
Andrea Cortellessa
di Andrea Cortellessa
[Questo articolo di Andrea Cortellessa, che ringrazio, è apparso oggi in Tuttolibri, supplemento del quotidiano La Stampa]. [Il medesimo articolo, in una versione un po’ più lunga, è poi uscito in Le parole e le cose].
Cos’hanno in comune Laura Pugno e Vitaliano Trevisan, Giorgio Falco e Franco Arminio? A parte la statura di scrittori niente, si direbbe, o quasi. Il loro link d’origine è un altro scrittore che, in quanto tale, poco parrebbe avere a che fare con tutti loro. Questo scrittore è Giulio Mozzi, che – come consulente editoriale (se ciò basta a designarne la vocazione rabdomantica) – tra la metà dei Novanta e i primi del decennio seguente ha permesso loro di riconoscere la propria voce, poi di farla conoscere ai lettori. Se un giorno si farà un bilancio, di questo passaggio di secolo, si dovrà ammettere che è stata una delle stagioni più fertili, per la terra della prosa. E che, se per ogni generazione c’è un maestro segreto – non perché non riconosciuto, ma in quanto arduo è circoscriverne il magistero –, il maestro di questa generazione è Giulio Mozzi.
Ma se qualche autore nuovo gli sfugge, lui non è geloso: quella voce la riconosce, e fa di tutto perché la conoscano gli altri (come ha detto una volta – lui sa come dire in modo semplice le cose più difficili –: «se trovi una cosa bella che fai, la nascondi?»). Prendiamo Francesco Permunian. Il Saggiatore ridà alle stampe, col titolo Costellazioni del crepuscolo e una manciata di pagine aforistiche a cerniera, i primi due libri (Cronaca di un servo felice, Meridiano Zero 1999, e Camminando nell’aria della sera, Rizzoli 2001) di questo «archivista del caos» (così Silvano Nigro) che, rintanato nella provincia veneta, ogni tanto fa risuonare il suo breve riso demoniaco, e insieme pietoso, sulle manie, le ubbie, le più o meno atroci singolarità dei suoi sventurati conterranei. Soprattutto il primo libro, il vestibolo del suo «incubatoio» (o «incubatorio»: valgono entrambe le varianti), è davvero, come dice Nigro, «uno di quei rari libri che crescono con gli anni». Non solo io ricordo come lo presentò, dal nulla, proprio Mozzi su Alias: «si crede a tutto. E poi si ha paura». Non bastassero quelle parole, c’era una foto dell’autore: che, da allora, non smette di incuterci questo sentimento.
Se non paura, continua a produrre un turbamento profondo Sirene che a dieci anni dalla princeps (Einaudi 2007), riproposto ora da Marsilio (l’editore col quale al momento lavora Mozzi), resta il capolavoro di Laura Pugno. La parola capolavoro è difficile da pronunciare ma, se c’è un caso in cui la si può spendere, è questo. Non solo per la qualità vulnerante della sua storia di ibridazione, sacrificio e rinascita (in un contesto fantascientifico di allegorica potenza), ma perché è il libro che alla voce dell’autrice ha dato un tono inconfondibile. Era un libro stilisticamente diversissimo infatti, ma già similmente intonato, il primo di Pugno: i racconti di Sleepwalking nella collana «Indicativo presente» diretta allora, 2002, ovviamente da Mozzi.
Il quale da qualche tempo, da Laurana, s’è dato a esplorare l’archivio di uno scrittore che, ahilui, conosce molto bene. Nel 2011 vi ha ripubblicato La felicità terrena, l’anno seguente quello che è il suo libro forse più bello, senz’altro il suo «centrale» (per dirla con lui stesso), Il male naturale del ’98. Ora tocca al più problematico e complesso, Fiction (una prima volta pubblicato, da Einaudi, nel 2001). Complesso per la natura a più livelli mescidata (che mette in discussione due fra i fondamenti più saldi, lo statuto finzionale delle storie e l’identità di chi le narra; «un libro sbagliato», conclude ora Mozzi; di fatto, riproponendolo sottilmente mutato, dimostrando il contrario), problematico perché a quell’altezza si sentiva «come narratore, prossimo alla fine» – e poco, in effetti, a quella data è seguito. Un libro in molti sensi terminale, dunque; e, a rileggerlo adesso, si nota come quasi tutte le storie di Fiction abbiano a che fare con la morte.
Dice Permunian che quel 1999 era l’«ultimo autunno di un secolo che muore». Ma nessuno di questi autori elabora il lutto nelle forme canoniche. Nelle storie di Mozzi a contrapporsi all’eclissi di quel bene naturale che è l’esistenza, carnale e spirituale, è la scrittura. I suoi racconti si presentano come performance (lettere, memoriali, conferenze) che hanno la funzione di allontanare la morte (come nella metaletteraria Lettera ai direttori), o di colmarne il vuoto. Per lo più registrando, alla fine, il proprio fallimento. E allora si capisce che il lutto attorno a cui gravita non solo Fiction, nell’«opera di Mozzi» (per usare le sue autoironiche parole), è per l’appunto l’opera che ci viene sottratta. L’unico scrittore che Mozzi abbia deciso di nascondere è lui stesso.
[Una precisazione. Gli scrittori citati l’hanno riconosciuta da sé, la propria voce. In questo io c’entro poco o nulla. Sono stato solo un testimone. Al contrario da alcuni tra loro – in particolare Laura Pugno, e aggiungerei Leonardo Colombati che Cortellessa non cita – ho imparato a riconoscere un poco la voce mia. Non maestro, dunque, ma allievo: uno che ascolta. gm]
Tag: Andrea Cortellessa, Franco Arminio, Giorgio Falco, Laura Pugno, Leonardo Colombati, Vitaliano Trevisan
22 luglio 2017 alle 09:38
Secondo me Colombati non l’ha dimenticato
22 luglio 2017 alle 10:22
Ma Mozzi ha delle ragioni che Cortellessa non condivide, e viceversa. Il che mi pare normale.
23 luglio 2017 alle 06:32
proprio ora, proprio adesso, in questo coro di urla scellerate, c’è il sussurro dell’umiltà, che Mozzi ha in sé da sempre.
23 luglio 2017 alle 11:39
grande cosa, lievito, l’umiltà. Ma quella vera, come in questo caso.
23 luglio 2017 alle 12:24
No, umile no. Direi piuttosto: realistico. Non ho il delirio di chi crede di aver fatto chissà che per le vite altrui.
23 luglio 2017 alle 17:10
ma l’umiltà vera significa anche sapere che siamo “poveri uomini” al cospetto praticamente di tutto. Non era in senso cattolico, era in senso letterario.
23 luglio 2017 alle 21:16
Servi inutili. Delle due parole, l’importante è la prima.
24 luglio 2017 alle 09:04
[…] e dai e dai – si sfilacci, che risulti irriconoscibile. Andrea Cortellessa ha affermato in un suo recente articolo che “l’unico scrittore che Giulio Mozzi ha deciso di nascondere è se stesso”. E si sarà […]
24 luglio 2017 alle 10:57
A volte lei parla come don Mario, signor Mozzi, faccia molta attenzione… 🙂
24 luglio 2017 alle 16:06
mozzi è talmente modesto che non lo dà neanche a vedere
24 luglio 2017 alle 17:01
Sergio: vedi il Lord Brummel di Achille Campanile.