[Le regole del gioco. Per chi volesse, il racconto in pdf].
Skolvær, 1 dicembre 1988
Gentilissima Sig.ra Tovak,
Spero che questa mia lettera La trovi serena, più dell’ultima volta che ci siamo visti di persona. Sono passati parecchi mesi, da quel giorno, e so che Lei mi ha chiesto di non intrattenere alcuna comunicazione regolare fra il nostro Istituto e la Sua famiglia. Mi creda, dunque, se Le dico che mi spiace molto di doverLe scrivere: ma mi trovo costretto a farlo, e a farlo con una certa urgenza, in merito alla condotta di suo figlio.
Sin da quando è arrivato fra noi, Nicholas è risultato subito un bambino molto educato: saluta tutti con gentilezza, arriva puntuale in aula, svolge con regolarità i propri compiti (i suoi voti sono fra i più alti della classe) e a sei anni, a differenza di molti altri bambini che abbiamo in custodia presso di noi, è del tutto autonomo nell’igiene personale.
Di recente si sono verificati, tuttavia, alcuni fatti che mi hanno costretto a controllarlo più da vicino.
Qualche settimana fa, durante l’ora di gioco dopo il pranzo collettivo – era un sabato: e di sabato, come le avevo spiegato, ai ragazzi viene concessa una pausa più lunga prima di tornare nelle proprie stanze per lo studio individuale – Nicholas stava camminando in giardino fra gli altri bambini. Non è che stesse proprio giocando con loro (Nicholas non gioca molto, vero? Ma questo Lei già lo sa): piuttosto, li osservava: o, almeno, così mi ha riferito Florian, il seminarista incaricato di sorvegliarli quel giorno. Insomma: i bambini di terza si rincorrevano gridando, lui camminava lentamente fra loro.
Appena Joseph, un suo compagno di classe, lo ha avvicinato per chiedergli di far squadra con lui, Nicholas gli ha sputato in faccia. Poi è rimasto lì, in piedi, a guardarlo mentre Joseph si ripuliva il viso con la manica, senza neanche ben capire cosa fosse successo. Quando Florian l’ha costretto a voltarsi per chiederli spiegazioni, Nicholas l’ha guardato tranquillamente in faccia e gli ha rivolto uno strano sorriso. Uno strano sorriso: ecco, proprio così si è espresso il mio fidato seminarista: “uno strano sorriso”. Quando gli ho chiesto che cosa intendesse, non ha voluto aggiungere altro.
Come da prassi qui nel nostro Istituto in caso di atteggiamento contravvenente alle regole, abbiamo isolato Nicholas per l’intero pomeriggio e l’abbiamo tenuto sotto sorveglianza anche durante la cena, ma nulla nel suo modo di fare sembrava presagire altri comportamenti del genere: era tornato il bambino tranquillo e a modo di sempre.
Così, abbiamo deciso di reintegrarlo in classe fin dal giorno dopo e io stesso, onestamente, ho dimenticato abbastanza in fretta quell’episodio.
Fino a quattro giorni fa, quando ho assistito di persona all’avvenimento che mi spinge, oggi, a scriverLe. Lunedì scorso, durante l’ora di ginnastica, Nicholas ha morso un compagno di classe. E non si è trattato di un morso allungato di sfuggita, di quelli che si danno per scherzo, minaccia o difesa. L’ha morso volontariamente e con – La prego di passarmi la parola, dato che non ne trovo di più adatte – lucida premeditazione.
I bambini erano tutti schierati in cortile, pronti a partire per la gara di corsa fra i boschi che l’insegnante organizza ogni anno in questo periodo, quando Nicholas si è girato verso il suo vicino, Daniel, lo ha osservato per qualche secondo e poi gli ha addentato la spalla sinistra. Se Padre Agostino, che stava per fischiare la partenza, non fosse intervenuto a separarli, sono pressoché certo che Nicholas gli avrebbe staccato un pezzo di carne, tanta era la forza con cui aveva serrato la mascella. Ho visto tutto dalla finestra della mensa, poco lontano, e Le assicuro che non mi sbaglio. Daniel è stato medicato e – su suggerimento del nostro medico di fiducia – vaccinato contro la rabbia. Era abbastanza scosso, e i suoi genitori sono comprensibilmente alterati per l’accaduto, ma hanno accettato di non sporgere denuncia. Nicholas invece, quando sono arrivato davanti a lui, non mostrava il minimo segno di alterazione, nemmeno nell’espressione del viso.
Abbiamo deciso, per precauzione, di sospenderlo dalla frequenza alle lezioni e di sorvegliarlo con attenzione durante le attività collettive: il gioco, la messa e i pasti. Sono certo che Lei, signora Tovak, capirà le ragioni di questa nostra decisione, presa all’unanimità durante una seduta straordinaria del Consiglio d’Istituto. Nei giorni seguenti l’ho convocato più volte nel mio studio per cercare di capire meglio cosa fosse successo e perché, ma il bambino sembra non ricordare nemmeno i due episodi di cui Le sto scrivendo. Seduto sulla poltrona che riservo agli ospiti, si è limitato a guardarmi e sorridere.
Ad ogni modo, credo sia meglio fornirLe tutti i dettagli dell’accaduto quando verrà qui a prendere Nicholas. Ritengo infatti che un allontanamento, almeno temporaneo, dalla nostra struttura possa giovare al bambino per ritrovare una dimensione di tranquillità ed equilibrio a cui l’ambiente familiare darà senz’altro un contributo decisivo. Probabilmente Nicholas ha soltanto bisogno di sentirsi a casa propria, di recuperare il senso degli affetti. In fondo è qui con noi solamente da quest’anno, e non è tornato a casa nemmeno per le vacanze estive.
La prego di credermi, signora Tovak, quando Le assicuro che ho pensato a lungo al da farsi, vagliando le diverse ipotesi in modo da agire per il meglio di tutti i miei studenti, Nicholas compreso. Il Natale che si avvicina mi sembra l’occasione più propizia per concedere a Nicholas una pausa dalla scuola e dal senso di responsabilità che la disciplina del nostro Istituto in qualche modo genera.
So che Lei aveva espressamente richiesto che il bambino restasse presso di noi il più a lungo possibile durante l’anno ma, date le circostanze che Le ho appena ho riferito, mi permetto di proporre – anzi di suggerire caldamente –, per Nicholas, un inizio anticipato delle vacanze natalizie da trascorrere a casa con voi, la sua famiglia.
Sarebbe opportuno, se Le è possibile, che Lei e Suo marito veniste a prendere Nicholas già questo fine settimana, o al più tardi il prossimo, nel giorno e nell’orario che vi è più consono: io resto a vostra disposizione e spero di vedervi presto, per poter parlare di persona sia dell’accaduto che del futuro di Suo figlio nella nostra struttura.
In attesa di una Sua gentile conferma, resto
Cordialmente Suo,
Padre Mikhail
PS. Non abbia paura, signora Tovak: anche se Nicholas resta a casa con voi per qualche tempo, andrà tutto bene. Io pregherò per voi.
* * *
Norvsdal, 4 dicembre 1988
Carissima Hanna,
Come stai? Come sta William? E i bambini?
Noi, come potrai immaginare, ci stiamo preparando per l’inverno. Intendo per l’inverno quello vero, che purtroppo anche quest’anno sta per cominciare. Ho fatto le solite scorte di cibo, latte in polvere, medicine, alcol e bende (stavolta ne ho presa qualcuna in più degli anni scorsi, giusto per sicurezza). Nevica con regolarità, ma al Consiglio Cittadino hanno detto che le strade rimarranno percorribili, o almeno lo spero. Come sai non è questo, in fondo, che mi preoccupa. L’orto invernale ha dato i suoi frutti, e giù in cantina ho accumulato patate sufficienti a non farci uscire di casa per almeno tre settimane, se necessario.
