in qualche modo, un’opera. Certo, le due domande immediatamente successive sono: che tipo di opera? E in quale modo? (Chi ha fatto un editing con me sa che ogniqualvolta m’imbatto nell’espressione “in qualche modo”, domando subito: “In quale modo, dunque?”; e non mi schiodo finché non troviamo la risposta).
4. Tento di rispondere: vibrisse è un’opera ascetica: perché è costituita da pratiche, svolte secondo ritmi definiti, il cui scopo è generare un controllo. Si potrebbe dire che è come cucinare e lavare i piatti tutti i giorni, e non sarebbe tanto diverso (purché nella pratica di cucinare e lavare i piatti si miri a formare dei ritmi definiti, allo scopo – se non altro – di controllare una certa porzione di tempo).
5. Potrei anche dire che, nel corso di sedici e passa anni (il primo numero di vibrisse, allora un bollettino spedito via posta elettronica, fu distribuito il 6 agosto del 2000), mi sono io stesso identificato in vibrisse (e non solo in vibrisse, sia chiaro: mi identifico moltissimo anche in quel coso con due gambe che tutti i fine settimana – o quasi – entra in un’aula e ci sta per un tot di ore).
6. Quasi mai ho dedicato alla scrittura di vibrisse più tempo di quello strettamente necessario a scrivere. Si potrebbe dire che è arte performativa, o qualcosa del genere. Si potrebbe dire che porto ancora i segni del corso di dattilografia (metodo Scheidegger) frequentato quattordicenne: e non sarebbe tanto fuori luogo. C’è una fisicità dello scrivere, c’è una particolare fisicità nello scrivere per pubblicare immediatamente.
7. E Facebook? No, non c’è paragone. Ciò che è pubblicato in vibrisse ha, anche per banali motivi tecnici, una durata che ciò che è pubblicato in Facebook non ha. Facebook è il regno della labilità. Qui si lavora per la permanenza (anche con i libri si lavora alla permanenza, certo; in altro modo).
8. C’è un concorso da finire, e voglio finirlo.
9. Giusto l’altro giorno ho sentito uno (uno dotto, uno colto, uno di quelli che quando ti spiegano una cosa facile la fanno diventare difficilissima) parlare, in tutta serietà, della “casta dei blogger”. E in quella casta mi ci includeva anche a me. Ci misi venti minuti a capire che appartenere a tale casta è, secondo quell’uno, un’infamia. E a quel punto non potevo sottrarmi.
10. Il motivo è uno solo, in realtà: e non l’ho detto.