Ragionamento intorno a una tendenza della narrativa italiana attuale

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di Demetrio Paolin

Esiste nella letteratura un personaggio più complesso di Dio? Mi sembra questa una di quelle domande che dovremmo prima o poi iniziare a farci con una certa profondità di analisi. Il problema in questo caso non è tanto essere credenti o meno, quanto riconoscere che il cristianesimo, la Scrittura, la sua teologia e le sue narrazioni sono una miniera inesauribile di immaginazioni. A questo discorso di immaginario si aggiunge, poi, un dato narratologico interessante. Per chi pratica la scrittura osservare il fenomeno di come nasce Dio; o di come Dio si sviluppa nella Bibbia (pensiamo alla differenza tra il Dio della Genesi e quello del Levitico)  è assolutamente centrale.  E questo gioco legato a quale Dio credi potrebbe continuare a lungo, pensiamo solo alle differenze tra il Dio di Paolo e il Dio di Pietro, così pure il Cristo di Luca così differente da quello di Giovanni o di Matteo.

A dire il vero punto focale di questo intervento non è neppure il crociano “non possiamo non dirci cristiani”, ma prendere atto che molte delle categorie che noi usiamo, seppure traslate e rese più liquide dalla modernità, sono in realtà categorie che hanno a che fare con la religione. Il pezzo nasce, quindi, anche dall’esigenza di mettere ordine pensieri che sono nati leggendo una serie di novità  editoriali, che hanno posto al centro la tradizione del libro e la tradizione religiosa, legata alla Scrittura.

In primo luogo mi piacerebbe partire analizzando la collana di narrativa CroceVia che Alessandro Zaccuri ha pensato e dirige per NN Editore. Ora al di là dei nomi degli autori e dei risultati, per ora è stato pubblicato un unico testo, quello della Pariani di cui nei paragrafi successivi dirò qualcosa, mi pare interessante l’assunto che sta alla base della collana. Esistono delle parole, che noi usiamo quotidianamente, ma che sono antiche. Esse contengono in sé una memoria più profonda, e in parte dimenticata, che attiene al discorso religioso. Il progetto di Zaccuri sta nel trovare alcuni palombari/scrittori che scendano negli abissi di queste parole per ritrovarne in senso più originario.

A me pare interessante questo riappropriasi della parola;  è il vangelo di Giovanni a ricordarci che la parola si fa carne, così come è Tertulliano a dirci che il cardine della salvezza è la carne, e quindi  la “parola”, come carne e come salvezza, è sicuramente il centro se non della fede, almeno del nostro immaginario cattolico.

Altro tema molto interessante nel progetto editoriale di Zaccuri è il tema della riscrittura, di rendere nuovamente vivido ai nostri occhi qualcosa che pare sepolto da tempo. Uno dei testi che io amo di più, e credo che sia anche uno dei libri di riferimento di Zaccuri, è Il tempo dei miracoli di Borislav Peckic; il volume è una raccolta di racconti in cui l’autore riscrive buona parte dei Vangeli alla luce della sua dissidenza e della sua carcerazione.

Il bello della Scrittura è appunto la sua possibilità di diventare lo specchio dei tempi in cui l’autore scrive. La parola della Scrittura è una parola che varia a seconda del punto di vista di chi la usa; sarà perché essa nasce per essere traslitterata, interpretata e smontata; ma la parola della Scrittura è veramente uno specchio in cui ognuno che guarda si deforma e viene a sua volta deformato.

Di ferro e d’acciaio, il libro della Pariani, ha ad esempio come nodo centrale la parola passione e racconta la storia di una donna che cerca il proprio figlio incarcerato ingiustamente e che sta per essere giustiziato. Vi ricorda qualcosa? Ovviamente vengono in mente la passione di Giovanni, ma anche Jacopone da Todi e anche i compianti di terracotta di epoca rinascimentale. Quello che mi preme sottolineare in questa riflessione è da un lato l’ambientazione; la Pariani sceglie un futuro prossimo venturo, una società totalitaria che controlla la vita degli uomini e delle donne, che incarcera chi ha pensieri deviati, che ha sostituito i nomi delle persone con numeri.

Nello stesso tempo la struttura narrativa, sotto la superficie della fantascienza, respira di qualcosa di molto più antico; il girovagare della madre in cerca del figlio, l’occhio vigile di un’altra donna costretta a spiarne i movimenti, così come il fatto che questo testo sia un corale dove altre donne raccontano questa storia, mi ha ricordato la lauda di Jacopone, il pianto della madre di Cristo come il pianto di ogni madre che perde il proprio figlio.