Hella sta crescendo in fretta, tanto che ormai non riesco quasi più a tenerla in braccio! Per fortuna ci pensa Kristofer a prenderla, quando ce n’è bisogno.
Con l’arrivo del Natale, come sempre, sarà necessario essere più vigili e presenti e io sinceramente sono stanca, molto più stanca del solito.
Il fatto è che Nicholas, a quanto pare, quest’anno tornerà a casa prima delle vacanze vere e proprie. Già il prossimo sabato, se ci decidiamo ad andarlo a prendere all’Istituto. Dovevamo andare ieri, ma io non ce l’ho fatta. Adesso stiamo cercando di deciderci, anche perché non abbiamo alternative: mi ha scritto il direttore, sai, e purtroppo non ci sono buoni segni.
Quest’anno infatti è cominciato prima del solito: anzi, comincia ogni anno un po’ prima, mi pare (non ho mai tenuto conto delle date, ma credo che inizierò a farlo).
Io cerco di tenermi calma, ma penso che nei prossimi giorni andrò dal Dottor Berger per farmi aumentare le dosi delle medicine. Sono certa che è meglio così, anche se Kristofer non è molto d’accordo per via degli effetti collaterali. Lui, rispetto a me, è senz’altro più forte e mi ha promesso che terrà duro per tutti e due, se ce n’è bisogno. Ma io so di non avere scampo, Sarah. Meglio che il dottore mi aumenti le dosi delle medicine, almeno potrò essere un po’ più positiva e non sentire tutto il tempo solo il cuore che mi batte nel petto.
Non è che magari, da qui alle vacanze di Natale, possiamo sentirci al telefono, qualche volta? Facciamo pure quando da te è giorno, tanto so che dormirò ben poco nelle prossime settimane.
Sai, a volte vorrei solo avere a disposizione tutto il sole che hai tu lì: credo proprio che qualche ora di luce in più mi aiuterebbe molto a non sentire la paura. Sono nata e vissuta qui tutta la vita, ma ultimamente ho sempre di più la sensazione che in questo periodo dell’anno faccia buio un po’ troppo presto.
Ti abbraccio, e ti abbraccia anche Kristofer. Vi mando una foto di Hella mentre costruisce Mr Hogg, il suo pupazzo di neve di quest’anno, con lui e Hans, il nostro vicino di casa a cui si è molto affezionata ultimamente. Dopo la morte improvvisa del signor Tuller, lo scorso Natale, credevo avrebbe avuto più difficoltà a fidarsi di qualcuno che non è della famiglia, invece i bambini sanno essere degli ottimi maestri d’amore, non trovi?
Anche Nicholas avrebbe potuto esserlo, ne sono sicura.
Scrivimi presto, per favore.
Tua sorella,
Jenna
* * *
Skolvær, 5 dicembre 1988
Reverendissimo Padre Lindgren,
L’inizio dell’Avvento ha rappresentato anche questa volta, per me e la nostra piccola comunità di educatori, un momento di grande riflessione interiore. Eccomi dunque, come ogni dicembre prima del Santo Natale, a condividerle con Lei.
Da un lato, l’anno che va concludendosi ci ha regalato tante gioie, soprattutto per i risultati ottenuti dai nostri studenti che hanno passato gli esami finali: alcuni di loro, ho saputo grazie alla corrispondenza con le rispettive famiglie, sono stati accettati in scuole superiori molto prestigiose, sia qui che all’estero. I più piccoli proseguono invece la loro formazione da noi, dove constato con immenso piacere che i genitori continuano ad iscriverli.
Dall’altro lato un certo presagio per il futuro – il presentimento di qualcosa di poco positivo che trascende il presente non solo nel tempo ma anche, se possibile, nello spazio – tiene occupati i miei pensieri e, credo di intuire, quelli di alcuni dei miei collaboratori. Basterà, quest’anno, la venuta nel mondo di Cristo Signore ad arginare la sempre più forte sensazione di non poter controllare tutto quello che succede fra le mura di quest’Istituto? Basterà il rinnovamento rappresentato dal Natale a porre fine a ciò che fine non sembra avere, perché viene da chissà dove e sarà tra noi fino a chissà quando?
Mi scuso per queste domande, che senz’altro Le suoneranno astratte e lontane dalla pratica di vita giornaliera a cui il nostro ordine ci ha abituati.
Il fatto è che mai come in questi giorni, Reverendissimo Padre, io mi sono sentito mortale.
Sono successe delle cose, qui all’Istituto, che mi stanno facendo dubitare non tanto del mio ruolo di educatore e guida spirituale, quanto piuttosto delle mie più basilari percezioni fisiche e, soprattutto, della mia capacità di prendere decisioni ragionevoli e misurate sulla base delle circostanze. Io, che proprio per questa mia attitudine ero stato messo qui, in questo ruolo.
Le cose che sono successe riguardano Nicholas Jensen, uno dei nostri allievi. Il bambino, solitamente calmo e molto educato, ha manifestato d’improvviso dei comportamenti non solo violenti ma, ed è questo che mi preoccupa, piuttosto strani nei confronti sia dei compagni sia di noi insegnanti. In che senso io li percepisca come strani, però, non è cosa che possa spiegarLe in questa sede. A dire il vero, Padre, per quanto io abbia sempre considerato la scrittura come dimensione privilegiata della comunicazione e tragga senz’ombra di dubbio un grande piacere dallo scambiare missive con Lei, fatico molto a descrivere quanto accaduto in una lettera, tanto più che questa avrebbe dovuto essere un’occasione di meditazione, condivisione e augurio per l’imminente Natale.
Purtroppo il mio animo, devo ammetterlo, è troppo turbato per fermarsi a meditare.
Confesso che da qualche giorno, Padre, mi sono rifugiato piuttosto in una preghiera estenuante e forsennata, che sospendo solo per uscire di tanto in tanto a controllare i ragazzi, soprattutto mentre giocano o mangiano tutti insieme. Ho sospeso la docenza e mi sono fatto sostituire da Padre Joseph anche nelle funzioni del refettorio.
Nei rari momenti in cui riesco a calmarmi torno su alcuni libri che, proprio sotto la Sua illustre guida, avevo studiato a lungo in seminario: a quei tempi sembravano descrivere situazioni irreali, o difficilmente irrealizzabili, e ricordo che con i compagni seminaristi ne ridevamo, chiedendoci quando mai avremmo dovuto confrontarci con cose tanto assurde e perché, quindi, ci toccasse di imparare a riconoscerle.
Adesso, Padre, non rido più: adesso ho paura.
So bene che la preghiera non basta, in casi come questo. Che si rende necessaria l’azione. Ma mi sento paralizzato, ed è una sensazione che non mi appartiene, di fronte alla quale non so bene come reagire.
Con la presente mi permetto dunque di chiederLe un colloquio privato per confrontarmi con Lei sui segni a cui credo di aver assistito e che, se confermati, richiederebbero un intervento quanto meno urgente da parte del nostro ordine, se non persino di autorità superiori.
Attendo devotamente una Sua risposta, che spero giunga il più presto possibile.
La ringrazio, ancora una volta, del tempo che dedica alla lettura delle mie comunicazioni e La saluto con il cuore, ricordandoLa sempre nelle mie preghiere.
