Come sono fatti certi libri, 29 / “I falsari”, di André Gide

by

Van Eyck, I coniugi Arnolfini, 1434, dettaglio

di C. P.

[Ho letto I falsari la prima volta circa 25 anni fa, era tra i testi obbligatori per un esame. L’ho riletto in questi giorni, perché era in una lista di libri proposti da Giulio Mozzi su Facebook come possibili soggetti per la rubrica https://vibrisse.wordpress.com/category/come-sono-fatti-certi-libri/”, e mi è venuta voglia di provare a scriverci su un pezzo. Nessuna delle due volte, quindi, ho letto il libro in modo disinteressato, per il puro piacere di farlo. Tutte e due le volte, mentre lo studiavo, mi è pesato leggerlo con uno scopo, avrei voluto godere di più della sua spensierata irriverenza, della leggerezza del suo stile, e pensare meno ai meccanismi complicati che nasconde. Spero di leggerlo ancora una volta, magari fra altri vent’anni, e godermelo per quello che è, un bel libro. Sconsiglio a chi non avesse letto il romanzo di leggere queste mie elucubrazioni, sarebbe come leggere su Wikipedia cos’è L’arte della fuga di Bach invece di ascoltarla.]

Sua Altezza Serenissima fa un viaggio attraverso i suoi Stati e nota tra la folla un uomo che, nell’aspetto imponente, gli assomiglia in modo straordinario. Gli fa cenno di accostarsi e gli domanda: Vostra madre è stata a servizio a Palazzo, vero?- No, Altezza – è la risposta – ma c’è stato mio padre.

Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, 1905.

Massimo Emiliani, copia d’autore de I falsari di Caravaggio


“Sarà il caso di pensare che sento dei passi nel corridoio”, si disse Bernard. Alzò la testa e si mise in ascolto. Ma no: il padre e il fratello maggiore erano ancora in Tribunale; la madre in giro per visite; sua sorella a un concerto; e in quanto al fratello minore, il piccolo Caloub, una pensione lo inghiottiva tutti i giorni appena uscito da scuola.
Bernard Profitendieu era rimasto in casa a sgobbare per gli esami; gli restavano solo tre settimane. La famiglia rispettava la sua solitudine; il demonio no.

Comincia così I falsari (Les faux-monnayeurs, 1925) di André Gide. Facciamo la conoscenza di Bernard mentre fruga di nascosto nel cassetto in cui la madre conserva, sotto chiave, vecchie lettere di un amante. Leggendole, il ragazzo capisce di essere figlio illegittimo, e la scoperta lo porterà a scappare di casa quello stesso pomeriggio, dando il via a un complicato intreccio narrativo. Sappiamo che Bernard non è da solo in casa: il démon che occhieggia a conclusione dell’incipit e fa da motore nascosto di tutto il libro è il δαίμων dell’ironia, principio divino e maligno capace di sovvertire tutte le regole e scardinare ogni certezza. Le certezze che crollano lungo il romanzo riguardano la sacralità delle relazioni umane e la loro mitologia borghese, come l’idea di famiglia, il concetto di amore eterno e eterosessuale, l’immagine dell’infanzia innocente e pura. Con le certezze si sgretolano anche i tabù, come quelli dell’incesto e della pedofilia. Tutto questo, però, non avviene apertamente, perché nessun personaggio, come vedremo, gioca a carte scoperte.
Bernard decide di chiedere ospitalità per quella notte all’amico Olivier, prima di iniziare da solo una nuova vita libera dai vincoli familiari. Il ragazzo non è tanto interessato alla verità (scoprire chi sia il suo vero padre) quanto alla falsità della sua posizione all’interno della famiglia. La sua rabbia non è verso la madre ma verso l’uomo che ha impropriamente rivestito il ruolo di padre (e qui un pensierino ad Amleto è d’obbligo).
E ora cambiamo punto di vista…

