Alain Robbe-Grillet nasce a Brest nel 1922. Ingegnere agronomo, scrittore, cineasta (un esempio della sua produzione si può trovare qui: Glissements progressifs du plaisir, Slittamenti progressivi del piacere), è uno dei quattro maggiori scrittori del cosiddetto Nouveau Roman, Nuovo Romanzo (scrittori pubblicati dalle Éditions de Minuit: Robbe-Grillet, Michel Butor, Nathalie Sarraute e Claude Simon al quale nel 1985 fu assegnato il Premio Nobel).
“Il Nouveau Roman non è una teoria, è una ricerca”, scrive Robbe-Grillet: si tratta in effetti di un momento della letteratura francese (siamo tra il 1950 e il 1960 circa) caratterizzato dal rifiuto della forma romanzesca tradizionale (rifiuto rivolto in particolare alla trama, ai personaggi, alla verosimiglianza).
Famosissimo il suo “quartier de tomate”, quarto di pomodoro; i suoi romanzi più conosciuti sono Le gomme (1953), Il voyeur (1955), La gelosia (1957), tutti pubblicati in Italia presso Einaudi.
Muore a Caen nel 2008.
Pubblicata in Francia nel 1962 presso Les éditions de Minuit e in Italia nel 1963 presso Einaudi, la raccolta Instantanés, Istantanee, per quanto minuscola e poco conosciuta, è un punto di vista interessante per osservare l’opera di Robbe-Grillet.
Proprio perché piccola, infatti, permette al lettore di individuarne meglio la struttura e di prestare attenzione agli indizi, per arrivare infine a capire com’è fatta, e a che cosa ha mirato, la ricerca personale dell’autore.
109 pagine nell’edizione francese, 73 in quella italiana, Instantanés è composta da sei racconti, cinque dei quali pubblicati originariamente su rivista dal 1954 al 1962:
Trois visions réfléchies, Tre visioni riflesse (Il manichino, Il sostituto, La direzione sbagliata)
Le chemin du retour, La via del ritorno
Scène, Scena
La plage, La spiaggia
Dans les couloirs du métropolitain, Nei corridoi della metropolitana (La scala mobile, Un sottopassaggio, Dietro il portello)
La chambre secrète, La stanza segreta
Parlando di Robbe-Grillet è obbligatorio parlare di Roland Barthes (è stato detto che non c’è Robbe-Grillet senza Barthes). Partirò quindi dalle osservazioni di Barthes sulla scrittura di Robbe-Grillet:
Bisogna ricordare il fondo tradizionale sul quale si leva il tentativo di Robbe-Grillet: un romanzo fondato da secoli come esperienza di una profondità. […]
La scrittura di Robbe-Grillet è senza alibi, senza spessore e senza profondità: rimane alla superficie dell’oggetto e la percorre in maniera eguale, senza privilegiare l’una o l’altra delle sue qualità.
Il primo racconto delle Visions réfléchies, Le mannequin, tre pagine appena nell’edizione italiana, cinque in quella francese, conferma a prima vista questo assunto: una caffettiera occupa nel testo una posizione primaria, all’inizio e alla fine del testo e fisicamente al centro di un tavolo rotondo in una grande stanza, e da oggetto comune che è diventa protagonista debordante, sostituendosi ai personaggi umani.
“Descrivere le cose” afferma Robbe-Grillet in Pour un nouveau roman, “significa piazzarsi deliberatamente all’esterno”. Ed è dall’esterno, infatti, che il lettore vede.
La caffettiera è sul tavolo.
È un tavolo rotondo con quattro gambe, ricoperto da una tela cerata a quadretti rossi e grigi su un fondo neutro, un bianco giallastro che forse una volta era avorio – o bianco. Al centro, una piastrella in ceramica fa da sottopiatto; il disegno ne è interamente mascherato, o almeno reso irriconoscibile, dalla caffettiera che vi è posata sopra.
La caffettiera è in maiolica scura. È formata da una sfera sormontata da un filtro cilindrico munito di un coperchio a forma di fungo. Il becco ha la forma di una S dalle curve attenuate, leggermente panciuta alla base. L’ansa, se vogliamo, ha la forma di un orecchio; ma di un orecchio mal fatto, troppo arrotondato e senza lobo, che avrebbe quindi la forma di un’ansa da vaso. Il becco, l’ansa e il fungo del coperchio sono color crema. Tutto il resto è di un bruno chiaro molto compatto, e brillante.