Suo,
Padre Mikhail
* * *
Skolvær, 6 dicembre 1988
Cara mamma Jenna, caro papà Kristofer,
Padre Mikhail mi ha detto che oggi devo restare nella mia stanza, allora ho pensato che vi scrivo la mia letterina di Natale.
Mamma, quest’anno sono stato veramente buono.
Ho sempre fatto i compiti e mi piace studiare, soprattutto la storia. Ho anche aiutato Rikke con la geometria, perché lui non riesce a fare tanto bene le figure: la settimana scorsa le abbiamo disegnate insieme nella neve. Ascolto i maestri e dopo la ricreazione metto sempre a posto i giochi.
Mi mancate un sacco. Venite presto a prendermi, perché qui è bello ma io ho tanta voglia di tornare a casa.
Mamma, visto che ho fatto il bravo, quest’anno quando arrivi posso almeno abbracciarti?
Voglio che mi tieni vicino, che stiamo sempre insieme.
Mamma, non aver paura: a casa non vi farò arrabbiare, promesso, se voi non farete arrabbiare me.
Vi voglio bene.
Buon Natale,
Nicholas
* * *
Clinica Intercomunale di Lolesund
Reparto di Salute Mentale – Sezione di Psichiatria della Famiglia e delle Relazioni
Nome e cognome del paziente: Jenna Tovak
Codice Sanitario Paziente: WL009-75K
Medico curante: Dott. Soran Berger
Nr. rapporto interno: 42/1988
Data: 7 dicembre 1988
La paziente ha richiesto il colloquio odierno in via straordinaria rispetto gli appuntamenti mensili previsti dal percorso terapeutico, motivandolo con le ragioni di una sopravvenuta urgenza nel contesto familiare.
Durante il colloquio la paziente è sembrata piuttosto agitata all’inizio, più tranquilla e lucida verso la fine. Come già accaduto in alcuni dei nostri precedenti incontri* , la signora Tovak è apparsa particolarmente spaventata dalla presenza di una porta chiusa alle proprie spalle e ha chiesto che venisse tenuta aperta oppure che il colloquio potesse svolgersi in un’altra stanza. Abbiamo quindi tenuto la porta del bagno aperta e la sua poltroncina ruotata di 45 gradi in modo che lei potesse controllarla di tanto in tanto, cosa che ha fatto circa ogni cinque minuti**.
Ritengo di poter concludere che questa fissazione, apparsa senz’altro più incisiva rispetto ai precedenti episodi – durante i quali veniva solo verbalizzata, senza la necessità di un’effettiva azione compulsiva – ha uno stretto collegamento con l’avvicinarsi del Natale e, in particolare, con il rientro a casa del figlio maggiore Nicholas, di cui la paziente torna a parlare ogni anno verso la fine di novembre, per poi obliterarlo da qualunque riflessione o rappresentazione non appena il periodo natalizio è trascorso.
Nell’incontro di oggi, le ruminazioni della signora sono apparse coerenti con il quadro disfunzionale evidenziato finora nel corso della terapia.
Sarà comunque opportuno rivedere gli appunti degli anni scorsi per un confronto sul tipo di sensazioni che la signora associa al figlio: questa sera soprattutto paura, angoscia, senso di impotenza. La paziente riferisce in generale un incremento dei pensieri fobici riguardo la presenza del figlio in famiglia, soprattutto a contatto con la sorella minore. Causa problemi comportamentali riscontrati nelle ultime settimane, infatti, quest’anno durante il periodo natalizio il bambino verrà tenuto a casa più a lungo degli anni precedenti: probabilmente il cambiamento della routine domestica che ciò provocherà è da intendersi quale causa dell’aumentato stato d’ansia della signora, ancora in difficoltà nel gestire cognitivamente situazioni diverse dall’ordinario. Sarà, questo, uno dei punti su cui lavorare insieme nelle prossime settimane.
In attesa di vedere se le allucinazioni uditive e visive, riscontrate con regolarità gli anni scorsi, si ripresentano anche quest’anno al ritorno a casa del figlio, prescrivo Nexotan in gocce (20 gg /die la sera prima di coricarsi) in aggiunta alla terapia farmacologica che la signora già segue.
Si fissa incontro di controllo per il giorno 22 dicembre alle h 16:00.
Dott. Soran Berger
Specialista in Fobie e Disturbi della Percezione
* V. in particolare i rapporti nr. 18/1986 e 30/1987 redatti dal collega Trovsen e, in generale, gli appunti degli incontri svolti con me durante lo scorso periodo invernale.
** La mia scelta di assecondare il suo pensiero ossessivo è stata puramente funzionale alla possibilità effettiva di svolgere il colloquio.
* * *
Norvsdal, 8 dicembre 1988
Aggiornamento n. 4
Caro Peter,
Come mi hai chiesto sin dall’inizio, ti tengo aggiornato sulla situazione della tua famiglia.
Nella mia ultima lettera, a fine agosto, ti avevo raccontato di quanto fosse diventato stretto il mio rapporto con Kristofer: finalmente posso confermarti che ora anche Jenna si fida di me.
Ormai, per i Tovak, sono diventato uno di casa. Sarà la mia barba, oppure la voce un po’ bassa, chissà. Jenna dice che alla piccola Hella piacciono i miei movimenti calmi e le mie spalle larghe, che ai bambini questo tipo di fisicità trasmette sicurezza. Suppongo sia vero: con Hella trascorro interi pomeriggi a leggere, passeggiare nei boschi, suonare il vecchio piano che mi hai fatto trovare qui in salotto (e di cui, per l’ennesima volta, ti ringrazio: non avrei mai potuto stare per un anno senza musica).
Per quanto riguarda Kristofer, credo semplicemente che gli manchi suo padre. Non so se te l’ho mai scritto, ma secondo me puoi essere molto fiero di lui: è un uomo di grande tempra ed equilibrio, forse proprio perché costantemente messo alla prova dagli eventi.
Jenna, invece, ha senza dubbio troppe ossessioni con cui convivere, e forse ha solo bisogno di credere che, al mondo, esista qualcuno di cui fidarsi. Tutto l’amore senza confini che normalmente si riserva ad un figlio lei non sa più dove metterlo, poverina. Da quel che mi ha spiegato Kristofer, è seguita da uno psichiatra che la vede circa una volta al mese, ma ogni anno intensifica gli incontri sotto Natale, che è evidentemente il periodo più critico.
Devono essere stati molto duri, questi ultimi anni in cui la “cosa” di Nicholas si è manifestata. Duri per tutti loro, intendo. Non so quanto la piccola Hella ne capisca ma ogni tanto – soprattutto quando fuori inizia a fare buio – si gira verso porta del ripostiglio e corruga la fronte, mentre una specie di brivido la attraversa da capo a piedi. Vederla contrarsi così all’improvviso, ti assicuro, fa rabbrividire anche me, che pure sono del tutto preparato a ciò che sta per succedere.
Ad ogni modo, i Tovak hanno iniziato a fidarsi di me giusto in tempo.
Natale sta arrivando e in questo piccolo, isolato e silenzioso paesino i preparativi per le feste raggiungono una densità ed una laboriosità che mai, finora, avevo visto nei miei viaggi. Da qualche giorno, infatti, tutti nel quartiere sembrano occupati soltanto a sistemare, abbellire, illuminare le proprie case. Le strade vengono tenute più che mai sgombre dalla neve, come se qualcosa di massimamente importante dovesse trovarle libere nel momento in cui arriverà. Ogni tanto guardo quella di fronte a casa mia e penso che, se mai al momento opportuno riuscissi ad andarmene da questo posto, per lo meno non dovrei avere impedimenti logistici. I pochi negozi del paese fervono di scambi, acquisti, consegne: sembra davvero che per queste persone il semplice attendere, il farsi trovare pronti racchiuda in sé tutta la bellezza di una simile ricorrenza. Nella mia immaginazione questo centro abitato si sta come gonfiando a dismisura e quasi mi figuro che scoppi e ricada ammosciato su sé stesso appena sarà trascorso il Natale.