Rientrato a casa dal lavoro, il giudice Profitendieu trova la lettera con cui il figlio più caro gli annuncia la sua fuga con una serie di insulti abbastanza gratuiti (la cosa più gentile che gli scrive è che, per lui, sapere di non essere suo figlio è un sollievo).
Profitendieu è profondamente addolorato dalla partenza di Bernard (il dolore è anche somatizzato con una colica epatica di breve durata), ma non è sorpreso da quanto gli scrive il ragazzo, perché è sempre stato al corrente della relazione della moglie. Più tardi, quando il resto della famiglia è in casa, il giudice mette moglie e figli a conoscenza dell’accaduto.
Il lettore si aspetta di ascoltare dal personaggio la storia che conosce già, e invece dalla bocca di Profitendieu esce una colossale balla: Bernard è figlio adottivo dei Profitendieu, e ora è stato reclamato dalla sua famiglia d’origine.
Viene così allo scoperto uno dei meccanismi più interessanti del romanzo, cioè la contraddizione tra i due livelli del testo, quello del racconto (gli episodi narrati alla terza persona) e quello del discorso (le frasi enunciate dai personaggi); come sì può vedere, racconto e discorso si smentiscono reciprocamente.



René Magritte, La riproduzione proibita, 1937



Ma torniamo a Bernard, che trova rifugio nel letto dell’amico Olivier (ovviamente all’insaputa dei Molinier, la famiglia del ragazzo). Mentre Georges, il fratello più piccolo, finge di dormire, Olivier racconta al compagno la sua prima, deludente esperienza sessuale con una prostituta, per poi parlargli della fine della relazione del fratello maggiore, Vincent, con Laura, una donna sposata, e dell’arrivo a Parigi, previsto per l’indomani, dello zio Édouard, un giovane scrittore che lo affascina profondamente. Olivier ha deciso di fare una sorpresa allo zio andando a prenderlo alla stazione. Il giorno dopo Bernard segue di nascosto Olivier fino alla stazione e lo vede parlare con lo zio. Bernard nota che Édouard getta in terra, distrattamente, un pezzetto di carta; appena i due si allontanano va a raccoglierlo: è la ricevuta per ritirare la valigia al deposito bagagli. Bernard entra così in possesso della valigia, che contiene il diario di Édouard.

Diego Velázquez, Las meninas, 1656.
Pablo Picasso, Las meninas, 1957.


Passiamo dalla narrazione in terza persona, con variazioni di punto di vista e inserti metanarrativi (il narratore si rivolge di tanto in tanto al lettore) al diario, che, in un gioco di scatole cinesi, contiene al suo interno lettere, racconti e ricordi dei vari personaggi. Il romanzo – è Gide a definire così i Faux-monnayeurs, dando al libro una denominazione di genere negata a tutte le opere in prosa scritte nei precedenti trentacinque anni di attività letteraria -, è quindi composto da varie tipologie di testo (lettera, diario, narrazione in terza persona).

I coniugi Atnolfini, secondo Van Eyck
e secondo Botero


Se il libro si legge, tutto sommato, con facilità, è quasi impossibile raccontarne la trama, che verte sull’ambigua natura delle relazioni tra più di trenta personaggi. Essi sono organizzati per clan familiari – i Profitendieu, i Molinier, gli Azaïs, i La Pérouse, i Passavant, i Vedel, ecc, ma le loro caratteristiche emergono soprattutto a confronto con i personaggi delle altre famiglie paralleli per età, ognuno dei quali rappresenta la declinazione soggettiva, con costanti e varianti, di uno stesso modello o tema, in una specie di gioco di specchi che moltiplica le immagini modificandole sempre un po’. Non mancano, comunque, richiami che uniscono personaggi di generazioni diverse: le vicende di Laura, donna sposata incinta di un altro uomo, richiamano la storia della signora Profitendieu. Per spiegare questo procedimento i critici hanno fatto spesso ricorso al concetto di variazione musicale.

