di Edoardo Zambelli
Era il 1980, e per due ragazzi quella notte fredda di ottobre era stata l’ultima delle loro brevi accidentate vite.
Matteo ha 47 anni, due figli (Maddalena e Valerio), e una ex moglie (Sara). Una sera, sfogliando un giornale, vede due foto e viene a sapere che un suo amico di infanzia, intanto diventato pubblico ministero, ha riaperto un caso di molti anni prima: durante una festa, secondo dinamiche mai del tutto chiarite, ha perso la vita un ragazzo di diciassette anni, assassinato. E non è l’unico ad aver perso la vita, c’era anche una ragazza di quindici anni, il cui corpo non è mai stato ritrovato.
Matteo quella notte c’era, sa cosa è successo davvero, ma non ha mai avuto il coraggio di dirlo a qualcuno, forse nemmeno a se stesso. Adesso però sa che quel coraggio deve trovarlo, deve ricordare e rivivere quella notte che tanto peso ha avuto nella sua vita.
Il romanzo di Dario Buzzolan Se trovo il coraggio si articola, quindi, nel racconto di due notti: quella presente, in cui Matteo vaga alla ricerca dei ricordi, e quella del 1980, che è stata per lui tanto un’iniziazione all’amore quanto un’iniziazione alla morte. La narrazione, diciamo così, sdoppiata è un espediente che Buzzolan ha già usato con successo nel precedente (e bellissimo) Tutto brucia e nel più recente (e altrettanto bello) Malapianta. Qui l’arco narrativo dura dodici ore, dalle 20 alle 8, con i capitoli che scandiscono il passare del tempo un’ora alla volta.
Se trovo il coraggio è uno di quei felicissimi casi di romanzo difficilmente collocabile in un genere. È un noir, certo, c’è un omicidio e insieme l’indagine sui motivi profondi che hanno portato al delitto. Ma è anche, e forse soprattutto, un’affresco della gioventù degli anni ’80. Matteo, all’epoca da poco adolescente, guarda con un misto di ammirazione e paura le cose che gli accadono intorno: le bande di giovani delinquenti, le ragazze, la droga. Non è a caso che ho detto che Matteo “guarda”. Il suo ruolo è, infatti, quello dello spettatore: non è con nessuna banda (anzi, ne è spesso vittima), non si droga, alle ragazze è sicuro di non piacere. In questo ha trovato una sorta di equilibrio, che si spezzerà proprio la notte della festa e proprio a causa (per merito) di una ragazza. Elen, quindici anni, adolescente bellissima e turbolenta, da poco tornata in giro dopo un periodo di disintossicazione dall’eroina. In lei, nell’arco di poche ore, Matteo troverà sia la possibilità di amare e essere amato sia la forza per smettere di guardare e decidersi ad agire.
La famosa notte, fulcro di tutto il romanzo, viene raccontata a strappi. Buzzolan vi accenna, ne racconta un pezzo, poi cambia strada e ci ritorna più avanti, generando così nel lettore una continua tensione, la voglia di andare avanti, di arrivare al momento centrale. Lo fa con una scrittura elegante, ricca pur senza virtuosismi. Il montaggio delle scene e il ritmo del racconto sono perfettamente in equilibrio tra parti riflessive e parti “d’azione” (in particolare segnalo una bellissima e intensa scena di sesso e una scazzottata descritta in modo meraviglioso).
A me ha ricordato, nel suo andamento, altri due libri che ho trovato molto belli: Un romanzo d’avventura di Alberto Ongaro e Piccolo testamento di Gabriele Dadati.
Il romanzo si conclude con queste parole: devo dirti una cosa. Al lettore il piacere di ascoltare la storia che finalmente Matteo è pronto a raccontare.
Tag: Alberto Ongaro, Dario Buzzolan, Edoardo Zambelli, Gabriele Dadati
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