Ma io probabilmente non sarò qui per vederlo tornare alle sue dimensioni di sempre, vero? E dire che mi ci sto pure un po’ affezionando, a questo minuscolo pezzo di mondo.
Per quanto mi riguarda, so bene di non dover far nulla che lasci pensare ad un mio eventuale piano di fuga, e infatti così sto agendo: esattamente come da tue indicazioni, ho addobbato la casa con luci sia interne che esterne; ho comprato un piccolo abete che ho posizionato in salotto, di modo che da fuori risulti ben visibile: con l’aiuto di Hella ci ho appeso luci, palline e i biscotti di zenzero che Jenna ha preparato con lei proprio ieri pomeriggio. Al piano, suono canzoni di Natale per farla addormentare quando viene a trovarmi dopo mangiato.
Nella loro casa, invece, tira un’aria gelida nonostante il camino sempre acceso. Sembra quasi che le stanze siano attraversate da invisibili fili carichi di corrente, e che loro si muovano nella costante paura di toccarne uno e rimanerne fulminati.
Jenna, ieri, mi pareva particolarmente tesa. Quando le ho chiesto cosa avesse mi ha mostrato una lettera, e allora ho capito: il direttore della scuola, giù a Skolvær, le ha chiesto di andare a prendere Nicholas già questo fine settimana, senza aspettare l’inizio delle vacanze. Lei si è limitata a dire che il ritorno anticipato del bambino la mette un po’ in confusione perché non è molto abituata ad averlo a casa così a lungo.
Da quel che si legge nella lettera, sembra che Nicholas abbia mostrato un comportamento particolarmente violento nei confronti dei compagni: sputi e morsi, principalmente. Sono i segni di cui mi parlavi tu, giusto? I segni preparatori. Solo che quest’anno sembrano essere più precoci degli anni precedenti e – anche se non ha detto nulla – lei ne è chiaramente terrorizzata. Credo lo sia anche Kristofer, a modo suo.
Come mi hai detto di fare a questo punto, le ho assicurato che avrei passato più tempo possibile con il bambino: che sono curioso di conoscerlo meglio, che sfrutteremo questi lunghi e freddi pomeriggi per stare insieme, magari a costruire qualcosa con il legno, che non vedo l’ora di mostrargli le foto dei miei viaggi. Jenna non ha fatto nulla per nascondere una smorfia che credo fosse di pura frustrazione. Ha respirato a fondo, poi ha annuito e si è rimessa a pulire la cucina.
Nicholas tornerà dunque a casa questo sabato. Ho due giorni per prepararmi, dopo di che farò semplicemente quello che mi hai chiesto: quello per cui sono stato mandato qui.
Sono già stato ufficialmente invitato a pranzo da loro per Natale, dunque non saranno soli con lui, quel giorno. E, arrivata la sera, sono certo che saprò cosa fare. Lascerò che Nicholas mi conduca nel bosco – lo abituerò all’idea portandocelo io a passeggiare nei prossimi giorni – e, dopo che avrà avuto ciò che ogni anno desidera per Natale, tornerà ad essere il bambino tranquillo e amabile di sempre. Se qualcosa avanzasse di me, spero solo che si decomponga presto e io possa così far ritorno alla terra da cui, come noi tutti, sono venuto.
Tu non preoccuparti, Peter: sto vegliando su di loro e lo farò, come da tua richiesta, fino al momento in cui tutto sarà finito, almeno per quest’anno.
Ti manderò il prossimo aggiornamento prima di quel giorno, quando avrò finalmente conosciuto Nicholas (sperando che lui, invece, non riconosca me).
Un caro saluto,
Hans
(tessera nr. 483/02)
* * *
Norvsdal, 16 dicembre 1988
Papà,
So che non dovrei scriverti – e infatti non imbucherò questa lettera: la metterò via insieme a tutte quelle che ti ho scritto, e mai spedito, negli ultimi quattro anni – ma immagino che, ovunque tu sia, ti farebbe piacere ricevere almeno i nostri auguri di Natale.
Da un certo punto di vista, ogni anno mi ritrovo a pensare che sarebbe molto meglio se questo periodo non arrivasse per nulla. Amo l’inverno, amo questo nostro inverno così rigido, pulito e senza sbavature di temperatura, ma mi rendo conto che per Jenna la neve, il buio precoce, il silenzio di questa valle stanno diventando una prigione. Una specie di gabbia in cui si vede rinchiudere non appena Nicholas torna a casa da noi: ogni volta che lui varca quella porta, io vorrei soltanto che il concetto stesso di “Natale” non fosse mai esistito.
Poi però mi tornano in mente i ricordi dei miei Natali: quelli passati a casa con te, la mamma e le mie sorelle, quelli trascorsi a canticchiare seduti sulle tue ginocchia mentre la mamma inonda la casa di caldi profumi. E penso che in fondo, per i bambini, non vi sia momento più magico di questo. Vorrei solo che anche Nicholas, oltre ad Hella, sentisse e riproducesse questa magia.
Invece Nicholas, come purtroppo sappiamo, è diverso.
La prima volta che abbiamo visto cosa potesse fare, eri qui anche tu con noi. Aveva solo due anni, ma è stato terribile. Me ne ricordo ogni volta che, arrivate le vacanze, lo vado a prendere all’Istituto (quest’anno l’abbiamo iscritto alla scuola di Skolvær, sperando che non ci chiedessero le referenze degli istituti precedenti) e lui rientra in casa, guardandosi intorno e cercando la sua mamma.
Credo sia quello, per Jenna, il momento più difficile in assoluto. Quando deve decidere se abbracciarlo o meno, se avvicinarsi o tenersi lontana da lui e da quello che potrebbe diventare – d’accordo: che diventerà – nei giorni seguenti.
Quest’anno le cose sono andate un po’ diversamente: Nicholas ha manifestato i primi segni già le scorse settimane a scuola, così sabato siamo andati a prenderlo con dieci giorni di anticipo. Quando l’ha vista arrivare dal corridoio, ha guardato Jenna e ha spalancato le braccia e lei, forse perché colta di sorpresa, è riuscita non solo a stringerlo a sé, ma anche a tenerlo in braccio per qualche manciata di secondi.
È cresciuto tantissimo, comunque. Non lo vedevamo dall’estate. Comincia ad assomigliarmi non solo nella struttura fisica ma anche nei tratti del viso, che invece all’inizio sembravano quasi una riproduzione di quelli di Jenna.
Padre Mikhail, il direttore dell’Istituto, ci ha tenuti nel suo ufficio per appena dieci minuti. Ha mantenuto toni molto vaghi, lui stesso evidentemente spiazzato da quello che ha visto fare a Nicholas e soprattutto – ha ripetuto più volte – dall’impassibilità che ha letto negli occhi del bambino subito dopo. Non ha parlato del suo sorriso, ma vi aveva accennato nella lettera a Jenna. Secondo me si vergognava a dire di aver avuto paura del sorriso di un bambino, ma io lo capisco. Eccome se lo capisco. Quel sorriso mi ha pietrificato il sangue più di una volta, durante questi anni.
