[Ennio Bissolati si spaccia per bibliofilo. Recensisce libri che sostiene di aver letto solo lui. Tutte le sue recensioni si trovano qui. gm].
“Era una notte lunga e tempestosa”. Comincia proprio così, senza mezzi termini, questo singolare – benché a modo suo pluralissimo – romanzo d’esordio di Titolo Caldino, ultrasettantenne professore di – così la bandella – Patafisica applicata presso l’università di Accavallavacca, facoltà di Architettura nomade. Basterebbe questo a far cogliere, al lettore arguto, o almeno astuto, il punctum della faccenda. Se una notte d’inferno un peccatore è un romanzo (un romanzo, sia chiaro, un vero romanzo, non un retroavanguardisticamente – come se ne leggono fin troppi oggidì – pedante e tristissimo non-romanzo) stocasticamente composto d’incipit e d’explicit tratti dal meglio e dal peggio della letteratura universale: un’operazione, se di operazione è lecito parlare, o non piuttosto di nevrotico virtuosismo, collagistico-combinatoria, dal retrogusto sensibilmente balestriniano (il Balestrini più romantico e suadente, quello del Tristano), con aromi calviniani e un delicato afrore neopostneoavanguardistico: roba per palati fini, insomma, o per ingenui totali. Ma veniamo alla storia, poiché una storia c’è.
Da qualche parte nel mondo occidentale, ai nostri giorni. Un editore di antica tradizione affida a un anonimo Compilatore di enciclopedie – anonimo, nel senso che il Caldino non ne fornisce il nome, preferendo chiamarlo sempre e comunque “il Compilatore” – l’incarico di compilare un’opera intitolata La letteratura agli inizi: una raccolta di incipit di romanzi e di racconti, ovviamente dei più begli incipit di romanzi e di racconti, un po’ alla maniera degli indimenticati (perché indimenticabili) Dizionario delle immagini e Dizionario delle voci dell’eruditissimo Dino Provenzal, ma più che altro adatta a chi volesse, nella comune conversazione, darsi l’aria di aver letto questa o quell’opera somma, citandone meccanicamente le prime righe. Comunque. Mentre è in quest’onerosa faccenda affaccendato, in un caldissimo giorno di luglio il nostro Compilatore viene a conoscere, ovviamente presso la locale Biblioteca – locale, ma l’autore gioca a non dirci il luogo – la Compilatrice: che, per il medesimo editore sta compilando un’opera intitolata La fine della letteratura, ovvero – ovviamente – una raccolta di explicit.
L’amore scocca, tra i due, così come logica romanzesca vuole; ma una notte di luglio, mentre il Compilatore e la Compilatrice (nel monolocale di lei) si rinfrancano provvisoriamente dal duro lavoro scambiandosi affannosi baci, compulsandosi vicendevolmente, rimuovendo con gesti convulsi le vestimenta, unendo corpo a corpo e bocca a bocca e sesso a sesso – una diabolica folata di vento s’intrufola per la finestra aperta e sciac! sciac! sciac! [*], fa volare qua e là per la stanza, mischiandole e confondendole, le miriadi di schedine in grafia minuissima compilate da lui e le miriadi di schedine in grafia tondeggiante compilate da lei. Che disastro! Il danno sembra irrimediabile. Eppure… Eppure, nel corso di questo enciclopedico romanzo, il Compilatore e la Compilatrice riusciranno, attraversando mille avventure, comparando il comparabile, formando e disfando arcipelaghi e montagne e quasi oceani e Fosse delle Marianne di schede e schedine, a ricostituire l’ordine scompigliato. Apparentemente, però: perché nell’ultima pagina, con gran sorpresa del lettore, misteriosamente, quando le copie fresche di stampa delle due opere giungono finalmente nelle mani del Compilatore e della Compilatrice – ormai, si sarà capito, promessi sposi o giù di lì – si scoprirà che l’incipit del dizionario degli incipit è in realtà un explicit, e l’explicit del dizionario degli explicit è in realtà un incipit (e il titolo del romanzo, sia detto una volta per tutte, lungi dall’avere che fare con quanto narrato, è una mera crasi tra questi due elementi sventuratamente fuori posto). “Si Perecus hoc audiret, in sepulcro rotaretur” è l’exergo posto, convenientemente, non all’inizio dell’opera ma alla sua fine.
Un romanzo pretestuoso, dirà il lettore sempliciotto. Tutto il contrario: un romanzo d’avventura e di passione. Si consideri che, delle settecentoventitré pagine che lo compongono, ben quattrocento dodici sono scene di sesso (eccellenti: piacerebbero, sospetto, anche a quello schizzinoso del mio peraltro gentilissimo ospite) tra il Compilatore e il Compilatrice: cosa che, innegabilmente, agevola la lettura (e fa del romanzo un’opera istruttiva: il vostro bibliofilo, nel congedarsi, ammette che, certe cose, nemmeno immaginava si potessero fare).
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[*] Da pronunciarsi: s’ciàk! s’ciàk! s’ciàk!
Tag: Ennio Bissolati, Georges Perec, Italo Calvino, Nanni Balestrini
2 Maggio 2018 alle 09:58
Non capisco molto di quello che scrivi. Per questo ti leggo sempre!
6 Maggio 2018 alle 19:46
Se questo romanzo fosse stato scritto, avremmo un’opera sublime, perchè l’idea che lo muove è geniale. Chissà perchè dopo aver letto la conversazione tra Giulio Mozzi e Giulio Mozzi (per tacer degli asparagi) ho sentito imminente il ritorno del nostro Bissolati. Non posso che rallegrarmene!