Se vogliamo questo è un primo modo di intendere la ri-Scrittura Sacra, prendere un concetto o una postura – nel leggere il libro della Pariani io avevo davanti agli occhi la faccia urlante del Compianto di Nicolò dell’Arca – e calarla in una storia nuova, in questo caso in una storia ambientata nel futuro. Diversa è invece la scelta che fa Davide Brullo che torna nelle librerie con un romanzo dal titolo Pseudo-Paolo (Melville Edizioni), testo esorbitante e sui generis quant’altri mai. Il libro vede al centro una fantomatica e apocrifa lettera di San Paolo a San Pietro, che il protagonista, Davide Brullo, annota e commenta con cura e diligenza anche perché essa è misteriosamente legata al suicidio del padre. Il romanzo di Brullo si   muove, quindi, in due diverse direzioni. Da un lato è appunto la storia di un figlio che prova a riannodare i fili dell’esistenza del padre morto e dall’altra è un abile lavoro di ricostruzione di un testo che Paolo avrebbe potuto veramente redigere. Il segreto di Brullo è quello di non inventare nulla, ma di estremizzare alcuni concetti presenti nelle diverse lettere dell’apostolo e che, spesso anestetizzati dalle omelie dei sacerdoti la domenica, tendono a passare in sordina. Tra i nodi cruciali del romanzo di Brullo possiamo sottolineare il desiderio del credente di morire in Dio, anzi di suicidarsi in lui, e la descrizione del sentimento d’amore di Dio così grande e potente da fargli rinunciare alla propria onnipotenza per  amare l’uomo e salvarlo. Proprio in questo nucleo di temi Brullo denuncia il suo debito verso Il quinto Evangelio di Pomilio, che narra una fantomatica e infruttuosa ricerca un vangelo, il quinto che è la somma di tutto il credo cattolico e  che postula la salvezza di tutti. Se il romanzo di Pomilio rimane all’orizzonte, lo Pseudo Paolo si muove per altri sentieri: il romanzo di Brullo non è il tentavo di mettere insieme stralci e lacerti di un Vangelo,  ma la riproduzione e la riscrittura, per quanto apocrifa, di un testo per intero. Brullo quindi guarda solo a Pomilio, ma se ne distacca per prendere come riferimento Sergio Quinzio e il suo Mysterium Iniquitatis, in cui si racconta la vicenda dell’ultimo papa Pietro II e della sua epistola. Ad accomunarlo al libro di Quinzio non è solo il tema ossessivo della fragilità della salvezza, ma anche quello altrettanto dirompente della progressiva scomparsa e inutilità della Chiesa come istituzione.

L’unico assente dalla narrazione è il Cristo, sui cui appunto lo Pseudo Paolo indugia poco e che il testo della Pariani evoca, ma concentrandosi di più su uno sguardo femminile. Brullo, a dire il vero, si spinge ancora più in là, relegando come poco importante anche la incarnazione del figlio di Dio, che invece è centrale nel romanzo di Roberto Contu Il vangelo secondo il ragazzo (Castelvecchi).

Il libro narra le vicende del vangelo di Marco usando come punto di vista e testimoniale un ragazzo, che fa una sporadica e muta comparsa appunto nel racconto del giovedì santo. Se il romanzo di Brullo si concentrava sulla parola, sulla sua interpretazione, nelle sue pagine Contu lavora maggiormente sui gesti e le azioni. Il Cristo di Contu parla pochissimo, l’attenzione del narratore è più rivolta alla gestualità e alla concretezza delle azioni di Gesù come a suggerci che la vera incarnazione della Parola sta nel modo in cui essa agisce nel mondo. Se vogliamo Contu pensa che siano le opere più che la fede a salvare l’uomo, e quindi mette al centro la storia di un ragazzo che osserva e descrive Cristo mentre compie gesti di salvezza più che annunciarla. Questa interessante prospettiva possiamo osservarla proprio per la scelta di guardare alla storia di Cristo da una angolazione diversa, così simile all’intenzioni presenti nel romanzo La Gloria di Berto. In Berto l’io narrante era Giuda, il traditore; e in quelle pagine s’avverte una immedesimazione tra autore e protagonista del romanzo. Ne Il vangelo secondo il ragazzo, non riscontriamo una medesima sensazione di aderenza tra l’autore e colui che narra la storia; infatti  quello di Contu non è un racconto autobiografico travestito da romanzo, come in parte è La Gloria, ma è la riscrittura di vangelo apocrifo dove questa volta a contare solo i gesti del Cristo più che le sue parole pronunciate.

C’è quindi un movimento sotterraneo, che ogni tanto sgorga in superficie improvviso, e come in questo caso con tre testi completamente diversi per attitudine, narrazione, che – però – attingono da un medesimo immaginario.  Non voglio ovviamente fornire un catalogo completo ed esaustivo di questo tipo di testi, ma solo fotografare un momento nuovo della nostra narrazione. C’è stato un periodo in cui usare parole come colpa, sacro, peccato, male e bene, alla luce dell’immaginario o della fede, sembrava disdicevole. E oggi? E  se il vero protagonista della scena letteraria italiana del 2018 fosse Dio?

 

Testi di riferimento:

AA.VV, Bibbia

G.Berto, La Gloria, Neri Pozza

D.Brullo, Pesudo-Paolo, Melvielle Edizioni

R.Contu, Il vangelo secondo il ragazzo, Castelvecchi

B.Pekic, Il tempo dei Miracoli, Fanucci

L.Pariani, Di ferro e d’acciaio, NNE

M.Pomilio, Il quinto Evangelio, L’orma edizioni

S.Quinzio, Misterium Iniquitatis, Adelphi

Jacopone da Todi, Laudi

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2 Risposte to “Ragionamento intorno a una tendenza della narrativa italiana attuale”

  1. Andrea Taglio Says:

    Mi pare una analisi un po’ forzata, anche se l’affermazione iniziale (se esiste un personaggio più complesso di dio) mi ha fatto sorridere: se dio fosse un personaggio di un romanzo da pubblicare come minimo sarebbe cassato come ‘inconsistente’ già al primo editing, prima ancora di vedere la stampa 🙂

  2. Marco Zonch Says:

    Questa che lei individua è, in un certo senso, l’oggetto del mio studio; da alcuni anni a dire il vero.

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