Lungo il tragitto dall’ufficio di Padre Mikhail alla macchina, avrei voluto girarmi e gridare: “La prego, Padre, ci aiuti. Ci aiuti almeno Lei. Tenga qui Nicholas ancora per qualche giorno. Anzi: tenga qui Nicholas per sempre”.
Ovviamente non l’ho fatto. Sono salito in auto con lui e Jenna – Hella era qui con il nostro vicino, che si è offerto gentilmente di farle compagnia in nostra assenza – e siamo tornati a casa. In macchina, Jenna e Nicholas hanno parlato della scuola: la pagella di Nicholas è, come sempre, ineccepibile, e lui pare molto contento dell’ambiente che ha trovato all’Istituto: i compagni, gli insegnanti, persino il cibo. Poi, però, ha aggiunto:
– Ma io ho sempre voglia di tornare a casa. Mamma: stavolta, dopo le vacanze di Natale, posso restare a casa ancora un po’?
Jenna ed io ci siamo guardati attraverso lo specchietto retrovisore e ho dovuto raccogliere tutto il coraggio che avevo sparso in corpo per mentirgli:
– Certo, tesoro, faremo il possibile per tenerti a casa un po’ di più, dopo Natale.
Speravo che quelli accaduti a scuola fossero stati degli episodi isolati, magari persino casuali. Purtroppo, invece, erano solo l’inizio dell’ennesimo inferno.
Da quando è tornato a casa, Nicholas ha morso Jenna tre volte, e me quattro. Per fortuna non è riuscito a prendermi al viso altrimenti, come è successo gli anni scorsi, mi sarei ritrovato a dover dare spiegazioni imbarazzate al lavoro. Siamo riusciti ad evitare che succedesse anche con Hella, ma in più di un’occasione l’ho visto mentre la osservava giocare e il suo sguardo non mi è piaciuto per niente. Proprio per niente.
Di solito peggiora verso sera, quando fuori cala il sole e si alza un vento carico di nevischio e di rumori poco piacevoli. Più ci avviciniamo al Natale, più frequenti diventano questi attacchi improvvisi. Cerchiamo, ovviamente, di non perderlo mai di vista, ma ogni tanto riesce a sparire e poi a riapparirci alle spalle. Oppure dietro qualche porta: forse te l’ho già scritto, comunque sembra preferire quella dello sgabuzzino, non ho idea del perché. Si mette a grattarla con la manina, e quando la apro me lo ritrovo lì, al buio, che sorride.
E mi tende le braccia.
Ogni volta che capita, io vorrei soltanto urlare.
Perché ogni volta che lo prendo in braccio, so che poi cercherà di farmi del male.
Jenna non lascia mai Hella da sola, ma stare tutto il tempo con entrambi i bambini la sta mettendo profondamente alla prova. Non so quanto facciano effetto i nuovi farmaci: per ora, la sento stare sveglia accanto a me tutta la notte. Ogni tanto, verso mattina, piange.
Anche questa volta, nella sua lettera di Natale, Nicholas non ha specificato cosa vuole come regalo. Il che – devo confessarlo – mi getta nello sconforto più profondo: ogni anno, ad inizio dicembre, mi ritrovo a sperare che ci chieda semplicemente una scatola di costruzioni, un modellino di nave da montare o, chessò, un cucciolo di cane. Gli regalerei qualunque cosa, se solo questo significasse che il mio bambino sta bene: che non è la cosa che credo stia diventando. Che non vuole in regalo quello che temo.
Quando Hans, il nostro vicino di casa, è nei paraggi, mi sento un po’ meglio. Lui ha preso Hella molto a cuore e, anche in questi giorni difficili, sta passando molto tempo con lei. Ha conosciuto Nicholas e ogni tanto fanno qualcosa insieme, ma Nicholas mi sembra ancora un po’ diffidente nei suoi confronti. L’altro giorno, mentre eravamo tutti sul divano a guardare un film nel tardo pomeriggio, ho visto Nicholas che lo annusava. Letteralmente: lo annusava. Hans è sembrato non accorgersene.
Io vorrei tanto dire ad Hans di stare attento, di non andargli troppo vicino, ma come faccio? Dovrei raccontargli tutta la storia, e sono quasi certo che mi prenderebbe per pazzo. Se anche lui ci abbandonasse, resteremmo soli.
Invece abbiamo bisogno che il giorno di Natale, quello in cui tutto culmina per poi tornare tranquillo – o così sembra – fino al prossimo dicembre, qualcun’altro – qualcuno che non è strettamente della famiglia – sia qui con noi. Questo ormai l’ho capito, anche se non ne conosco il motivo, e non sono nemmeno sicuro di volerlo conoscere. Tu invece l’avevi intuito da subito, vero?
Faremo come al solito, dunque: passeremo il Natale qui a casa, come tutte le famiglie cosiddette normali: con Hella, Nicholas ed Hans. Scarteremo qualche regalo. Mangeremo l’arrosto, le patate, i biscotti che la signora Zoerlen avrà distribuito a mezzo paese. Io e Jenna eviteremo di bere troppo vino per poter rimanere vigili tutto il tempo e proteggere soprattutto Hella. Poi succederà quel che deve succedere.
Papà, vorrei tanto che quel giorno ci fossi anche tu, qui. Quello passato con te è stato l’ultimo Natale veramente sereno che io ricordi. Nicholas aveva già manifestato qualcosa di molto strano, ma la tua presenza faceva sembrare tutto più gestibile.
Anche se sapessi dove ti trovi adesso, comunque, non so se ti chiederei di tornare.
Ovunque tu sia, allora, ti auguro Buon Natale.
Kristofer
* * *
Clinica Intercomunale di Lolesund
Reparto di Salute Mentale – Sezione di Psichiatria della Famiglia e delle Relazioni
Nome e cognome del paziente: Jenna Tovak
Codice Sanitario Paziente: WL009-75K
Medico curante: Dott. Soran Berger
Nr. rapporto interno: 43/1988
Data: 22 dicembre 1988
La signora Tovak si è presentata al colloquio accompagnata dal marito, che però ha preferito attendere fuori.
La paziente riferisce un considerevole aumento del proprio stato d’ansia, a cui il farmaco da me prescrittole sembra apportare solo un parziale e temporaneo beneficio.
In base ai suoi resoconti i pensieri fobici riguardo le porte, che continua ad avere paura di tenere chiuse, si intensificano soprattutto nelle ore tardo-pomeridiane e serali.
Fobie più generali (chiaramente legate, comunque, ad una vita condotta in prevalenza nell’ambiente domestico) e disturbi percettivi (in particolare allucinazioni uditive) sono tutte senz’altro da mettere in stretta connessione con la presenza, in casa, del figlio Nicholas.
La signora torna a raccontare episodi già narrati con una certa ricorrenza nel corso della terapia presso questa clinica: in particolare dice che all’improvviso, quasi tutte le sere, il figlio tende a scomparire per un certo periodo (minuti? ore? da chiedere al prossimo colloquio) per poi riapparire in un luogo della casa diverso – e lontano – da quello in cui avrebbe dovuto essere. Lei e il marito, ha precisato anche oggi la signora, se lo ritrovano poi alle spalle o, molto più spesso, fermo in piedi dietro la porta dello sgabuzzino, una stanza secondaria collegata al salotto in cui tengono vecchie riviste, giacche invernali, scarpe ed equipaggiamenti sportivi. Qualche secondo prima che il bambino ricompaia, ha aggiunto (le parole esatte della signora sono state: “appena prima che torni a manifestarsi”), da qualche parte in casa loro sentono la sua voce mentre canta, con una voce “troppo acuta per essere anche solo vagamente piacevole”:
Rise up good wife, and be no’ swier
To deal your bread as long’s your’re here;
The time will come when you’ll be dead,
And neither want nor meal nor bread.
