“Cucinare tutto”, di William Sughi

by

di Ennio Bissolati

[Sostiene Ennio Bissolati di essere un bibliofilo. Sostiene, anche, di essere spesso l’unico lettore delle opere che recensisce].

William Sughi, Cucinare tutto

Il protagonista dell’ultimo romanzo di William Sughi, Cucinare tutto (Lorizzo), è un cuoco onnivoro. E anche se l’ultima volta in cui ha cucinato una pepata di scorpioni risale a molti anni prima, quando non era ancora diventato uno chef di fama internazionale, Leo Michelini non può fare a meno di pensare agli insetti-stecco alla piastra, alle blatte fritte in cartoccio, alle cavallette e ai grillotalpa in fricassea, alle arancine di vermi di terra, ai ragni crociati saltati con finocchietto e germogli di soia, alle tarantole in umido (buonissime), ogniqualvolta cucina uno dei suoi rinomatissimi piatti di cucina vego-molecolare. Leo digiuna, si nutre solo di riso in bianco, combatte una lotta gastrointestina di cui cerca di non far trapelare nulla all’esterno. Ma l’ossessione per il micromondo degli animali a sei e otto zampe – o di zampe del tutto privi – è più forte di qualunque cosa. “L’abbacchio è pietanza: sì, ma che tipo di pietanza? L’abbacchio non ha quel dolcissimo sapore di escremento, non agita le zampette durante la cottura, non ha un esoscheletro da sgranocchiare”. L’ossessione non passa, e non passano certi ricordi: come quello – raccontato nei dettagli lungo svariate pagine – di un vecchio santone che gli magnifica le delizie delle bistecche di lumaca gigante: “Se al primo colpo non ti piace, ricorda che per correggerne il sapore ci sono le salse di formiche, i succhi di scarabeo, le mostarde di larve acquatiche rafferme”. Questo orrore c’è nel libro. E se possibile anche peggio: ci sono le visite sui siti clandestini del deep web culinario, e vengono riportati commenti appassionati come quello di mangiatore di lombrichi vivi: “Succhia, succhia. Niente di così lungo e di così morbido è mai entrato nella tua bocca”.

Uno scrittore deve poter parlare di tutto. Anzi, talvolta ha persino il dovere di farlo. La letteratura ha d’altronde le spalle larghe, e può sopportare quasi qualsiasi peso. Quasi. Perché poi tutto dipende da come lo si fa, dallo scopo che ci si prefigge, dalle conclusioni che se ne tirano. Gli insettivori esistono e, se si sente il bisogno di parlarne, lo si può (e forse lo si deve) fare, ma a patto di restare autentici e veri fino alla fine. Che scopo, dunque, si prefigge Sughi? Che conclusioni trae raccontando la storia di Leo Michelini partendo da premesse così gratuitamente scandalistiche?

Bisogna rivelare parte della trama per rispondere. Le cose precipitano quando Leo accoglie nel suo ristorante, proveniente in stage dal locale Liceo Turistico-Alberghiero, il sedicenne Andrea. All’inizio, lo chef riesce a resistere alla tentazione, anche se è il ragazzo a proporgli la preparazione di una crema di afidi e di un’insalata di cerambice della quercia (scena, in realtà, alquanto irrealistica). Solo che Andrea, istericamente rimproverato e deriso da Leo, precipita nella disperazione e si uccide (anche qui la casistica psicologica è piuttosto irrealistica). E lo chef, dopo l’iniziale euforia per aver superato la prova, urla contro il mondo e contro gli umani la sua ultima, per così dire, bestemmia: “La mia croce era resistere alla mia natura; e adesso? Per essere come tutti, per non cedere alla tentazione di nutrirmi degli esseri più schifosi della terra, ho provocato la morte di Andrea”.

Che cosa suggerisce allora Sughi in Cucinare tutto? Che è meglio uscire dalla comunità umana e nutrirsi di termiti, mosche verdi e cimici, piuttosto che provocare la morte di un ragazzo? “Ho considerato la salvezza della mia miserabile rispettabilità più importante del tuo ancora aperto futuro professionale”, dice Leo al capezzale di Andrea. “Perdonami: dovevo accettare di mangiare con te, come te, qualunque prezzo mi fosse costato”. Il lettore assiste così a un rovesciamento, insinuato ad arte dall’autore, che induce a credere che così vada il mondo: non è perché l’Artusi non si porta più che tutto è possibile, ma proprio perché l’Artusi non si porta più tutto è permesso: e digiunare non serve a nulla, come recita il titolo del romanzo con cui Sughi vinse il Premio Winx nel 2013. Ma chi può anche solo immaginare che condividere le fantasie alimentari di un bambino possa salvarlo?

È troppo comodo, per uno scrittore, utilizzare la narrazione e nascondersi dietro la licenza del creare. La letteratura ha le spalle molto larghe, certo. Ma può sostenere anche il peso della digestione? E, se letteratura non è, come giudicare un’operazione editoriale il cui cinismo appare così evidente?

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10 Risposte to ““Cucinare tutto”, di William Sughi”

  1. Ma.Ma. Says:

    …grazie: a proposito di peso, avendomi certe delizie narrate appena chiuso lo stomaco, la recensione mi aiuta molto nella dieta che sto cercando di rispettare (dieta si fa per dire), quindi direi che più che appesantire, il libro del Sughi, probabilmente alla fine alleggerisce.

