di Luigi Preziosi
Con L’ultimo angolo di mondo finito (Galaad edizioni, 2017, € 13,00), Giovanni Agnoloni conclude una trilogia composta dai precedenti Sentieri di notte (2012) e La casa degli Anonimi (2014) – ed affiancata dallo spin off Partita di anime (2014) – tutti usciti presso Galaad. Ognuno dei testi è autonomo, e quindi leggibile a sé, pur costituendo l’insieme un imponente affresco rappresentativo di un futuro abbastanza prossimo, che potrebbe, forse, impegnare le nostre intelligenze, ed ancor più le nostre coscienze, in modo non poi così difforme da quanto l’autore ci propone. Non tanto un’opera di fantascienza, anche se sarebbe facile classificarla così, confondendo il fine della narrazione con gli stilemi che l’autore trae dal genere, piuttosto la registrazione di una voce profetica, che si alza per ammonire (indicando i rischi di una deriva che già stiamo vivendo), minacciare (prospettando un’umanità sempre più confusa e solitaria), ma anche per consolare (segnalando le possibilità che una conciliazione tra tecnologia e spiritualità può offrire).
Ne deriva una scrittura capace di svariare su inflessioni diverse, modulate in prevalenza su toni medi, ma intervallati con misura da improvvise accensioni liriche, che lascia poi indovinare, oltre una coltre di apparente oggettività, un senso profondo di pena per coloro che abiteranno l’ultimo angolo del mondo raccontato nel romanzo.
Nel 2029 internet non esiste più da alcuni anni, i tentativi di ripristinare una realtà di rete strutturata nel mondo hanno dato vita a due forme diverse di connessione. In Europa le città principali e via via il resto del territorio sono invasi da ologrammi intelligenti, che costituiscono altrettanti cloni degli abitanti, in grado colloquiare con loro e, quel che è di gran lunga peggio, di orientarne senza parere idee e comportamenti. Negli Stati Uniti, dove agisce da tempo il movimento di opposizione degli Anonimi, si è realizzata una copertura wireless del territorio tramite un uso intensivo di droni. In questo scenario si muovono le vicende di un insieme di personaggi. Alcuni di essi sono impegnati nella ricerca di segnali elettromagnetici che potrebbero essere rivelatori dell’incipiente rinascita di una rete europea. Il chitarrista Aurelio attraversa a piedi il Portogallo, compone giornalmente solo cinque note e si pone sulle tracce di G.A., misterioso capo degli Anonimi, che sospetta trattarsi in realtà di suo padre. Invece l’ex editor Emanuela Berti, che cerca segni in Bosnia, crede che G.A. possa essere John Myers, il fidanzato scomparso nel nulla. Afef (o Amina) e Ahmed, indagano in Puglia, ed al contempo sono sempre alla ricerca di equilibrio nel loro rapporto, che solo da poco hanno scoperto essere fraterno.
Un’altra ricerca ossessiona lo scrittore olandese Kaspar Van de Maart, che, braccato lui stesso da forze ostili, attraverso l’Europa e gli Stati Uniti insegue, utilizzando a volte come indizi anche strani riferimenti alla storia dei Beatles, le tracce della scrittrice belga Kristine Klemens, ritenendola detentrice di una verità, o almeno di un brandello di verità, che potrebbe alleviare il rigore del destino fosco a cui l’umanità sembra indirizzata. Ha, infatti, già raggiunto una diversa e superiore consapevolezza spirituale, la stessa forma di evoluzione attinta anche da alcune altre figure centrali, come il teologo Desmond O’Rourke, e il fidanzato di Emanuela, John Myers, spesso collocati a presidio delle sorgenti dei segnali, ai quali l’intensa attività meditativa consente un’esistenza sul margine estremo tra vita ed oltre vita.
Infine altre figure di non più vivi, come Leyla Ganczarska e Joseph Hermann, interagiscono con gli altri protagonisti, colloquiando con loro per via spirituale, conferendo con ciò alla nozione stessa di rete un significato trascendente. Nell’universo immaginato da Agnoloni, l’acquisizione della saggezza si realizza per gradi come in un itinerario ascensionale, in cui le guide vivono in una dimensione diversa da quella terrena. Tutte queste figure si incrociano o si inseguono da lontano in una ricerca incessante; ognuno pare tuttavia perso nella propria, l’indagine a volte si trasforma da ansia di conoscenza a desiderio di un approdo, quasi la nostalgia di una fine, piuttosto che la speranza di un nuovo inizio. Il finale a ciascuno dirà di più di sé e del mondo in cui si appresta a vivere, dopo internet, senza la rete che conosciamo o che possiamo immaginare.