Il bambino, afferma la signora, non conosce l’inglese: non l’ha mai sentito né studiato. Quando il canto si conclude, per qualche momento la casa piomba nel silenzio più assoluto: persino gli elettrodomestici smettono di ronzare e fuori sembra non passare più nemmeno una macchina.
Se non sono loro ad aprirla, la porta dello sgabuzzino si apre da sola e Nicholas è lì a guardarli, sorridente.
Come già accaduto ciclicamente in concomitanza con questo periodo dell’anno, si stanno manifestando inoltre i segni di un forte e sistematico autolesionismo. Quando le ho chiesto come si fosse procurata i segni rossi e violacei che ho notato sulla mano, sul braccio e vicino al collo (e che, pur senza poterli esaminare da vicino, mi sono sembrati simili a morsi e graffi molto profondi), ha affermato senza esitazione che a procurarglieli è stato proprio Nicholas negli ultimi giorni.
Secondo quanto la signora Tovak racconta, il figlio mantiene un comportamento tipicamente infantile, tranquillo e gestibile per la maggior parte del tempo. È, come afferma lei stessa, “un vero bambino”: le domanda il perché delle cose, le racconta della scuola, cerca le sue carezze. Le chiede, in particolare, di essere abbracciato e tenuto vicino.
Ogni volta che lei asseconda questa sua richiesta, tuttavia, Nicholas poi non accetta più di staccarsi dal suo corpo e, se ad un certo punto viene allontanato, reagisce in modo violento. Secondo il racconto della paziente, è lei il maggiore centro delle attenzioni carnivore del bambino. Nicholas si avventerebbe invece senza preavviso sul padre e, se lasciato solo con lei, sulla sorella più piccola.
Più ci si avvicina alle festività, più frequenti si fanno questi episodi di aggressione, riferisce la signora. Lei e il marito, ha spiegato, sanno di dover procurare qualcosa al bambino “per non farlo arrabbiare”: quello che devono procurargli, tuttavia, “è meglio non dirlo a nessuno”.
La signora si dichiara terrorizzata dalla presenza del figlio in casa. Teme per la propria incolumità e per quella dei suoi familiari nei prossimi giorni. Giustifica in questo modo il proprio profondo stato d’ansia, radicato probabilmente in un trauma pre- o neonatale che il suo inconscio ritiene di aver procurato al bambino. Quando la signora se la sentirà, sarà opportuno ripercorrere la storia della sua gravidanza, del parto e del puerperio, per individuare il nodo problematico da sciogliere al fine di ristabilire degli equilibri percettivi così alterati.
La paziente insiste nel rifiutare questa mia interpretazione delle sue ricorrenti dinamiche psichiche e comportamentali, sostenendo che quanto riferito corrisponde a realtà.
Confermo dunque che si stanno ripresentando, come già gli scorsi anni, fenomeni di allucinazione e confabulazione legate ad una probabile falsificazione retrospettiva. Consiglio pertanto la prosecuzione della terapia farmacologica prescritta al termine del precedente colloquio, aumentando la dose del nuovo farmaco a 30 gocce/die.
La paziente, comunque, non sembra costituire un pericolo per il benessere psico-fisico del figlio, verso il quale ribadisce invece il proprio affetto, pur se frammisto ad ansia, paura e ad una condotta tendente all’evitamento. Non ritengo necessario un intervento di controllo da parte di operatori specializzati in quanto l’ambiente familiare da lei descritto rimane per ora entro i parametri di una ragionevole normalità.
Rivedrò la signora subito dopo Natale per analizzare con lei gli eventuali sviluppi di questa rielaborazione in chiave fobica del rapporto materno.
Dott. Soran Berger
Specialista in Fobie e Disturbi della Percezione
* * *
Clegghan Island, 31 dicembre 1988
Gentile Pierre,
Il mio nome è Peter Jensen (tessera nr. 743/05), e ti scrivo la lettera che probabilmente stavi aspettando. Ognuno di noi ne aspetta una, giusto? Altrimenti non saremmo entrati a far parte del Circolo di Protezione.
Eccomi dunque qui a scriverti per affidarti l’Incarico.
Come da regolamento del Circolo, non mi è stato comunicato quale sia il tuo attuale stato di salute, quale problema irrisolvibile ti abbia reso idoneo a partecipare al Programma. Ti chiedo però di confermarmi fin da subito che sarai vivo, e in grado di intervenire attivamente, durante l’intero periodo concordato: come a tutti noi iscritti al Programma di Protezione, infatti, mi serve un soggetto che resti a guardia della famiglia Jensen almeno fino al giorno di Natale dell’anno prossimo.
Ti fornisco di seguito alcune informazioni pratiche sul caso a cui sei stato destinato.
In base a quanto mi ha riferito Hans, il precedente incaricato della loro sorveglianza, nelle sue ultime lettere (quella definitiva risale alla mattina del 23 dicembre), nella famiglia di mio nipote la situazione sta pian piano peggiorando rispetto agli anni precedenti: il bambino (Nicholas, 6 anni) stavolta ha iniziato a presentare i primi segnali di trasformazione già alla fine di novembre e non, come accadeva di solito, a partire dalla settimana di Natale (voglio dare per scontato, almeno per ora, che nulla di strano sia successo invece durante l’anno perché, se così fosse, temo che dovremo ricorrere, nei confronti di Nicholas, ad una soluzione molto più drastica del semplice rabbonimento – chiamiamolo così – che di solito attuiamo con questi bambini).
Gli episodi di violenza si sono manifestati prima a scuola (Nicholas è stato affidato ad un istituto religioso per l’educazione precoce ed elementare disposto a tenerlo lì per gran parte dell’anno, in modo che il bambino non coltivi un attaccamento fisico eccessivo nei confronti dei membri della famiglia) e poi a casa (vi ha fatto ritorno il 10 dicembre) dove, come sempre, sono rivolti soprattutto verso la mamma (Jenna, 41 anni), che da tre inverni a questa parte ha deciso di catalizzare su di sé le attenzioni del bambino per evitare che si orientino sulla sorella più piccola (Hella, 4 anni). Mio figlio Kristofer (45 anni), cerca di tenere sotto controllo la situazione come può ma anche lui, la prima volta che ha visto il bambino inferocirsi con me, si è molto spaventato (e devo supporre che lo sia ancora).
Di solito, Nicholas uccide il giorno di Natale, appena fa buio.
La prima volta, ad appena due anni, ci ha provato con me, ma io sono riuscito a sfuggirgli. Non ho mai saputo con che cosa – anzi, con chi – abbia soddisfatto i suoi istinti in quell’occasione.
Poco dopo, tramite un conoscente di vecchia data che si era trasferito all’estero, sono entrato in contatto con il Circolo. Da allora mi sposto ogni anno, giusto per precauzione. Ancora non abbiamo idea, lo sai bene anche tu, di quanto siano potenti le percezioni e le azioni di questi bambini, né del perché abbiano bisogno di cibarsi di persone come me, come noi. Forse si accontentano e basta: ma, finché va così, almeno non fanno troppo del male alle loro famiglie.
Trovi in allegato tutti i dettagli sul luogo in cui dovrai recarti, comprese le foto della famiglia, del bambino e della loro casa, nonché la scheda in cui vengono riepilogati i dati della tua nuova identità.
