[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Recensisce libri dei quali sostiene, spesso e volentieri, di essere l’unico lettore. gm].
Conobbi Armando Séguito nel 1959, a Milano, presso la trattoria dell’Albero Fiorito (tutt’ora esistente: via Pellizzone 14, 0270123425, chiuso la domenica) nella più che fumosissima (nel senso del tabacco, non certo delle anzi giovanili, affilatissime e traslucide idee) riunione fondativa della rivista Tel Chì, vero e proprio (benché disconosciuto, e per mere ragioni cattedrali, dalla successiva, e quasi idealmente postuma – nel senso della morte delle idealità – storiografia sociale e letteraria) laboratorio seminale della neoavanguardia politico-poetico-letteraria-musicale meneghina. Armando era allora un esile neolaureato in Lettere, autore di una opportunissima – per un curriculum neoavanguardiale – tesi di laurea intitolata Lo “sdegnoso rifiuto della prosodia” di Gian Pietro Lucini e di paio di articoletti sulla questione cubana apparsi in introvabilissime (già allora, figurarsi oggidì) rivistine ciclostilate. Ci perdemmo presto di vista, io assorbito dalla professione – diventai agente per i mercati meridionali della Saag, la Società Anonima Antonio Grossich, specializzata in tintura di iodio – lui più che dagli studi dalla militanza politica, legata anche all’origine latinoamericana (il padre era, come avrete già intuito, cubano).
Ci ritrovammo nel 1977, a Bologna, in un incontro di studio prsso l’Istituto Gramsci, dedicato al suo fondamentale – a mio sindacabilissimo giudizio – volume Lardo all’avanguardia: come ingrassare oggi i vitelli che scuoieremo domani, pubblicato da Einaudi nella famosa collezione viola. Contendevano sulla materia Mario Tronti – interessato più che altro a propagandare il suo fresco di stampa Sull’autonomia del patetico, Feltrinelli, sorta di rivisitazione in chiave mistico-operaista del pensiero sociale pascoliano (“La grande proletaria si è mossa”, ecc.) – e Roberto Antoni, anch’esso fresco fresco del successo suburbano dell’album Inascoltable, registrato in una notte di improvvisazioni e distribuito, all’epoca, solo in artigianali musicassette spacciate agli angoli di certe misteriosissime stradine felsinee. A noi – a me e ad Armando – bastò uno sguardo. Terminato, praticamente a botte, l’incontro, fuggimmo all’osteria. E lì Armando mi disse: “Basta con la politica. Ora solo letteratura”.
Non ci vedemmo né sentimmo più, per molti anni. Di tanto in tanto qualcuno mi chiedeva di lui. Rispondevo: “Non so”. Di tanto in tanto chidedevo ad altri di lui. Mi rispondevano: “Non so”. Lardo all’avanguardia, quando la casa editrice fu incorporata in Mondadori, fu uno dei primi titoli a essere stralciato dal catalogo (in ottima compagnia: Adorno, Horkheimer, Lukács…). Di tanto in tanto mi capitava di trovare citati, in tenebrosissimi saggi di teoria della letteratura, certi suoi articoletti apparsi in riviste scientifiche mai italiane, mai inglesi, mai francesi o tedesche o spagnole, spesso ungheresi o turche, talvolta irochesi – cercai di reperirne alcuni, ma la mia protervia di bibliofilo fu sistematicamente smagata dalle nebbie dell’editoria accademica. Finché, pochi giorni fa, mi arrivò un pacchetto…
Seconda parte. Storia universale della continuazione (Bollati Boringhieri, pp. 666, euro 66,6) è, ovviamente, l’opera di un erudito. Che Armando Séguito ne avesse la stoffa, non ne avevo mai dubitato. E l’erudizione è talmente sconfinata che nessuno, temo, nemmeno il Re Dei Bibliofili, saprebbe valutarla. Finché si tratta dei poemi omerici (l’Odissea come continuazione dell’Iliade, i cosiddetti Posthomerica eccetera), dei vari libri che nella Bibbia continuano i precedenti, del Roman de la rose di Jean de Meun (o Meung) che continua quello di Guillaume de Lorris, dei vari cantari delle materie di Francia e di Britannia che si continuano l’un l’altro, dell’adespoto Lazarillo del Tormes continuato da autori tanto misteriosi quanto quello del primo volume, di Ariosto che continua Boiardo, di Avellaneda che continua Cervantes, delle continuazioni dei Promessi sposi, di Richardson o Defoe che continuano sé stessi, di Pia Pera che continua (in Diario di Lo, romanzo-specchio) il Lolita di Vladimir Nabokov (suscitando le protezionistiche ire del figlio Dmitri), di Stig Larsson continuato da David Lagercrantz (questa volta per iniziativa degli eredi stessi), di Veronica Tomassini che continua Veronica Tomassini, e compagnia cantante, è tutto facile. La faccenda si fa più misteriosa quando ci si addentra, come Séguito fa senza risparmio, nelle letterature cinesi, indiane, kazake, africane, sudtirolesi, andine, castrocarensi, e chi più ne ha più ne metta.