  2. marisasalabelle Says:

    meraviglioso 😀

  3. acabarra59 Says:

    Caro Bissolati, ormai che c’era, poteva dire due parole anche su Aritomo Aricacchio, il misconosciuto autore di Scuola di crudo…

  4. donatella Says:

    Magistrale, Bissolati. La parodia della recensione è più alta della recensione stessa.

  5. antonioalfiere Says:

    Quando parli di ricette fatte con insetti ho come l’impressione di entrare in un’altro mondo.
    Di primo acchito sembra un libro molto interessante. Credete che sia facile da digerire con pancetta e uova strapazzate?

  6. Alexander C. Says:

    Inquietante. Tuttavia il nome dell’autore è tutto un programma, il titolo dell’opera, pure, la ricetta che causa la morte di Andrea, idem. Certo, che dagli scarabei si possano estrarre succhi (che è un po’ una parodia ribaltata delle modernissime diete detox a base di frutta e verdura) questo, insomma, lo ignoro.

  7. Michela Says:

    Bissolati, questa sí che é veramente… oltre!

  8. Giulio Mozzi Says:

    In realtà, come qualcuno ha notato, Bissolati si è limitato a parodiare alcuni passi di questo articolo.

  9. Alexander C. Says:

    Ciao Giulio e grazie. A proposito di parodie: nel mio racconto del concorso “Un terribile natale” (ci sono novità o imminenti sviluppi?) parodiavo con sarcasmo questo scandalo radiofonico, in realtà passato in sordina.

    https://www.google.it/amp/www.ilfattoquotidiano.it/2016/11/05/terremoto-come-castigo-divino-per-unioni-gay-il-prete-rincara-la-dose-critiche-dal-vaticano-studino-il-catechismo/3169964/amp/

  10. Teresa Capello Says:

    Ho appena concluso il romanzo di Sughi – apprezzo anche la coraggiosa scelta di Lorizzo nel pubblicarlo. E confermo che – quando, seduta tra il pubblico, accolsi, nel 2013, con un sobbalzo, con grande gioia, la notizia del Premio Winx a Sughi – era il 2013? – pensai che era o fosse cosa buona e giusta. Buona, perché le tematiche culinarie da sempre sono centrali per l’umanità, come a me personalmente ha insegnato Lévi-Strauss, prima del buon vecchio zio Sigmund. E’ insito nell’uomo questo desiderio di nutrimento e saper giungere all’estremo di questo, con il cibarsi estremo – implicitamente orgiastico dionisiaco oltre che insettivoro – conferma che l’uomo è un essere umano e, in quanto tale ha (Genesi, I,1-10,3) controllo su tutte le altre specie. Le costolette, poi. D’agnello, poi. Ma scusate la divagazione: è pure sempre domenica pomeriggio. Tornerei sulla profondità di frasi come: “L’abbacchio è pietanza: sì, ma che tipo di pietanza? L’abbacchio non ha quel dolcissimo sapore di escremento, non agita le zampette durante la cottura, non ha un esoscheletro da sgranocchiare”, laddove nell’anafora, Sughi – nomen omen: dovevo dirlo! – rimarca la distanza tra la tradizione, ciò che è imposto come regola – e la libertà, di scelta appunto. Naturalmente, E.Bissolati, ha già messo in evidenza gli aspetti fondamentali, e non sta a me andare oltre un semplice commento accessorio, al cui mi accingo. Il protagonista aveva inizialmente condiviso – se non erro – la zampetta aracnidea n.7 della specie comunissima della Steatoda Triangulosa, in un momento di pausa dai giochi de “La prova del Fuoco”, se ho letto bene. E dunque? Non per questo avrebbe poi dovuto continuare, su questa strada. Ma il testo di Sughi, evidenziando implicitamente le ricette, permette di distanziarsi dal gesto autodistruttivo di Andrea, senza senso. Di colpa. Di colpo. Cucinare tutto! Eliminare la punteggiatura! André Holley, ne “Le cerveau gourmand” (2006: Bollati Boringhieri 2009) scrive: “…si aprì una breccia nella teoria dei quattro sapori fondamentali, quando, per influenza di alcuni ricercatori giapponesi, la lista dei sapori si accrebbe di uno, con l’introduzione del sapore “umami” (“squisito”), descritto ad inizio secolo da un giapponese, Kinukake Ikeda”. Se lo squisito è dunque relativo, che stiamo a discutere? Indipendentemente da noi, le cose accadono. Andrea avrebbe compiuto comunque quel gesto, anche senza la zampetta? E’ bello star qui tutti insieme a chiederselo, assaporando la velenosa tarantella (s.m.dim.). Siamo fatti di buio. Di anfratti dove rosolano olii d’oliva con rosmarini, aglio, sangue della costoletta buttata nel soffritto con un po’ di sale grosso, poi pepe q.b. – spegnere la luce – abbrustolire bene, alla fine patatine al forno con aggiunta di gocce di rarissimo sangue di formica dell’Isola di Ulleungdo. Citando Bissolati, la lettura – “può sostenere anche il peso della digestione?”.

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