In prima approssimazione, la via di accesso più immediata a questo romanzo si può individuare nella riflessione sociologica sulla crisi di internet, o meglio, che la crisi di internet suggerisce. Da un lato, l’autore mette in evidenza un’incertezza esistenziale che pare stigma che accomuna quasi tutti i personaggi, per i quali la difficoltà di comunicare finisce per tracimare in un sorta di opacità cognitiva nei confronti del mondo circostante. Le conseguenze eccedono il prevedibile: la qualità della comunicazione in fondo regredisce a quella comunemente presente fino all’inizio del secolo scorso, quando l’umanità era comunque in grado di interpretare efficacemente le contingenze con cui era indotta a confrontarsi. Dall’altro, inquieta profondamente l’invenzione degli ologrammi come estrema degenerazione della rete, che dialogano con i loro originali umani non tanto allo scopo di ampliare le loro conoscenze, quanto di blandire i loro desideri, carpirne informazioni ed indirizzarli verso ciò che più loro si aspettano, quasi una predizione della moltiplicazione degli effetti negativi del cosiddetto “pregiudizio di conferma”, già ora presenti in rete, in cui è sin troppo rassicurante trovare conferme a ciò che già si pensa, annullando così il pensiero critico.
Maggior rilevanza nell’economia complessiva della narrazione riveste il tema della ricerca, che si svolge all’interno di un’esperienza che attualizza lo schema del viaggio iniziatico. Buona parte dei protagonisti viaggia attraverso diverse zone dell’Europa e degli Stati Uniti, seguendo itinerari dalla meta inizialmente indefinita, che si viene svelando passo dopo passo, in un turbinio di episodi che non solo contano di per sé, e qui viene indubbiamente in evidenza il côté anche schiettamente avventuroso del romanzo, ma che determinano in loro un maggior grado di conoscenza della realtà.
Ma che cosa provoca questa ansia di ricerca? Il suo scopo è, in termini molto generali, trovare qualche cosa che rigeneri il mondo (facile ricorrere alla suggestione della ricerca di un Santo Graal del XXI secolo), a partire dalle relazioni tra le persone, che si preconizza svilupparsi su percorsi per noi impensabili, fino ad attraversare il confine tra vita ed oltre vita. Ma, per ciascuno dei personaggi l’origine è un’assenza; di una persona amata, essenzialmente, e generata dai più diversi sentimenti che attingono alla parola amore: coniugale, filiale fraterno, amicale. L’assenza si manifesta nell’interruzione improvvisa e traumatica di relazioni, e questo, per singolare ma certo non involontaria simmetria, avviene sia per i singoli personaggi, sia per l’intera umanità, annichilita dal crollo di internet. Il senso dell’assenza avvolge tutto, innescando un processo degenerativo che intossica comportamenti e sentimenti dei singoli, avviando un’oscura deriva di decadenza sociale, fatta di inconsapevolezza di sé e di disinteresse alle sorti altrui. Esemplare la visione che Elisabetta ha degli abitanti di Mostar, evanescenti al punto da sembrare anche loro ologrammi, ed invece persone vive, ma sfinite dal male, “alterate dal loro percorso di vita”.
Nella riflessione escatologica di Agnoloni non ricorre mai la parola dio, per quanto tutto il romanzo non sia che un accorato richiamo alla coltivazione dei valori spirituali che rendono umana l’umanità (un po’ come avviene in Tolkien, di cui l’autore è uno dei principali studiosi italiani). Forse sotto il cielo purgatoriale immaginato dallo scrittore il divino può intendersi implicito nello stesso atto del ricercare: di certo, la domanda di senso ultimo che impregna il romanzo è più che significativa per rappresentare la tensione alla trascendenza che caratterizza il romanzo.
La raffigurazione distopica della società futura ci valga come monito: non ci si attendano magnifiche sorti e progressive dal costituire in rete il mondo e l’universo, il nostro orizzonte continuerà ad essere a tratti fosco, ci salverà, forse, come sempre, l’individuo con le risorse, morali e spirituali che riuscirà a trovare in sé, o, meglio, che le contingenze negative del mondo esterno sapranno suscitare.
13 settembre 2017 alle 20:32
Il romanzo pare interessante (e la recensione è ottima, cioé tutta al servizio del libro). Non mi suona nuova quest’idea metafisica dell’internet, che mi sembra tenga banco da anni nell’immaginario di scrittori, cineasti e poeti; ma andrebbe letto il libro per dirlo con sicurezza; e ho intenzione di farlo.
14 settembre 2017 alle 14:39
Daniele, ho fatto esattamente la stessa pensata. Sarei tentato dall’intera trilogia
14 settembre 2017 alle 17:28
(Fa piacere la consonanza, già riscontrata in altri casi. Io sono povero, però. E comprerò quest’ultimo, intanto. Che non costa troppo, vedo, peraltro).
14 settembre 2017 alle 17:38
(Fa piacere la consonanza, già riscontrata in altri casi. Io sono povero, però. E comprerò quest’ultimo, intanto. Che non costa troppo, vedo, peraltro).
8 ottobre 2017 alle 15:32
[…] Luigi Preziosi per questa acutissima recensione de L’ultimo angolo di mondo finito (Galaad Edizioni), uscita oggi su […]
7 Maggio 2018 alle 09:00
[…] ha scritto sinteticamente Luigi Preziosi nella sua nota di lettura apparsa su Vibrisse, questo si traduce in una “scrittura capace di svariare su inflessioni diverse, modulate in […]