Come sono fatti certi libri, 11 / “I send you this cadmium red”, di John Berger & John Christie

by

di Valentina Durante

[In questa rubrica vorrei pubblicare descrizioni, anche sommarie, di libri che – al di là della storia che raccontano o del tipo di scrittura – presentano una “forma” un po’ particolare, o magari bizzarra. Che cosa io intenda qui per “forma” mi pare, ora che ci sono dieci articoli pubblicati, piuttosto evidente. Chi volesse contribuire, come hanno già fatto Antonella Bavetta, C. P. ed Emanuela Carbonelli – e oggi Valentina Durante – si faccia vivo in privato (giuliomozzi@gmail.com). gm].

John Christie e John Berger.

Se cercate su Google il primo dei due, v’imbatterete in John Reginald Halliday Christie, famoso pluriomicida nato nel 1899 (e morto nel 1953). Naturalmente non è lui, uno degli autori di questo libro. Basta però aggiungere alla ricerca la parola «artist» per arrivare al “nostro”: John Christie, artista e regista inglese, che dal 1975 a oggi ha realizzato più di una ventina di libri in edizione limitata per la Circle Press.

L’altro John, Berger, è (era) ben più famoso: critico d’arte, narratore, pittore e poeta inglese.

Tra John e John c’è stato un proficuo sodalizio professionale, iniziato nel 1988 – con la serie della BBC Another Way of Telling, girata da Christie e tratta da un libro di Berger – e durato ben venticinque anni.

Un giorno, era il febbraio del 1997, Christie si trovava a Parigi. Scrisse a Berger, che invece stava a Londra: «E il nostro prossimo progetto, quale sarà?».

Berger ci pensò su. Poi rispose: «Tu mandami un colore».

E Christie gli mandò un colore: un rettangolo rosso cadmio.

Da lì, il titolo di questo libro – I Send You This Cadmium Red – che è un libro piuttosto strano: contiene infatti lettere, disegni, note, appunti, fotografie, dipinti, altri piccoli libri… la fittissima corrispondenza fra Berger e Christie, tutta incentrata sul colore.

Il rettangolo rosso cadmio era accompagnato da queste parole:

John Christie, 25 febbraio 1997

Caro John,
spero che questo inizio non ti sembri troppo formale. Avrei voluto risponderti con una poesia: qualcosa da leggere, oltre che da guardare. Il primo colore che avevo pensato di mandarti era il blu oltremare: diretto, forte, liquido. Ma dato che quel colore mi è particolarmente caro, preferisco parlartene più avanti.
Ieri sono andato al funerale di una persona che conoscevo solo di vista. Durante la funzione, prima che cremassero il corpo, stavo guardando i fiori. I miei occhi si sono soffermati sui garofani che mi stavano difronte: non una composizione studiata, giusto una macchia colorata sul terreno. Quelli rossi erano i più vicini: e li ho guardati per tutto il tempo, cercando di capire come fossero strutturate le corolle, come i petali si accostassero gli uni agli altri. Ma le forme erano troppo sfumate e io troppo distante da loro per distinguerle, e non appena mi sembrava di aver colto una nitidezza nell’immagine, ecco che quella rapidamente si confondeva: come in un sogno, quando cerchi di leggere delle parole su un giornale, ma alla fine loro ti scappano via, svaniscono.
Se ti mando questo rosso cadmio, è proprio per il ricordo di quei fiori: e non credo ci sia un motivo migliore.

Berger, da poeta e narratore qual è, indulge su descrizioni e aggettivazioni piuttosto visionarie: il blu intenso è «paranoico», il rosso è «solitamente non innocente», l’oro è «nudo fin dal principio». Christie invece ha l’anima del collezionista: raccoglie, cita, esibisce impressioni, aforismi, definizioni di altri artisti e scrittori – da Paul Klee a Paul Valéry, da Frank Stella a Vincent van Gogh. Ma non ha problemi a citare anche Jurij Gagarin, e la Terra di un «bellissimo blu», vista dalla sua navicella.

Aleksej Akindinov, La colazione di Jurij Gagarin
(Sullo sfondo, la Terra blu)

John Christie, 8 aprile 1997

Caro John.
Sono partito da quell’osservazione di Matisse – «Un metro quadrato di blu è più blu di un centimetro quadrato dello stesso blu» – e ho realizzato questo piccolo libro per te, mettendo assieme qualche frase di Yves Klein.
Non ho mai pensato al blu come a un colore fragile: forse perché ho sempre avuto in mente il blu carico di Klein, quello che lui definiva «il vero blu, il blu delle profondità più blu dello spazio».
Il Blu internazionale di Klein è un colore piuttosto difficile da riprodurre. Klein ottenne quello originale mescolando etere e petrolio, per legare il pigmento. Ho provato con lo spray e gli acquerelli, ma quello che gli si avvicina di più è il blu di questa carta gommata. Gli unici riferimenti che avevo erano riproduzioni su riviste e libri e anche quelli, in ogni caso, variavano da pagina a pagina. In confronto, l’ultramarino della mia scatola di acquerelli diventa un colore fragile – forse per la profondità che gli deriva dall’essere trasparente. […]
Il suo blu monocromatico, che tanto amo, ha per me la consistenza di un oggetto. In quelle opere il colore è così denso che invece di suggerire l’atmosfera, il cielo o il vuoto infinito sembra dire: se ci cadessi dentro rimarresti in trappola, senza respiro, stretto e soffocato dal pigmento polveroso. Quando ci penso, mi si secca la gola.
Non credo fosse quello il colore che Yuri Gagarin vide, guardando giù, verso la Terra, dalla sua capsula, e per il quale disse: «La terra è di un bellissimo blu».
Il blu di Yves Klein è molto simile al blu delle blue room che si utilizzano nella preparazione di film e video… Ho lavorato in studi dove le pareti e i pavimenti erano dipinti di questo blu carico, centinaia di metri quadrati di colore, e di nuovo non ho provato la sensazione di essere in uno spazio vuoto in cui librarmi, piuttosto il contrario.
Mi è capitato di vedere cieli di quel colore, o così mi è parso al momento, in Africa. Ma lì il blu aveva una profondità infinita.

