di Andrea Donaera
[In questa rubrica pubblico descrizioni, anche sommarie, di libri che – al di là della storia che raccontano o del tipo di scrittura – presentano una “forma” un po’ particolare, o magari bizzarra. Che cosa si intenda qui per “forma” mi pare, visti gli articoli già pubblicati, piuttosto evidente. Chi volesse contribuire si faccia vivo in privato (giuliomozzi@gmail.com). gm].
[Su Inventario privato Andrea Donaera ha pubblicato un bel saggio, intitolato Su una tovaglia lisa].
Inventario privato (1959) è il secondo libro pubblicato da Elio Pagliarani (1927–2012), poeta tra i più rappresentativi della generazione delle Neoavanguardie, protagonista del panorama letterario italiano a partire dai primi anni Sessanta del Novecento. Quest’opera è stata poco esaminata, sia negli studi critici che nelle antologie, poiché considerata un semplice (e debole) momento di passaggio nella produzione poetica di Pagliarani, tra l’interessante esordio Cronache e altre poesie (1954) e il capolavoro La ragazzaCarla (1962).
Inventario privato, però, è un bellissimo libro d’amore – d’amore, sì, di poesie d’amore. E anche la sua storia editoriale ha un certo fascino.
Pubblicato nel gennaio 1959, a curarne la stampa è la casa editrice Veronelli di Milano, fondata e diretta dall’anarchico Luigi Veronelli (1926–2004), eclettico personaggio di spicco nell’ambito enogastronomico italiano. La Veronelli pubblicava testi d’ogni sorta in svariate collane, spaziando dalla saggistica di stampo anarchico o socialista (su tutti Pierre-Joseph Proudhon) alla poesia (oltre a Pagliarani venne pubblicato D’Annunzio), dalla cucina e lo sport alla narrativa (tra cui alcune preziose pubblicazioni di Anatole France).
Molto interessante un aneddoto (che poi soltanto aneddotico non è) raccontato da Gianni Mura nel libro Non c’è gusto (Minimum fax, 2015): per la pubblicazione di Historiettes, contes et fabliaux del Marchese De Sade, Veronelli venne condannato, nel 1958, a tre mesi di carcere per il reato di pornografia, e i libri furono bruciati in un rogo nel cortile della caserma di Varese – probabilmente l’ultimo caso del genere in Italia.
Il testo di Pagliarani viene inserito nella collana di letteratura e saggistica I gemelli, nella quale fino a quel momento era stato pubblicato soltanto un testo, Le notti di mosca di Giuseppe Bartolucci, autore che nell’immediato futuro avrà diverse cose in comune con Pagliarani: anche lui sarà critico teatrale e redattore de l’Avanti!.
La casa editrice ha cessato l’attività con la morte di Veronelli, lasciando spazio al sito “Casa Veronelli” che attualmente si occupa unicamente di enogastronomia.
* * *
Inventario privato contiene cinque belle illustrazioni dell’artista Alberto Casarotti. La prefazione è di Giacomo Zanga, il quale scrive di aver conosciuto Pagliarani in una trattoria (presumibilmente la trattoria Poldo di Milano) dove il poeta era solito leggere le sue poesie agli avventori. Dell’opera furono tirate solo quaranta copie numerate, stampate in carta Roma Michelangelo delle Cartiere Miliani di Fabriano.
La raccolta verrà successivamente inclusa integralmente in La ragazza Carla e altre poesie, pubblicato da Mondadori nel 1962. Non esisteranno altre edizioni fino al 2006, quando l’Inventario farà parte dell’Elefante Garzanti Tutte le poesie (1946-2005), da poco fuori produzione. Attualmente, dunque, l’unico modo per poter leggere (e avere nella propria libreria) la raccolta è trovare una delle poche copie superstiti del 1959 (a prezzi piuttosto alti), oppure una copia de La ragazza Carla del ’62.
Inventario privato si presenta come un volume esile, composto da sole ventuno poesie, divise in tre sezioni: “Il primo foglio”, “A riporto”, “Totale S.E. & O.”. Ogni sezione contiene sette componimenti, i quali vanno a svolgere un breve canzoniere. Si tratta di poesie scritte per una donna, una «milanese signorina», e che sviluppano lo svolgimento di una relazione, durata il tempo di una primavera, e in cui l’amore del poeta non è corrisposto. Un canzoniere atipico, quantomeno per lo sfondo tutt’altro che idilliaco sul quale il poeta sceglie di collocare i due amanti: il mondo impiegatizio della Milano degli anni Cinquanta, nel pieno del boom economico che coinvolgeva l’Italia.
Questa dimensione, appunto, impiegatizia è resa esplicita finanche nella struttura stessa della raccolta, impostata, sin dal titolo, come un inventario commerciale, un prospetto di conteggio. “Il primo foglio” è la sezione che apre il libro, e si apre con i versi «Se facessimo un conto delle cose / che non tornano», versi che risultano quindi programmatici in riferimento alla dimensione ragionieristica data al canzoniere; la seconda sezione, “A riporto”, si presenta come una serie di annotazioni riguardanti la vicenda amorosa esposta nella prima sezione, in cui il poeta, privatamente, arriva a una conclusione, nell’ultimo verso dell’ultima poesia: «e non mi ami»; la sezione conclusiva rende lampante l’intenzione di Pagliarani di trattare la raccolta come un vero e proprio rendiconto:
A dirli questi mesi sembra agevole
con il margine di rischio necessario
a chiamare la vita col suo nome:
primavera invocata tempestiva
fu tempesta, e in vista della terra
il naufragio balordo; giugno vissi
per rassegnarmi a perderti; è di luglio
la più cupa speranza di riuscire
a fare della morte un’abitudine.
