di giuliomozzi
Per capire che cos’è il libro Plotted: a literary atlas di Andrew DeGraff basta spendere due minuti e guardare il video qui sopra. In sostanza, contiene una serie di “mappe” di un mannello di capolavori della letteratura soprattutto anglosassone (eccezioni: Omero, Kafka, Borges). Libri che conosciamo tutti, da Moby-Dick ad Amleto passando per Orgoglio e pregiudizio e Le avventure di Huckleberry Finn. Ho messo tra virgolette la parola “mappe”, perché va intesa nel senso più largo: la “mappa” di Moby-Dick, per esempio, non riporta i viaggi della Pequod, ma illustra gli esterni e gli interni della nave e di un capodoglio; mentre la “mappa” di Amleto riporta fedelmente i movimenti di tutti i personaggi della tragedia all’interno del castello di Elsinore [e mi ha fatto venire in mente, senza possibilità di scampo, l’Amleto a fumetti di Gianni De Luca (disegni) e Raul Traverso (sceneggiatura)].
L’opera al momento non è in commercio; ne potete trovare un’accurata analisi, a firma di Gianni Brunoro, qui. Il libro di DeGraff non è unico nel suo genere: tra quelli facilmente reperibili, gli si possono accostare almeno The writer’s maps: an atlas of imaginary lands di Huw Lewis-Jones o Literary landscapes: charting the worlds of classic literature di John Sutherland. Un passo più in là, e bello lungo, lo fa Maps of the imagination: the weriter as cartographer, di Peter Turchi (ottimamente recensito qui in vibrisse da Franco Foschi: vedi): che non si limita a proporre visioni cartografiche delle opere letterarie, ma punta piuttosto a descrivere l’immaginario narrativo come immaginario cartografico. E ci riesce. In Atlante del romanzo europeo: 1800-1900 e in La letteratura vista da lontano, Einaudi, Franco Moretti propone un modo nuovo (o nuovo almeno per la storiografia e la teoria della letteratura) di guardare alle opere letterarie: “da lontano”, appunto, ossia usando strumenti (le mappe, le tabelle, le statistiche…) “lontani” da quelli tradizionali delle discipline letterarie.
Perché metto insieme in poche righe un mucchietto di opere così diverse? (Divulgative le prime, sostanzialmente di psicologia cognitivistica il Turchi, seriosissimamente accademiche quelle di Moretti). Perché mi sono da tempo convinto che l’immaginario narrativo non è un immaginario lineare: per far stare ciò che immaginiamo (o ricordiamo, ec.) in una sequenza lineare come le righe di un testo o le pagine di un libro, dobbiamo compiere una forzatura. Probabilmente è proprio la monomedialità forzata della narrazione scritta ciò che genera l’arte; tuttavia, in questi anni, vedendo che anche il più semplice libro o cartone animato per bambini non si nega salti nel tempo, circolarità narrative, piani di realtà ben confusi, sinestesie, e via svariando (vedi ad esempio questo articolo di Edoardo Zambelli su Siamo in un libro! di Mo Willems), mentre in un romanzo scritto anche il ricupero di espedienti ormai banalmente modernisti (cioè: di cent’anni fa) viene percepito come introduzione di difficoltà, respingimento le lettore, intellettualismo e compagnia briscola – mi vien da pensare che forse la letteratura scritta va pensata, immaginata, insegnata, prodotta, pubblicata, eccetera, adottando modi di pensiero un po’ diversi.
E qui mi fermo. Ho dei pensieri che mi ronzano in mente, e mi sembra di essere a un passo da un’intuizione. Ma prima di rimandarvi alla prossima puntata vi metto sotto il naso una pagina del meraviglioso La topografia dei “Promessi sposi” nel territorio di Lecco, di Andrea Spreafico, Bartolozzi editore in Lecco, 1936.
Tag: Alessandro Manzoni, Andrea Spreafico, Andrew DeGraff, Edoardo Zambelli, Franco Foschi, Franco Moreti, Franz Kafka, Gianni Brunoro, Herman Melville, Huw Lewis-Jones, Jane Austen, John Sutherland, Jorge Luis Borges, Mo Willems, Peter Turchi, William Shakespeare
29 ottobre 2019 alle 16:05
bellissimo questo sui promessi sposi nel lecchese. io ho una fissa per i luoghi letterari e artistici, uno degli ultimi libri che ho letto è sui luoghi di van gogh, che ripercorre la sua vita come un unico viaggio. poi di recente ho scritto su saul steinberg, l’illustratore, che sosteneva di aver realizzato un’autogeografia. ma forse, come diceva benjamin, “si scrive sempre per conoscere la propria geografia”
29 ottobre 2019 alle 16:33
Questo articolo è davvero bello e l’intuizione ingolosisce! Non teneteci a stecchetto a lungo.
29 ottobre 2019 alle 20:24
errata corrige: a un passo “di un’intuizione”, a un passo ‘da’ un’intuizione.
30 ottobre 2019 alle 01:23
Grazie, Bart. Ho corretto.
30 ottobre 2019 alle 13:54
Un bel tema, grazie. Alcuni appunti quasi casuali. “The writer is an explorer. Every step is an advance into new land.” E’ una bella frase, probabilmente legata ad un’epoca in cui la metafora dell’esplorazione era molto concreta. Mi viene in Mente Eco, con le sue “passeggiate nei boschi narrativi.” O il “viaggiatore” di Calvino. Quel che voglio dire e’, c’e’ sempra una possibilita’ per una metafora di movimento, di un qualche tipo. E quindi necessariamente di una mappa.
30 ottobre 2019 alle 18:23
Grazie, Giulio. Per coincidenza, proprio in questi giorni, idee affini alle tue ronzavano in mente anche a me. Mi è quindi particolarmente utile.