Sulla tavola c’è solo la caffettiera; davanti alla finestra, sulla destra, c’è un manichino e dietro al tavolo si trova un camino con un grande specchio. In questo specchio si riflettono metà finestra e un armadio a specchi. Così, per un gioco di riflessione di riflessioni, nello specchio sopra il camino trovano posto tre metà di finestra: una riflessa direttamente, le altre due riflesse in realtà nello specchio dell’armadio (due metà dritte, una al rovescio: immagine, dunque, irreale). Nello specchio si vede anche, ovviamente, il manichino, anzi tre. Il manichino centrale si trova
esattamente nella stessa direzione della caffettiera posata sul tavolo.
Alla fine della prima parte, scopriamo che la caffettiera si comporta a sua volta come uno specchio – uno specchio però deformante:
Sulla parte sferica della caffettiera brilla un riflesso deformato della finestra, una sorta di quadrilatero i cui lati sarebbero degli archi di circonferenza. La linea formata dai montanti di legno, tra i due battenti, si allarga bruscamente verso il basso in una macchia piuttosto imprecisa. Si tratta senza dubbio, ancora, dell’ombra del manichino.
Troppo minuziosa, la descrizione della caffettiera e dell’intera stanza, e troppo esattamente orchestrata, per essere solo una descrizione. Fuorviante, certo, ma non del tutto esaustiva né così satura come potrebbe sembrare. Infatti, di colpo, nella seconda parte del racconto (evidenziata da una semplice spaziatura), al posto della figura umana che probabilmente a questo punto ci si aspetterebbe, arrivano alcune stranezze, che cominciano a dare un altro volto alla “freddezza” oggettiva mostrata fino a questo momento.
La stanza è molto chiara, dal momento che la finestra è eccezionalmente larga, benché non abbia che due ante.
Un buon odore di caffè caldo arriva dalla caffettiera che si trova sul tavolo.
Il manichino non è al suo posto: di solito lo si sistema nell’angolo della finestra dal lato opposto all’armadio a specchi. L’armadio è stato messo là per facilitare le prove dei vestiti.
Il disegno del sottopiatto rappresenta una civetta, con due occhi grandi e un po’ spaventosi. Ma, per il momento, non si distingue niente, a causa della caffettiera.
Ecco arrivati, dunque, in sostituzione del personaggio classico, un occhio che svela gli aspetti nascosti, una memoria che conosce le abitudini all’interno della stanza, un naso che sente gli odori, e una mente che osservando deduce (dal momento che-benché). Nient’altro. Il racconto finisce qui.
Non è inutile porre a questo punto l’accento sul fatto che la civetta, uccello notturno, mette ovviamente lo sguardo in primo piano, così come è – di fatto – per tutta l’opera di Robbe-Grillet (che abbandona, a un certo punto, la letteratura in favore del cinema); ma nello stesso tempo, e tradizionalmente, la civetta rimanda sia a saggezza che a demonicità.
Ritroviamo il manichino, o un suo simile, nel fantoccio di carta del secondo racconto, Le remplaçant: un alunno legge ad alta voce ai compagni un testo che racconta di un presunto fatto storico. Il ripetitore (assistente del maestro, dunque un suo sostituto) lo interrompe perché non legge bene. La classe guarda il fantoccio anziché il libro, il ripetitore talvolta guarda all’esterno dove uno studente sta fissando un albero, e il testo del libro, che tutti trovano noioso, è sostituito prima da un immaginario e poi dal riassunto che ne fa un alunno.
Del riassunto viene però fatto uno strano resoconto all’imperfetto (si abbandona dunque il passato remoto usato fino a quel momento: il rifiuto del passato remoto è proprio del Nouveau Roman – ma come non ricordare qui André Breton che a supporto della propria avversione per l’attitudine realista citava Paul Valéry e il suo presunto rifiuto di scrivere frasi come “la marchesa uscì alle cinque”?):
Tuttavia dava troppa importanza a fatti secondari e, al contrario, menzionava appena, o anche per niente, alcuni avvenimenti di primo piano. Poiché, oltretutto, insisteva più volentieri sulle azioni che non sulle loro cause politiche, sarebbe stato ben difficile per un auditore non esperto districare le ragioni della storia e i legami che univano le azioni così descritte tra di loro come con i vari personaggi.
Questo passaggio, non privo di ironia, crea un parallelo piuttosto evidente con il tipo di ricerca e di scrittura portata avanti da Robbe-Grillet e da tutto il Nouveau Roman: abbandono della trama tradizionale, abbandono dei personaggi tradizionali, abbandono della psicologia come terreno in cui scavare. A mio parere, ci troviamo qui, anche, di fronte alla richiesta, al desiderio, forse, se non addirittura allo svelamento, di un lettore più astuto, più esperto (un altro sostituto!), che richiama quello delineato da Nathalie Sarraute in L’Età del sospetto: “Non soltanto il romanziere non crede più molto ai suoi personaggi, ma il lettore, dal canto suo, non riesce più a crederci”.