Se tutte le generazioni vivono relazioni inautentiche, i veri professionisti, i “falsari” di cui parla il titolo, sono i più piccoli, che spacciano monete false e praticano l’ambiguità nelle relazioni con la stessa disinvoltura e con maggior consapevolezza degli adulti. Abbastanza esemplare è l’episodio, raccontato da Édouard nel diario, del suo primo, casuale incontro con il nipotino Georges. Senza sapere ancora chi sia, Édouard lo sorprende a rubare un libro dall’espositore esterno di una libreria. Il ragazzino si accorge di essere stato visto e rimette a posto il libro. L’adulto si intenerisce e dà al ragazzo i soldi necessari per comprarlo. Mentre Georges ripone il libro nella cartella, Édouard nota il nome del ragazzo su un quaderno ma, per non metterlo in imbarazzo, decide di non rivelargli la sua identità. Édouard va di proposito il giorno dopo a casa della sorellastra, che gli presenta proprio Georges. Il ragazzino non dà nessun segno di averlo riconosciuto e lo tratta con indifferenza, finché, senza farsi notare, gli mette in mano un biglietto:

Se racconti del libro ai miei genitori (aveva cancellato ti odierò) racconterò che mi hai fatto delle proposte.”
E più in basso:
Esco ogni giorno da scuola alle dieci.”

La falsità non è tanto un aspetto caratteriale che accomuna tutti i personaggi, quanto, piuttosto, la modalità con cui gli umani (immaginari e reali) sopravvivono in un ambiente ostile, quello delle relazioni sociali. Tra persona e personaggio non sembra esserci differenza; in fondo, le due parole hanno la stessa origine, la parola etrusca φersu, maschera.

Circa a metà del libro, Édouard illustra a Laura, Mme Sophroniska e Bernard il romanzo che sta meditando di scrivere, in cui si parlerà di uno scrittore alle prese un romanzo. Di questo libro non c’è ancora una frase, ma Édouard sta descrivendo la sua gestazione in un diario, che documenterà tutte le fasi della sua stesura; anche se forse non scriverà mai il romanzo, ha già scelto il titolo: si chiamerà I falsari. Gide è stato il primo a usare la definizione mise en abyme per spiegare la tecnica del romanzo nel romanzo. A complicare il gioco di specchi c’è, nel libro, un altro scrittore, Robert de Passavant, che avrà come segretario Olivier, così come, simmetricamente, Édouard ha scelto come segretario Bernard. Inutile dire che, come Édouard, anche Gide ha scritto un diario sulla stesura del romanzo, il Journal des faux-monnayeurs. Se, in fondo, siamo tutti monete false e tutti falsari, il più grande falsificatore è il romanziere.



La prima edizione



La prima edizione



André Gide ritratto nel 1924,
l’anno prima della pubblicazione de I falsari
da Paul Albert Laurens

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6 Risposte to “Come sono fatti certi libri, 29 / “I falsari”, di André Gide”

  1. Ma.Ma. Says:

    Accidenti! Mi intrigavano tantissimo il titolo, le immagini, l’idea che mi sono fatta, così mi sono fiondata a leggere tutto tutto iniziando dalla parentesi quadra, per non perdermi niente e… niente: ho dovuto smettere perché l’autore dell’articolo ne sconsiglia la lettura prima di aver letto il libro. DEVO trovare questo libro assolutamente.
    Ecco. Uffi.

  2. Fiammetta Palpati Says:

    Forse ha ragione l’autrice: meglio sarebbe leggere prima il “romanzo” e poi questo pezzo. Ma io l’ho trovato godibilissimo ugualmente. Ragion per cui ringrazio.

  3. rossana v. Says:

    Ringrazio anche io. Azz, Gide in Meridiani era un regalo di Natale di molti anni fa. Lo cambiai con Stendhal. Non che me ne penta, ma adesso la colica epatica viene a me. 😀

  4. Ma.Ma. Says:

    …letto: e la voglia di tuffarmi nei falsari è ancora di più. Questa roba qui, cos’è?, materia narrativa, tema,… sì insomma, si torna sul gioco del reale e della finzione e a me, sì, mi piace proprio tanto. Grazie anche da parte mia: mi piacerebbe un elenco di libri che ruotano attorno agli inganni… uno dei bei decaloghi di Vibrisse (forse c’è già).

  5. Antonella Says:

    “Olivier si affretta verso la Sorbona. Stamattina Bernard deve sostenere lo scritto. Come lo sa? Ma forse non lo sa. Si informerà”.
    E mille altri passaggi a contestare la rappresentazione del reale da parte dei romanzi, a partire dall’incipit.
    Sono contenta di essermi reimmersa in queste atmosfere, grazie di averne parlato!

  6. silandcorilandcor Says:

    segnalo questo ritratto da mettere affianco a quello di Laurens!

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