Per quanto riguarda le nostre comunicazioni, esse dovranno intercorrere esclusivamente tramite lettera (ti chiedo un aggiornamento ogni tre mesi circa, ma se lo ritieni necessario puoi scrivermi anche più spesso) e mai per telefono. Imbuca sempre personalmente le lettere e procurati una casella postale (non in paese, ma in qualche località vicina) in cui ritirare le mie risposte (nella cassetta di casa riceverai soltanto la posta ordinaria e non sospetta): ti aggiornerò al più presto sul mio nuovo indirizzo.
So che hai adesso hai paura. Lo so perché anch’io, ieri, ho ricevuto la mia lettera e presto dovrò partire.
Beh, almeno adesso so quanto effettivamente mi resta da vivere. A suo modo, anche questa è una consolazione, visto che la mia malattia sta progredendo in modo molto lento lasciandomi sin troppo tempo per pensare.
Scommetto che anche tu pensi molto a coloro che hai lasciato. Non passa giorno in cui io non mi senta un vigliacco per aver deciso di andarmene: d’altra parte, mi dico subito dopo, se io mi fossi lasciato uccidere da Nicholas la prima volta che ha manifestato la sua natura, l’avrei tenuto buono solo per quell’anno: e poi? Che ne sarebbe stato di mio figlio e di tutta la sua famiglia? Non è meglio che io stia qui, il più lontano possibile, e mi assicuri che ad ogni Natale qualcuno di diverso soddisfi le richieste del bambino in modo da garantire a questa famiglia un altro po’ di respiro? Credo di sì. Finora è andata bene, non solo a noi, ma a tutti quelli che si sono inseriti nel Programma. É questa certezza che dobbiamo aggrapparci.
D’ora in poi lascerò dunque la protezione della mia famiglia nelle mani del Circolo, sicuro che qualcuno di capace e premuroso se ne assumerà la responsabilità. Dopo cinque anni in cui sono stato aiutato, è arrivato il momento che io in prima persona dia il mio contributo se non alla soluzione, almeno al contenimento di questo inferno sulla Terra.
Lo stesso per te.
Parti il prima possibile, e non dubitare mai della mia gratitudine.
Buon Natale, anche se in ritardo, e buona fortuna.
Peter Jensen
Tag: Valentina Simeoni
2 dicembre 2016 alle 07:20
Molto ben scritto, persino troppo: nel senso che tutti i protagonisti scrivono in maniera perfettamente corretta e con lo stesso stile. Echi dello Stephen King de L’incendiaria, a The ring, all’Esorcista e qualche altro horror di valore, in uno stile molto Mary Shelley. Bello, ma un po’ lento. Classicamente lento, però.
2 dicembre 2016 alle 09:56
Bellissimo
2 dicembre 2016 alle 09:58
Mi ha talmente inquietato da avermi disturbato il sonno per l’intera notte. Assolutamente efficace, in questo. Ben costruito, giocato sapientemente. Brava.
2 dicembre 2016 alle 10:30
Che bello un racconto epistolare. Molto bello. Complimenti. Ma l’ultima lettera non verrà mai letta dal destinatario, esatto? Sarà già morto per il 31 dicembre.
2 dicembre 2016 alle 11:44
Ma chi è questo genio? E non parlo solo dell’intreccio inquietante, alludo anche a una padronanza eccezionale dei registri linguistici e alla scelta geniale dell’ambientazione. Confesso di non aver fatto caso alla presenza o meno degli elementi imposti da Giulio Mozzi, mi sono lasciata trascinare dall’evocazione di atmosfere e incubi che mi hanno fatto ricordare James Hogg. Complimenti Valentina, un applauso!
2 dicembre 2016 alle 14:36
Anche a me è piaciuto molto. Completamente diverso dal primo per forma e contenuto. MI ha colpito la scioltezza del registro linguistico che, forse è troppo uniforme tra diverse lettere e quindi diversi autori, ma è molto bello ed elegante. Anche qua c’è un padre, un figlio e un nipote. C’è qualcuno che mangia e qualcuno che sacrifica se stesso. Bella idea davvero. Melania
2 dicembre 2016 alle 15:11
Non amo la forma epistolare e il racconto è troppo lungo per me che non riesco a seguire il filo del discorso sul video, mi distraggo, preferisco il cartaceo. Di solito interrompo la lettura per non riprenderla mai più.
Poi ho pensato: non sarà che sono invidiosa?
Dunque sono arrivata in fondo in quattro o cinque tappe, spinta dai commenti positivi degli altri lettori e dalla curiosità di conoscere chi moriva entro il 31 dicembre.
Che dire che non abbiano già detto gli altri?
Posso soltanto aggiungere che in quanto a terribilità questo Natale sarà duro da battere.
Nel frattempo ho contattato un Editore di Novosibirsk. Dice che in Siberia scarseggino i talenti letterari…
2 dicembre 2016 alle 15:23
Bellissimo. Sul serio. Adoro il genere e l’ho letto tutto d’un fiato. Fantastica la capacità di delineare in modo così vivido i personaggi nel breve spazio di un racconto.
Non ho scovato tutti gli elementi indicati da Giulio, ma lo rileggerò con attenzione!
Complimenti!
2 dicembre 2016 alle 15:57
Grazie dei commenti.
Pallante: l’ultima lettera in realtà dà inizio al “nuovo anno”. A morire (il giorno di Natale) in “questo anno” è Hans, mentre Pierre morirà l’anno prossimo. Può benissimo essere che la cosa non risulti comprensibile alla lettura, nel qual caso è responsabilità mia 😉
Maria Cristina: grazie della fiducia con cui hai continuato la lettura.
2 dicembre 2016 alle 17:19
Non è giusto, non vale! Le autrici di questi due primi racconti non sono semplici dilettanti. Sono delle valenti professioniste della scrittura! Le due narrazioni sono troppo ben scritte, troppo ben strutturate nella fabula e negli intrecci, nei registri, nel lessico… troppo.
Giulio, ci hai ingannati, confessa.
2 dicembre 2016 alle 18:24
Un racconto da leggere con calma, all’imbrunire, come ho fatto io. E si entra in quest’atmosfera di neve, di cielo, di dolore, di generosità. E quell’innocenza bambina che, nonostante tutto va salvata, sempre. L’idea dell’arcano, del misterioso che accade, che magari non ha spiegazione ma colpisce e ferisce, e che pure la psichiatria vorrebbe spiegare e inutilmente curare, mi riporta al mistero più grande che è quello del Natale.
2 dicembre 2016 alle 18:27
Quell’innocenza bambina che tu, Valentina, hai reso con la punta del pennello più sottile: dopo lo sputo, dopo il morso, Nicholas sorride. Brava
2 dicembre 2016 alle 18:58
Brrrr, atmosfera da Il giro di vite di Henry James! E ho detto tutto!
2 dicembre 2016 alle 19:58
Che bello! Mi è piaciuto l’equilibrio tra la rivelazione e la reticenza, che ha svelato a poco a poco, e nemmeno del tutto, la natura dell’arcano. E poi mi è piaciuto e basta.
2 dicembre 2016 alle 21:34
Mi è piaciuto: inquietante e misterioso. Completamente diverso dal precedente. Concordo sul fatto che il linguaggio avrebbe dovuto essere più personalizzato ma la padronanza di questo registro elegante è molto bella. Poi, anche qua, un padre e un figlio e qualcuno che mangia e qualcuno che si sacrifica ed è mangiato.
3 dicembre 2016 alle 05:44
Bravissima Vale!
