di giuliomozzi
Antologia maniacale. Ovvero: quei testi sui quali torno in continuazione, a prescindere dal loro valore effettivo (più o meno riconosciuto). Vedi gli altri. [gm]
Mattina
M’illumino
d’immenso.Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917
Il 26 gennaio 2017 – cent’anni dopo – Tiziano Scarpa ha pubblicato in Il primo amore un bell’articolo su questa poesia di Giuseppe Ungaretti (della quale potete leggere, nella riproduzione qui sopra, la prima – più lunga, come spesso in Ungaretti – redazione). L’articolo di Scarpa ricostruisce il contesto, mette Mattina in relazione con altre poesie degli stessi giorni, racconta un breve viaggio a Santa Maria La Longa, cerca di ricostruire in immaginazione come quei pochi – e poi ancora più pochi – versi siano potuti venire in mente al soldato Ungaretti. L’articolo è bello, è chiaro, e vi invito a leggerlo.
Qui farò dell’altro.
Anche le opere d’arte si consumano: soprattutto se vengono consumate, ovvero se vengono trasformate in oggetti di culto o in merci. Alcune resistono meglio al consumo, altre meno. Per esempio, penso si possa dire che La gioconda di Leonardo da Vinci ha resistito abbastanza bene non solo ai furti e a Michel Duchamp che le mise i baffi
e un titolo a dir poco irriverente; ma anche all’uso nelle inserzioni pubblicitarie (particolarmente memorabile quello ideato da Annamaria Testa per Ferrarelle):
Ad altre opere, anche sublimi, va meno bene. Il discredito che circonda uno dei romanzi più belli dell’Ottocento, I promessi sposi, ne è un buon esempio; l’esempio massimo è però
quello famosamente offerto da Fantozzi.
Ora: siamo sicuri (l’avevate capito che volevo arrivare qui, vero?) che la poesia Mattina di Giuseppe Ungaretti non sia diventata, nel senso fantozziano dell’espressione, una “cagata pazzesca”? Cioè qualcosa che non riesce a dire più niente – non per demerito proprio, ma perché il tempo è passato, perché l’opera stessa è stata consumata, magari eccessivamente esaltata, portata a simbolo di qualcosa di cui poi s’è persa la memoria, eccetera.
L’articolo di Scarpa che citavo all’inizio, per esempio, ha qualcosa di sospetto. Possibile, ci si può domandare fingendo ingenuità, che per spiegare una poesia di sette sillabe ci voglia un articolo così lungo, comprensivo di un viaggio a Santa Maria La Longa, di lavoro filologico, di studio e conversazioni? E’ come se al ristorante ci servissero – mi si passi il paragone, che pare uno di quelli dell’anonimo manzoniano – un singolo pisello in un piatto dal diametro di due spanne. Sì, per carità, sarà buono. Ma a me m’è rimasta fame, e quel piattone gigantesco è un po’ sospetto.
Ma a salvarci può essere, imprevedibilmente, ancora Marcel Duchamp.
Tutti lo conoscete, vero? E’ il celebre orinatoio ribaltato che Marcel Duchamp (fingendo di non esserne l’autore: l’opera è firmata R. Mutt) tentò di esporre a New York, con il titolo di Fontana, in una esposizione organizzata dalla neonata Society of Independent Artists. Non essendoci riuscito, si dimise. Ma perché la Society of Independent Artists rifiutò l’opera? Perché, in sostanza, riteneva che non fosse arte.
Non è un caso se Francesco Bonami, stimato critico d’arte e curatore di esposizioni (ha diretto anche una Biennale di Venezia) ha intitolato un suo saggio divulgativo Lo potevo fare anch’io, sottotitolo Perché l’arte contemporanea è davvero arte. E si può dire che la versificazione minimale del primo Ungaretti abbia dato a molti (non subito; diciamo nel secondo dopoguerra) la sensazione che
la poesia
sia
alla portata
di tutti
basta
andare a capo
spesso
isolare le
parole.
E dunque: che relazione c’è tra Fontana di Duchamp e Mattina di Ungaretti, a parte il fatto che sono due opere create nel medesimo anno?
Io dico: sono due opere che hanno fatto fuori molta arte del loro tempo, del tempo immediatamente precedente al loro tempo, e anche del tempo successivo. Duchamp ha cambiato l’idea di che cosa sia l’arte figurativa (sempre che, da lui in poi, si possa parlare dell’arte figurativa come se fosse figurativa); Ungaretti ha cambiato l’idea di che cosa sia la poesia.
Ciò ha avuto delle conseguenze buone, e delle conseguenze cattive. Come più o meno ogni azione umana.
Così, quando vi ritrovate davanti un’antologia scolastica in cui la poesia Mattina è circondata da una moltitudine di note di commento; o quando osservate la sciagurata “mappa concettuale” che è disponibile a tutti presso studenti.it,
provate a considerare che tutto quel daffare non è che un tentativo di soffocare lo scandalo: lo scandalo di una poesia fatta di sette sillabe, non minore dello scandalo di un orinatoio offerto come opera d’arte.
Tag: Annamaria Testa, Francesco Bonami, Giuseppe Ungaretti, Leonardo da Vinci, Luciano Salce, Michel Duchamp, Paolo Villaggio, Tiziano Scarpa, Ugo Fantozzi
16 Maggio 2018 alle 11:39
Ma, in effetti, questa storia del sette ha stancato anche me.
16 Maggio 2018 alle 13:26
!
16 Maggio 2018 alle 18:15
Mi viene in mente il famoso microracconto di Hemingway: “For sale: baby shoes, never worn.”, che è intelligente e basta, giacché, per quel che ne so, non ha fatto scandalo, non è stato sfruttato in pubblicità, nè ha segnato una svolta nel modo di scrivere racconti. Fiat lux lo batte come misura, ma grazie, l’autore batte tutti.
17 Maggio 2018 alle 09:40
bella l’idea di certi apparati critici come barriere per occultare gli scandali palesi dell’arte.
26 Maggio 2018 alle 18:45
Imprescindibile anche la Gioconda Paperina di Disney… Di Hemingway, presente in quella stessa guerra, penso al racconto “Colline come elefanti bianchi”, che è una rivoluzione senza insegne al neon.