“Totale S.E. & O.” è infatti una «abbreviazione in uso nelle fatture commerciali e in altri prospetti di conteggi, della locuz. salvo errori e omissioni» (Treccani). E questo conteggio si conclude, negli ultimi due versi della raccolta, ponendo centralmente il topos dell’amore coniugato alla morte: «E sono vivo, senza rimedio / sono ancora vivo».
Mantenendo la coerenza con la doppia retorica stilistica (stile alto e stile basso) e con la doppia dimensione tematica (vita e lavoro) che nutrono quasi tutta la sua produzione poetica, Pagliarani incornicia dunque questa sorta di “canzoniere pseudo-burocratico” in una collocazione grottesca, riducendo una storia d’amore a un fatto d’ufficio, crudamente gettata nelle mansioni della realtà.
Ancora due poesie da Inventario privato:
Se domani ti arrivano dei fiori
sbagli se pensi a me (io sbaglio se
penso che il tuo pensiero a me si possa
volgere, come il volto tuo serrato
con mani troppo docili a carpire
quando sulle tue labbra m’era dato
baci dalla città) non so che fiori
siano: te li ha mandati in trattoria
dove le mie parole spesso s’urtano
con la gente di faccia.
Che figura
t’ho data, quali fiori può accordare
nella scelta all’immagine riflessa
di te?
Non devi amarmi se ti sbriciolo
su una tovaglia lisa: e non mi ami.
*
Il verso «quanto di morte noi circonda»
apriva, e nella chiusa, isolato, bene in vista
«tu sola della morte antagonista».
Ma già prima del termine di giugno
la mia palinodia divenne sorte:
nessun antagonista alla mia morte.
E sono vivo, senza rimedio
sono ancora vivo.

Elio Pagliarani attorno alla fine degli anni Cinquanta o all’inizio degli anni Sessanta, o giù di lì
Tag: Alberto Casarotti, Anatole France, Andrea Donaera, Biagio Cepollaro, Elio Pagliarani, Gabriele D'Annunzio, Giacomo Zanga, Gianni Mura, Luigi Veronelli, Marchese De Sade, Pierre-Joseph Proudhon, Rossano Astremo, Sergio Carlacchiani
26 ottobre 2017 alle 09:14
(Posso dire che a me piacciono questi versi qui sopra riportati?, mi pare di capirli. Sì.)
26 ottobre 2017 alle 10:05
Grazie, Donaera. Personalmente ho amato e amo moltissimo Pagliarani: tanta sua poesia (come, a esempio, quella postata in foto: «È già autunno…») è di un’intensità che mette letteralmente i brividi. Recensii per la rivista «l’immaginazione» proprio il Mammut curato da Cortellessa per Garzanti, e dunque non mancherò di procurarmi, molto molto volentieri «Su una tovaglia lisa». Magari ci capiterà di parlarne, prima o poi. Un saluto.
26 ottobre 2017 alle 11:17
L’Elefante, Antonio, l’Elefante. I Mammut sono quelli di Newton Compton.
26 ottobre 2017 alle 12:18
Ecco, appunto, sempre a fare il peloso, tu! 🙂 Io, invece, continua così, con questi svarioni di memoria, mi estinguo come il Neanderthal alla fine della Piccola Glaciazione.
26 ottobre 2017 alle 14:55
Un intervento interessante su un’opera tutto sommato non troppo interessante (almeno per me). Leggo e rileggo Pagliarani di continuo (tranne in questo periodo in cui il mio fondamentale Elefante è in prestito) e non riesco a interessarmi all’Inventario privato. Per la lingua, ovviamente, più che il contenuto. Le “parole di ferro o acciaio”, come le definì lui stesso, sono qui però condizionate nella matericità, diciamo, dalla materia molto poetica e dorata e il risultato mi è sempre sembrato più debole che altrove, diciamo un buon falso di bigiotteria. O forse la colpa è del poeta, che è così grande altrove… O altrimenti la colpa è del lettore, e non ci si può fare proprio niente.
27 ottobre 2017 alle 11:44
La poesia fotografata mi ha fatto venire la pelle d’oca.
27 ottobre 2017 alle 12:19
Pensa un po’, a me quella di… Mammut (anche se Giulio mi ha subito, sonoramente, e giustamente, depilato!)…
29 ottobre 2017 alle 09:24
Grazie, Andrea Donaera, per la scelta e la descrizione di questo inventario. Io conosco poco Pagliarani (e poco di poesia, ahimè), ma di questa opera – che mi attrae, suppongo, per motivi eguali e contrari a quelli che indicava Daniele Muriano – cercherò di leggere altro. Grazie ancora.
31 ottobre 2017 alle 23:52
S’è per questo, l’uomo di Neanderthal si è estinto circa 40 mila anni fa, ben prima della cosiddetta Piccola Glaciazione (ca. 1350-1850 dopo Cristo).
24 gennaio 2021 alle 12:15
Grazie, noto soltanto ora il mio contributo recitativo.