Ne La mauvaise direction, assistiamo al passaggio (sostituzione) da un paesaggio naturale, uno stagno sulla cui superficie si riflettono dei tronchi – paesaggio, dunque, ancora una volta rovesciato, e all’interno del quale a un certo punto arriva “un personaggio” e non una persona – assistiamo, dicevo, al passaggio da un paesaggio a una scena:
La scena è di nuovo vuota. […]
Sul fondo delle strisce d’ombra, risplende l’immagine, tagliata in tronconi, delle colonne, inversa e nera, miracolosamente lavata.
I tre aggettivi dell’ultima frase rimandano chiaramente a un linguaggio fotografico.
Ritroviamo un’altra scena nel racconto La scène, in cui, per farla breve, esiste una sovrapposizione, che potremmo benissimo definire confusione, ma senza dubbio si tratta di un’altra sostituzione, tra il piano della realtà e il piano della recitazione: un attore (il “personaggio presente sulla scena”), impegnato in una prova, viene interrotto da una voce, dall’ampiezza anormale poiché proveniente da un megafono, e ricomincia da capo la sua recitazione.
“Più forte!”, dice il megafono in sala.
“Adesso, qui, la mia vita, ancora…” pronuncia la voce naturale – quella del personaggio sulla scena.
“Più forte!”, dice il megafono.
“Adesso, qui, la mia vita, ancora…”, ripete il personaggio alzando il tono.
Poi si immerge di nuovo nella sua opera.
Molto altro si potrebbe dire di Istantanee, scendendo nei dettagli di un livello di lettura molto attento (velocemente cito i tre bambini del racconto La plage, in cui la descrizione della spiaggia e del movimento sincrono dei bambini occupa una parte preponderante rispetto alla storia, alla narrazione in senso tradizionale, che è esercitata, per di più, e solo alla fine, in maniera parziale, illusoria, direi infantile).
Mi soffermo soltanto, per finire, sulla S della caffettiera, che ritorna nel racconto La chambre secrète, l’ultima delle Istantanee.
Questo racconto era stato scritto, all’origine, su richiesta, per una pubblicazione che poi però non si era realizzata: la richiesta era di descrivere un quadro a scelta, e Robbe-Grillet sceglie un dipinto immaginario attribuendolo a Gustave Moreau (a cui il racconto è dedicato).
Il testo mette in scena un crimine sessuale, e inizia con una descrizione fatta dei soli elementi fisici della vittima e dello spazio (definito anche “décor”, scenario) in cui si trova. Dopo aver descritto una macchia rossa, la scena, il corpo, un uomo sul fondo, ecco che
Un fumo leggero sale in volute.
Finché, a partire da una riflessione sull’illuminazione della stanza:
È difficile anche dire da dove viene la luce. Nessun indizio, sulle colonne o al suolo, dà la direzione dei raggi. Non c’è d’altra parte alcuna finestra visibile, nessuna fiamma. È il corpo lattiginoso stesso che sembra rischiarare la scena,
lo sguardo dell’osservatore si sposta sull’uomo, l’assassino, già rivolto verso l’uscita, in direzione di una scala i cui gradini
diminuiscono poi progressivamente via via che si innalzano, e abbozzano nello stesso tempo un ampio movimento a elica.
L’uomo, inoltre,
il piede sinistro sul secondo gradino e il destro già posato sul terzo, il ginocchio piegato, si è rigirato per contemplare un’ultima volta lo spettacolo. Il lungo mantello flottante che si è gettato in fretta sulle spalle, e che tiene con una mano all’altezza della vita, è stato trascinato dalla rotazione rapida che ha appena riportato la testa e il busto nella direzione opposta al suo cammino, un lembo di stoffa sollevato in aria come per effetto di un colpo di vento; l’angolo, che si arrotola su se stesso in una S abbastanza larga, lascia vedere la fodera di seta rossa con ricami d’oro.
Il suo sguardo, ancora attratto dal corpo della donna senza vita riversa sui cuscini, e la ripetizione ossessiva delle S, rivelano il lato infernale e sadico del desiderio, in cui il lettore è per forza di cose coinvolto.
Tutti questi elementi sono sufficienti a rivelare un piano testuale quantomeno duplice delle Instantanee:
– l’oggettività dell’oggetto, da un lato,
– e la soggettività dello sguardo dall’altro,
che rimangono però due elementi indipendenti.