Il titolo del volume (di per sé azzeccatissimo) avrebbe potuto essere più efficace, forse, parafrasando Harold Bloom: L’angoscia della continuazione. Perché di questo, e non d’altro, si tratta: di quella particolare forma d’arte (narrativa, ma non solo) che origina da un’opera preesistente, con tutto ciò che si comporta di debiti, confronti, raffronti, paragoni, critiche, e così via: ma fin qui siamo, per così dire, nell’ovvio; ma soprattutto si tratta di quelle opere che, pur esistendo come complete e finite, ovverossia perfette, tuttavia sembrano richiedere una continuazione. L’incompletezza – è questa, alla fin fine, la tesi portante dell’opera – è talvolta un fatto casuale, dovuto per esempio alla morte magari improvvisa o accidentale dell’autore; ma certe volte, e non poche, è una caratteristica costitutiva, fondante, strutturale di un’opera. La recherche du temps perdu non ammette continuazioni, neanche per idea, nonostante la sua visibilissima incompletezza; Der Mann ohne Eigenschaften invece ne richiede, al di là del fatto che nessuno finora (che noi si sappia, a parte un manipolo di filologi – tutti in lotta tra loro – che hanno giocato e rigiocato con il puzzle degli innumerevoli capitoli inediti) ci s’è arrischiato: continuazioni, peraltro, nel caso, dalle quali tutto ci si potrebbe musilianamente aspettare, fuorché una vera e propria conclusione della vicenda – ma che dico? un vero e proprio progresso della vicenda.
Esisterebbero, dunque, opere di per sé complete, e opere che per propria artistica natura chiedono ai posteri un lavoro o un lavorio di continuazione – si potrebbe dire: sfidano i posteri a tentarne la continuazione. Quanto questo pensiero sia suggestivo, non serve che il vostro umile bibliofilo tenti di spiegarvelo. Quanto una simile prospettiva possa portare a una violenta rivistazione del concetto stesso di finitezza dell’opera, idem. Al nostro caro Armando Séguito siamo debitori, in sostanza, di una delle più profonde intuizioni critiche, se non teoriche, e non priva di risvolti pratici, nell’ambito del pensiero critico-teorico-letterario degli ultimi cinquant’anni. Che poi il saggio sia faticoso da leggere, a volte oppressivo, spesso eccessivamemte minuzioso, talvolta forse fasullo (di alcuni dei libri citati e analizzati, per dire, il sottoscritto non ha trovato alcuna traccia del mondo reale: si tratterà, forse, di opere d’invenzione del medesimo Séguito…) – questo, si può capire, non ha alcuna importanza.
Hasta la continuación, siempre.
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28 agosto 2017 alle 07:59
Armando deve avere la stessa gigantesca capacità immaginifica di Ennio. Ma mi risulta meno empatico. Sarà per la scelta del numero di pagine e del prezzo?
28 agosto 2017 alle 11:02
In quest’angoscia (et ambascia) della” Continuazione” ( che sicuramente avrà … Seguito), non resta che compenetrarsi umilmente nella profonda intuizione critica (non disgiunta da quel pratico risvolto che, concordo, non può certo mancare nel pensiero critico,teorico et letterario degli ultimi cinquant’anni)del Nostro et inchinarsi alla maestria di Bissolati nel districarsi fra riviste meneghine, impagabili edizioni einaudiane di quaresimale colore, accorpamenti editoriali vari et svolte esistenziali dal politico al letterario di un Nostro piuttosto assente, se, a precisa domanda,( per collocarlo in un qualche sovra-mondo), i più non ebbero in risposta che un laconico: “Non so”. Grazie di cuore ( ma anche di penna, che non guasta),ad Ennio Bissolati, quindi, per quest’illuminante disamina et fatica che solo un bibliofilo illuminato et paziente come lui poteva affrontare, proprio per quegl’ aspetti ostici come inseguiti – et affatto simulati -, quasi volesse perseguire un personale programma “ad maiora”, in somma. Eteronimamente Vostra ( mi sfugge a chi…) et con immutata stima, etcetera, etcetera …
29 agosto 2017 alle 13:59
Basta il primo numero di Tel Chì per apprezzare il genio bissolatiano. Inutile dire che questo post esige una continuazione.