Nicola Manuppelli ci invita da Hadelman

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di Enrico Macioci

merenda-da-hadelmanMerenda da Hadelman (Aliberti, 2016) di Nicola Manuppelli, è un libro dal ritmo e dal timbro americani, e tuttavia non risulta per nulla artificioso o finto. Manuppelli, eccellente traduttore di Andre Dubus, Charles Baxter, Sara Taylor e numerosi altri autori irlandesi e statunitensi, ha affinato il proprio naturale talento di cantastorie alla scuola dei grandi maestri anglosassoni. Il risultato è quest’opera asciutta ma lirica, breve ma pregna, rapida ma esaustiva; un’opera compiuta senza che si avverta lo sforzo del compimento.

Hadelman, un ex poliziotto che prende in gestione un locale allo scopo di proteggere la ragazza che lavora nell’agenzia dall’altra parte della strada, si trova presto invischiato in una storia a tinte fosche. Il romanzo, che parte quasi allegro, assume man mano i contorni del noir, con picchi di violenza e di tensione che Manuppelli gestisce bene, senza scadere nell’effettaccio e senza indulgere nel patetico. I personaggi sono pochi e delineati con cura, e così gli ambienti. Sembra di osservare un quadro di Edward Hopper: interni precisi e scolpiti, esterni rarefatti e ostili. Il bar di Hadelman in particolare funge da centro geografico ed emotivo della vicenda: “Una caffetteria, un pub, una tavola calda sono contenitori di storie. In fondo, è ciò di cui in parte siamo fatti e di cui abbiamo bisogno. Storie che ci intrattengano e che non abbiano altri fini se non quello di cullarci nella nostra ricerca di qualcosa – la felicità, il bisogno di fuggire, l’ambizione, la semplice allegria – un po’ come i racconti che ci stupivano da bambini.” Intorno al perno del bar si muovono Hadelman, i suoi amici e i suoi nemici; il locale, un po’ come accade in certe serie tv (pensiamo a Happy Days, girato tutto fra casa Cunningham e il bar Arnold’s), risulta talmente familiare che si ha l’impressione di entrarci, sedersi al bancone e prendere un caffè o una fetta di torta, scambiando quattro chiacchiere col gestore.

La seconda metà del libro si consuma pressoché intera in una sola, febbrile notte, fra capannoni industriali, boschi di periferia, scommesse clandestine, lotte selvagge, case che esplodono, acquazzoni, sigarette che brillano nel buio, criminali stupidi e grassi, dandies eleganti e psicotici… e naturalmente il bar. Manuppelli srotola una serie di episodi senza accavallarli, bensì esponendoli con chiarezza. Si legge velocemente, persino voracemente; ma non si perde il filo perché l’autore sa quando svolgerlo e quando trattenerlo. Il controllo non si traduce però in distacco. Al contrario, Merenda da Hadelman oscilla fra umorismo ruvido e dolce e squarci quasi filosofici, per l’acume e la profondità con cui affrontano le questioni dell’esistenza:

Che cos’è la felicità? E’ la cosa che ci fa più paura di tutte. Perché la felicità ci chiede di restare, di fermarci e noi siamo così abituati a essere in movimento, a inseguire obiettivi, che non impariamo la grandezza di apprezzare un momento, tenerlo fra le mani e assaporarlo. Ma certe volte va fatto. Perché quei momenti in particolare sono parti importanti della vita stessa. Bisognerebbe imparare a costruirci sopra la nostra torre. Una torre con una trivella per cercare l’oro che è nascosto dentro certe cose.

E’ l’ex poliziotto Hadelman a riflettere, e sentiamo di potergli credere. Il tono è quello giusto; è il tono di un cinquantenne disilluso, calvo, sovrappeso e con tre matrimoni falliti alle spalle che intravede una possibilità, forse l’ultima; e decide di sfruttarla ad ogni costo.