Instantanee ci mostra, come del resto affermava Bruce Morrissette (il quale, rovesciando la visione totalmente “esterna” di Barthes, ha applicato agli oggetti di Robbe-Grillet la funzione di correlativi oggettivi, cioè di sostegni psicologici), che nell’opera di Robbe-Grillet opera una falsa immobilità: così come in un’istantanea è possibile catturare un istante di immobilità che corrisponde in realtà a una piccolissima frazione di movimento, gli oggetti freddi, esteriori, vuoti, “lavati” (per riprendere un aggettivo importante nel testo) di Robbe-Grillet chiamano d’altra parte un soggetto che osserva, interpreta, pensa e si muove per passione – che non è più, però, il soggetto/personaggio/narratore tradizionale.
“Il punto di vista di un personaggio romanzesco deve trasformarsi”, dice Morrissette, “in una sorta di pensiero-immagine (ogni pensiero proietta sul mondo una sequenza di immagini deformate più o meno secondo il grado di desiderio, di timore, di emozione del personaggio)”.
Questo è, in fondo, il tentativo del Nouveau Roman.
Tag: Alain Robbe-Grillet, Antonella Bavetta, Bruce Morrissette, Claude Simon, Gustave Moreau, Michel Butor, Nathalie Sarraute, Paul Valéry, Roland Barthes, Vincent Van Gogh
17 novembre 2017 alle 12:49
Grazie per questa bella interpretazione del libro “istantanee” di Robbe-Grillet.
Una domanda: quale lettore ideale sottende questa forma di “narrazione”?
Se in questa forma di “narrazione” c’é:
– l’oggettività dell’oggetto, da un lato,
– e la soggettività dello sguardo dall’altro” , come tu dici, quale parte viene assegnata al lettore ( o meglio l’autore auspica che il lettore ponga in essere)?
17 novembre 2017 alle 16:21
Ciao Maria Rosa, grazie a te.
Provo a risponderti prendendo in prestito ancora una volta le parole di Eco (cap. 3 Il lettore modello; 3.1 Il ruolo del lettore, da Lector in fabula – ho sottomano l’edizione francese, ma siamo lì): “un testo si distingue da altri tipi di espressione grazie alla sua maggiore complessità. E la ragione essenziale di questa complessità è che il testo è un tessuto di non-detto (cfr Ducrot 1972). […] è esattamente questo non detto che deve essere attualizzato […]. Così un testo […] richiede dei movimenti cooperativi attivi e consapevoli da parte del lettore”.
Quando, ad esempio, nella scrittura di Robbe-Grillet, arriva il passaggio già citato:
“Tuttavia dava troppa importanza a fatti secondari e, al contrario, menzionava appena, o anche per niente, alcuni avvenimenti di primo piano. Poiché, oltretutto, insisteva più volentieri sulle azioni che non sulle loro cause politiche, sarebbe stato ben difficile per un auditore non esperto districare le ragioni della storia e i legami che univano le azioni così descritte tra di loro come con i vari personaggi”,
il lettore postulato dall’autore è quello che si rende conto (per esperienza o per puro intuito: non è necessario “sapere” ma è necessario leggere cooperativamente, non passivamente; qui si aggancia il ragionamento di Nathalie Sarraute che usa se non sbaglio l’aggettivo “rimasticato” a proposito dei romanzi tradizionali) che Robbe-Grillet non sta più (o non solo) parlando del resoconto dell’alunno ma si riferisce invece a qualcos’altro.
È ciò che si augura – anzi: ciò che invita a fare Perec quando mette a epigrafe della Vita istruzioni per l’uso la citazione di Verne: “Guarda con tutti i tuoi occhi, guarda” (traduzione letterale orribile ma, credo, efficace).
18 novembre 2017 alle 10:03
Questa scrittura fotografica lascia al lettore il piacere di immaginare e raccontare una vicenda a cui l’autore allude appena. Nell’istantanea della caffettiera, il manichino e l’accenno alla prova dei vestiti possono far pensare a un sarto in attesa di un cliente. Stabilire quel che è successo prima — le richieste del cliente, la scelta della stoffa, la confezione del vestito — e quello che succederà poi — l’arrivo del cliente, la prova, le rifiniture — è lasciato al lettore. Dentro questi pochi indizi potrebbe stare un bel pezzo del “Cappotto” di Gogol’.
Grazie ad Antonella Bavetta per questa bella passeggiata fra le Istantanee.
