di giuliomozzi
1. Il suo sorriso era come un muro di mattoni rossi illuminato dalla luna in una notte novembrina piena di strani venticelli gelidi che spuntavano all’improvviso dai vicoli, dalle strade secondarie, perfino dalle grandi avenue, dopo una giornata di svendite e offerte speciali nelle quali nessuno aveva comperato né venduto nulla che fosse veramente necessario all’anima come il respiro è necessario alla vita del corpo.
2. S’imbufalì come una iena.
3. Durante tutta la visita all’acquario si sentì come un pesce fuor d’acqua.
4. Camminavano in fila indiana come i pellerossa.
5. Sua nuora era petulante come una suocera.
6. Lui uscì subito da lei, con lo scatto di una murena che intravede la preda.
7. Spogliarla fu come sbucciare un’arancia sotto il sole dell’estate.
8. La sua voce somigliava allo sferragliare lontano di un treno in corsa nella notte, al fischiettare di un ugonotto ignaro del suo destino infame, al ronzio del pelapatate in un collegio di gesuiti, all’eco di un’ombra in una sera nuvolosa, all’odore dell’olio rancido in una padella non lavata da mesi.
9. Selene aveva le gote bianche e rosse di una ragazza di montagna, Stella era di un milanesissimo pallore lunare.
10. Qualunque cosa dicesse la diceva in dieci punti, come il Mozzi.
9 marzo 2017 alle 12:37
ho un po’ tremato, temendo di trovarci qualcosa di mio. il 10 invece lo userò presto (credo).
p.s. due mesi sono proprio due mesi stecchiti come gambe secche di donne secche, oppure approssimativi, come vele al vento? A proposito di paragoni da non usare.
9 marzo 2017 alle 13:06
Amo soprattutto il punto dieci… 🙂 centodieci con bacio accademico a tutto il resto.
9 marzo 2017 alle 13:27
11. Suor Adele tartagliava come una mitragliatrice Kord di fabbricazione russa
9 marzo 2017 alle 13:28
A me la 8 piace però… pure la dieci. 🙂
9 marzo 2017 alle 14:51
La 9 non è cosí orribile, se sostituisci l’orrendo “milanesissimo” con un più semplice “Stella esibiva un pallore cittadino”.
9 marzo 2017 alle 16:10
Immaginavo che i muri di mattoni rossi avessero una vita difficile ma non sapevo che agli ugonotti, in quanto tali, piacesse fischiettare.
9 marzo 2017 alle 17:19
Ottimi esempi 😀
9 marzo 2017 alle 18:32
Giulio, il riposo (o la sosta) ti ha giovato: sei in forma splendida. Me ne compiaccio.
Ma.ma. anche a me piace la 8. L’accumulo sottomette l’efficacia e la plausibilità del paragone alla fantasiosità.
9 marzo 2017 alle 19:08
Probabilmente sono arrivata al punto di considerare i paragoni (scritti così, con una classica similitudine e frasi idiomatiche a go-go) un ostacolo alla narrazione. Sono barbose, dilettantistiche e ridicole. Meno ce ne sono in un testo e meglio è. Tra l’altro, ma cosa c’è di più deprimente dello scrivere “il suo sorriso era come blabla” “i suoi capelli erano come blabla”; più divertente (de)scrivere: “Il suo sorriso aveva i denti tutti storti” “i suoi capelli erano sudati e lucidi alle tempie”, cose così. E ovviamente questo è giusto perché sono io a scriverlo. Ovviamente.
9 marzo 2017 alle 20:22
Chissà perché io mi riconosco sempre negli esempi più assurdi. Mah, è come se piovendo una pioggerellina leggera su di me dovesse cadere la grandine, come se passeggiando tra le dune a me toccassero le sabbie mobili, come se arrampicandoci sulle querce io fossi salita sui rami più sottili e fragili, come se… 😀
10 marzo 2017 alle 15:12
La numero tre potrebbe avere un suo perchè 🙂
10 marzo 2017 alle 16:14
Paragoni o paradossi?
10 marzo 2017 alle 17:10
“E come, levate le spighe, si bruciano le fragili stoppie, come le siepi si incendiano se per caso un viandante accosta troppo una torcia, e magari la butta stando ormai per far giorno, così il dio prende fuoco, così arde dappertutto nel petto, e alimenta con la speranza uno sterile amore”
12 marzo 2017 alle 15:44
La 5 mi sembra lecita e divertente, soprattutto se quel “sua” fa riferimento a un uomo: “La nuora di Mario era petulante come una suocera”. In questo caso (se la terza persona esprime un pensiero di Mario e non del narratore) il testo potrebbe comunicare fra le righe che anche Mario -a suo tempo- ha avuto a che fare con la classica suocera petulante, oppure (più sottilmente) che la moglie di Mario (che a sua volta è chiaramente una suocera) è petulante.
Se invece quel “sua” fa riferimento a una donna, di cui la terza persona esprime un pensiero, la frase otterrebbe un effetto comico che ricorda in piccolo la famosa battuta di Groucho Marx “Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me”.