Non solo Hadelman, anche gli altri personaggi sono ritratti con sapienza: Bilco, un ladro dal cuore buono, il bizzarro e felino Chan, la vecchia ed energica Olga e poi il cattivo di turno, l’Esecutore. I cattivi sono i più difficili da rendere; il rischio è che risultino poco credibili, quando non proprio ridicoli. Ma l’Esecutore è perfetto: spaventoso e crudele al punto giusto. Nei tratti in cui la tensione sale il merito va al carisma dell’Esecutore, alla sua quieta, gelida malvagità. E poi c’è Conny, la ragazza per cui batte il cuore di Hadelman. E’ una figura appena accennata, bella ma fisicamente sospesa in una nebbia – un maglione, uno sguardo, un paio di scarpe. Ciò che davvero conta è quel che ella rappresenta per Hadelman, il ventaglio di speranze che spalanca davanti al suo orizzonte. Conny incarna il potenziale riscatto del protagonista, un protagonista che Manuppelli si diverte a descrivere e che ama.

Una menzione la meritano i dialoghi. La nostra letteratura non coltiva rapporti idilliaci col dialogo, che poi è il respiro stesso di un romanzo o di un racconto. Un buon dialogo somiglia a una partitura musicale e Manuppelli sfoggia un orecchio sensibile. Sa dare una voce nitida a ciascun personaggio e sa allestire sticomitie perfette, scambi secchi che spaziano dall’ironia al disincanto, dalla battuta quotidiana all’emozione. In ciò ricorda un poco Richard Price, la sua suprema abilità nel delegare al dialogo lunghe parti di narrato. Valga un solo esempio, colto dal primo dialogo del libro:

“Ora di cosa campi?”
“Vendo attrezzature.”
“Attrezzature? Di che genere?”
“Varie.” Fece una pausa. Vedendo che non dicevo nulla, precisò: “Mangiatoie per animali.”
Lo fissai di nuovo in silenzio. “Bilco” gli dissi alla fine “non sono più un poliziotto.”
“Organizzo ancora qualche corsa. Lotte di cani.”
“E’ disgustoso.”
“Già.”
“Non pensi a quelle bestie?”
“Amo i cani. E’ la vita ad essere dura.”

Merenda da Hadelman, in definitiva, non ha pretese di “serietà” (l’autore stesso se ne tira fuori, tra il serio e il faceto, in una delle discrete ma precise dichiarazioni di poetica disseminate lungo il testo). In ciò risiede, anche, la sua bellezza fuggevole, quella di un riflesso che scorre su un vetro o di una figura enigmatica incisa da Hopper sulla tela inquieta del mondo. Manuppelli ci racconta semplicemente una storia e nel farlo cattura i nostri sentimenti, la nostra simpatia, il nostro odio (l’Esecutore è facilissimo da odiare). Una volta terminato e chiuso il libro, uno avrebbe voglia di riaprirlo per leggerlo daccapo. Uno avrebbe sempre voglia di entrare da Hadelman per una bella merenda.

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3 Risposte to “Nicola Manuppelli ci invita da Hadelman”

  1. Luciana Says:

    Forse è un caso che il nostro Giulio posti un articolo così, nel bel mezzo di quest’avventura del terribile Natale. Io voglio pensare che non sia un caso, perché mi piace pensarlo.
    Non conosco il libro, né il suo autore, ma amo questo tipo di recensione, perché l’analisi del testo non è soltanto approfondita – che quello lo sanno fare in molti – ma è un’analisi sentimentale, nel senso che si ricercano soprattutto le vie dei sentimenti percorse nel libro. E in queste vie, a destra o a sinistra, in alto o poco più in giù oppure dopo la prima stella del mattino 🙂 ognuno ritrova qualcosa di sé e della sua vita. Credo sia questo la letteratura.

  2. manu Says:

    ho ordinato il libro. grazie macioci.

  3. enricomacioci Says:

    Luciana, manu, grazie a voi

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