18 novembre 2017 alle 12:32
Grazie, Antonella Bavetta, per questa approfondita lettura de “Le istantanee” e del nouveau roman. Ho utilizzato questo testo nel laboratorio di lettura e scrittura sul paesaggio che ho guidato lo scorso anno, dal momento che si rifletteva sul rapporto tra descrizione e sguardo. Ha avuto un effetto dirompente. Non è detto che apra nuove strade – non è una guida, in questo senso; o, se lo è, è poco sensata seguirla, a mio parere – ma sicuramente rende insoddisfacenti quelle abituali (ma questa è forse una di quelle affermazioni generiche, buone per tutto ciò che è sperimentale). Comunque di grande suggestione. Per dire: ho fatto due sogni in cui ho “utilizzato” il paesaggio della sua spiaggia.
@Luca Tassinari,
rileggerò “Il cappotto” – ne ho un ricordo impreciso – ma effettivamente l’atmosfera potrebbe essere quella. Grazie.
18 novembre 2017 alle 13:10
Antonella, grazie. Si impara un sacco.
18 novembre 2017 alle 13:33
Volendo andare al presente editoriale, tre titoli di Robbe-Grillet si trovano ora nel catalogo della casa editrice Nonostante (www.nonostante.it), assieme ad altre pubblicazioni e riproposizioni interessanti, soprattutto di area francese. Un saluto
18 novembre 2017 alle 15:26
Scusatemi, mi correggo, il sito della casa editrice Nonostante è https://www.nonostantedizioni.it.
Lí trovate le recenti edizioni di “Istantanee”, “Le gomme” e “Il voyeur”
18 novembre 2017 alle 20:11
Scusatemi. Trovo il testo e la sua perfetta analisi intrigante, ma lo trovo un’operazione chirurgico-letteraria, molto lontana da quello che è il mio concetto di letteratura e anche di sperimentazione. Mi sembra di stare davanti ai coniugi Arnolfini fiamminghi, facendo molti passi indietro. Insomma, sento la stessa sensazione di freddo intenso che provo davanti a tutto il Dada. Ma questa è solo un’opinione modesta. Grazie comunque, l’articolo è splendido.
18 novembre 2017 alle 20:12
Oh, è stata una lettura molto interessante: ho imparato delle cose. Merci
18 novembre 2017 alle 23:29
Fiammetta Palpati, leggere e rileggere Gogol’ è cosa buona e giusta 🙂
E dal copista Akakij Akakievič si passa con naturalezza al Bartleby scrivano di Melville, e via raccontando. Sono d’accordo che la strada segnata da Robbe-Grillet non sia molto sensato indicarla come modello, anche perché per seguirla toccherebbe essere un artista a tutto tondo come lui, che non è cosa scontata. Però, almeno per me, è innegabile che quel tipo di scrittura abbia una capacità evocativa davvero rara.
E capisco bene anche Rossana v.: sì, è una scrittura fredda, e trovo che l’aggettivo “chirurgica” sia molto azzeccato, ma chirurgia e freddezza lasciano al lettore il piacere, e in un certo senso l’onere, di fornire al racconto pietà e calore, per così dire. Se mai le neo-avangurardie hanno lasciato qualcosa di buono, credo che sia proprio il punto già sottolineato da Antonella: promuovere il lettore da spettatore a co-narratore.
19 novembre 2017 alle 09:59
Concordo con Luca (e rivedrò anch’io Il Cappotto, ché con Bartleby, poi, si arriva a Perec): per quello citavo Eco, Sarraute e lo stesso Robbe-Grillet quando dice che il Nouveau Roman non è una teoria ma una ricerca.
La “freddezza” (quante volte se lo sarà sentito dire?) che si avverte è l’estremizzazione della distanza che spetta al lettore eliminare e di cui l’autore non vuole più farsi carico da solo (a meno di non offrire altro “cibo rimasticato”).
Non si può seguire sempre, questa strada, né intende essere definitiva, ma ha il merito letterario di aver cercato e indicato un’alternativa.
Nathalie Sarraute scrive nel 1950: “I critici possono anche far finta, da bravi pedagoghi, di non notare niente, e non mancare occasione di proclamare con un tono da verità fondamentale che il romanzo è e sarà sempre, prima di tutto, ‘una storia in cui si vedono agire e vivere dei personaggi’; che un romanziere può dirsi tale solo se è capace di ‘credere’ ai suoi personaggi, cosa che gli permette di renderli ‘vivi’ e di dar loro uno ‘spessore romanzesco’; possono distribuire elogi a profusione a coloro che sanno ancora, come Balzac o Flaubert, ‘dare vita’ a un eroe romanzesco”, ecc ecc.
Se si guarda da questo punto di vista, secondo me, c’è davvero da imparare.
Alberto: sì, è vero: altro grande merito (hanno ripubblicato, se non sbaglio, anche Tropismi).
Grazie a tutti di aver letto.