John Berger, 13 aprile 1997

Oggi ho tentato di rispondere al tuo blu soltanto con le parole, senza colori.
Sì, il blu di Yves Klein è denso. È il colore di un oggetto, non di uno spazio. È così densamente blu, che quasi ti accusa. È stato cancellato tutto, tranne l’essenza del blu, e sembra quasi che Klein dica: la colpa di tutto è dello spettatore. In altre parole: forse il blu di Klein è un colore paranoico, specie quando è più scuro.
La sua versione più chiara è meno accusatrice, ma ugualmente non concede pace: critica, critica, critica… […]
Un blu aereo e non denso è quello che io chiamo «blu Egeo». È il blu della croce sulla bandiera greca. Il blu chiaro di Klein borbotta perché non ha profondità ed è fragile come quello di Cina. Il blu Egeo è profondo e assolutamente indifferente. […]
Il blu è triste, il blu è memoria e nostalgia ma anche sfrontatezza e impudenza. Per questo amo così tanto questo colore. Il più prezioso dei colori.
Il blu è un prezzo. Non un prezzo pubblico, ma uno privato. Il blu dice, assurdamente e oltraggiosamente: io sono tuo o tu sei mio. E nessun altro può giudicarci. [ascolta]

I Send You This Cadmium Red venne pubblicato il 1° settembre 1999 da Actar. Copertina rigida, 240 pagine.

Nel 2012, la compagnia inglese Somethin’ Else decise di editare una dozzina delle lettere di Christie e Berger per la BBC Radio e domandò a Gavin Bryars di comporre della musica in abbinamento. Il regista Daniel Brooks mise queste tre cose su un palcoscenico – autori, lettere e musica – e, tanto per spremere al massimo le sinestesie, ci abbinò due schermi giganti con le creazioni grafiche di Bruce Alcock. E dunque: Christie e Berger che leggono; le immagini di Alcock che si formano e si trasformano sugli schermi; e un quartetto composto da chitarra (Rob Piltch), clarinetto (Lewis Gilmore), violino (Douglas Perry) e basso (Brian Baty) che accompagna il tutto. Questo, in sintesi, lo spettacolo; e potete vederne e ascoltarne un pezzetto qui:

Abbiamo iniziato con il rosso, e con il rosso concludiamo (anzi, non concludiamo affatto: perché di un libro del genere come si fa a dire: è finito?). Prima un rosso legato alla morte – visto a un funerale – adesso un rosso legato all’infanzia.

John Berger, 1 marzo 1997

Il rosso, di solito, non è un colore innocente.
Ma quello che mi hai mandato lo è.
È veramente il rosso dell’infanzia. Un rosso immaginario. Oppure il rosso di giovani palpebre premute con forza, il rosso che ti appariva quando facevi quel gesto.
Non appena l’ho visto, ho cominciato a immaginare che cosa gli sarebbe accaduto crescendo. Magari non resterà più rosso. Magari, ho pensato, diventerà nero.
Esattamente come questo rosso sul quale ti sto scrivendo: è ben lontano dall’innocenza. Forse, da giovane, è stato bianco. Bianco con un tocco di verde, come i petali dei fiori di melo quando ancora non si sono schiusi. Ora è il rosso più greve del mondo: nessun uccello potrebbe volarci accanto.
Il rosso che preferisco è quello di Caravaggio. Era solito aggiungerlo dopo aver finito il dipinto.
Il rosso con il quale giureresti di amare per sempre. Il rosso il cui padre è il coltello. […]
Voglio vedere se riesco a cambiare questo rosso così pesante con quello di Caravaggio…
Guarda… ora non è più così pesante ma… è senza passione. Forse nessun rosso potrà mai avere quella passione, finché un corpo non gli verrà dipinto accanto, oppure dentro. E se il rosso fosse un colore che chiede continuamente di un corpo?

Le traduzioni, molto libere, sono un po’ mie (dalle tracce del CD), un po’ prese da questo sito.

I Send You This Cadmium Red si trova invece, a un prezzo scandalosamente alto (al momento si parte da 354 sterline, 416 euro, e poi si sale), su Amazon e in altri siti di vendita online.

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4 Risposte to “Come sono fatti certi libri, 11 / “I send you this cadmium red”, di John Berger & John Christie”

  1. Eugenia Says:

    Che cosa meravigliosa, grazie moltissimo di averci fatto assaggiare questi passi !!
    E.

  2. Lettore Occasionale Says:

    nel titolo c’è scritto caRmium

  3. Giulio Mozzi Says:

    Ops. Correggo. Grazie.

  4. Carmelo Vetrano Says:

    Questo articolo mi era sfuggito. Molto bello.

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