3 dicembre 2016 alle 10:07
Un horror classico, scritto molto bene, brava Valentina. Il dubbio sul finale l’ho avuto anch’io.
3 dicembre 2016 alle 10:47
“Adesso, Padre, non rido più: adesso ho paura.” La frase più bella del racconto, secondo me.
3 dicembre 2016 alle 11:53
Lidia: sull’horror con te non posso competere 😉
Disintegrazioni: è anche la mia, di frase preferita.
3 dicembre 2016 alle 13:46
Scritto senza originalità di stile. Il soggetto del racconto non ne giustifica la lunghezza. L’obiettivo di descrivere le diverse sensibilità non viene conseguito perché il tono narrativo non si differenzia, restando comune a tutti gli estensori delle missive.
Si dice ” il più presto possibile ”
Qualche aggettivo male accomodato.
3 dicembre 2016 alle 14:07
Forse sono dettagli ma inserire in un racconto epistolare datato 1888 situazioni come viaggi in macchina , guardare da uno specchietto retrovisore, vedere un film in casa o chiedere alla sorella di farle una telefonata, creano un po’ uno sfasamento dall’immersione nel contesto storico. Per il resto è bello e induce qualche brivido..sia
meteorologico che psicologico. Il Natale come divinità crudele che chiede un pegno..!
Complimenti
3 dicembre 2016 alle 14:42
Ma l’anno è il 1988, non il 1888.
3 dicembre 2016 alle 18:17
Valentina, premetto che il tuo testo io non lo saprei scrivere e mi è piaciuto. Condivido con Melania la definizione di “registro elegante”, però effettivamente le lettere potevano differenziarlo un pochino di più. Pasquale Sacco ha anticipato uno dei miei due dubbi: è un racconto questo? Considerata la quantità dei personaggi e dei temi, mi sembrerebbe di più il prologo di un romanzo. Se avessi le tue capacità, io lo continuerei. Il secondo dubbio è che il tema nascosto (di secondo livello, forse si potrebbe scrivere) non sia il Natale, ma l’Eucarestia.
3 dicembre 2016 alle 18:46
Pasquale, grazie delle osservazioni: dato che la tua critica sulla differenziazione degli stili è stata avanzata anche da altri lettori, la accolgo come stimolo per eventuali scritti futuri.
Una certa pacatezza ed uniformità dei toni, tuttavia, è voluta per diverse ragioni fra cui l’estrazione geografico-culturale dei protagonisti.
Ezio, grazie anche a te. Ti rispondo su entrabi i punti:
– sì, è un racconto (anche la sua lunghezza fisica rientra tutto sommato nella dimensione media della forma racconto) e no, non lo vedrei come l’inizio di un romanzo perché questa narrazione ha una circolarità quindi, pur essendo aperta, è anche a suo modo chiusa. Mi pare che il centro di gravità narrativo sia fondamentalmente uno, e polifonica sia solo la sua progressiva costruzione.
– se proprio vogliamo trovarne uno, il tema nascosto di secondo livello non è l’Eucarestia ma una rappresentazione del Natale che precede storicamente le attuali “usanze” (sia religiose che laiche) con cui gestiamo culturalmente questo momento dell’anno: se sei interessato ad approfondire, puoi cercare il saggio di Claude Lévi-Strauss sul Natale, per l’appunto.
4 dicembre 2016 alle 10:40
Intendi il Babbo natale giustiziato, di Lévi-Strauss, Valentina?
4 dicembre 2016 alle 10:56
Sì Giulio, quello. Scusa se non ho dato subito il riferimento specifico.
4 dicembre 2016 alle 11:01
Per chi volesse, subito sotto il nome dell’autrice ora c’è il rinvio per prelevare il racconto in pdf. Mi scuso per non averlo messo da subito.
4 dicembre 2016 alle 13:48
L’ho letto fino in fondo, pur non amando il genere. È un bel lavoro, è innegabile. Però (potrebbe essere solo un mio problema) è pesante, per me manca di elementi che mantengano vivo l’interesse anche di chi è molto lontano da questo stile. Probabilmente personalizzando ulteriormente gli stili di scrittura dei protagonisti l’avrei apprezzato di più. Anche un punto di vista visionario e allucinatorio per me avrebbe migliorato la fluidità, magari da parte della madre.
4 dicembre 2016 alle 14:15
Grazie Amanda. La tua critica sullo stile è in linea con quelle espresse da altri, in effetti: probabilmente cogliete un punto debole del mio testo. La lentezza (che tu percepisci come pesantezza), invece, è voluta.
Su un punto di vista visionario e allucinatorio da parte della madre non sono sicura: la madre non si sta inventando niente, il bambino è davvero come lei lo descrive. (O no?) 😉
4 dicembre 2016 alle 18:20
Sì ho sbagliato anno dall’inizio della lettura e quindi in un certo senso ho letto un racconto diverso… sorry…
4 dicembre 2016 alle 18:48
Si, ma se in mezzo ci fossero stati anche sogni, oppure visioni del figlio intendo a fare cose orribili, magari adulto, l’attenzione si sarebbe spostata su altre questioni intriganti, sulla linea dei figli del diavolo, insomma. Tipo The calling, per chi l’ha visto, ai tempi.
4 dicembre 2016 alle 18:51
Capito. Grazie del suggerimento.
5 dicembre 2016 alle 13:00
La narrazione corale mi è piaciuta molto, ma per i miei gusti le analogie con Il giro di vite sono un po’ troppe (nella trama, non nello stile). Avrei messo almeno una dichiarazione di “ispirazione esplicita” 😀 . In ogni caso, bel racconto.
5 dicembre 2016 alle 14:17
Laura, grazie del tuo commento.
“Il giro di vite” mi era totalmente sconosciuto fino a pochi secondi fa, ma le analogie – che non mi paiono tuttavia molte – sono curiose. .
Cosa intendi con “ispirazione esplicita”?
5 dicembre 2016 alle 15:40
Ciao, Valentina! Va da sé che il mio appunto sarebbe stato valido solo se tu l’avessi letto. Come somiglianze un po’ eccessive, mi riferisco al bambino allontanato dal collegio a causa della sua condotta e la paura che egli suscita nei suoi familiari. Naturalmente se non hai letto il libro è solo “colpa” di James, il cui romanzo si è insinuato talmente tanto nell’immaginario collettivo da essere persino citato inconsapevolmente 😉 . Lo trovo interessante. Magari la suggestione ti è arrivata tramite King, del quale però io ho letto poco.
5 dicembre 2016 alle 17:02
Sì, è più probabile, visto che King invece l’ho letto tutto 😉
5 dicembre 2016 alle 19:50
non sono una lettrice di questo genere e non so scovare suggestioni da altri autori perchè non li conosco. ho molto apprezzato la lentezza, l’eleganza e la pacatezza di cui si parla nei commenti. una lettura per me affascinante.
solo per utilità, indico di seguito due sviste:
1° lettera, 8° riga dal basso: ‘che Le ho appena ho riferito’.
ultima lettera, 25° riga dal basso, inizio capoverso: ‘So che hai adesso hai paura’.
complimenti a valentina
5 dicembre 2016 alle 19:52
Ma: secondo me invece Giro di vite c’entra pochino. O almeno: il focus del racconto mi pare sia su tutt’altro, cioè sui fantasmi che apparirebbero ai bambini e sull’eventuale paranoia della loro governante, unica testimone delle apparizioni e “testimone” decisamente “inattendibile” (io ho sempre pensato che avesse ucciso lei il piccolo Miles). Però l’ho letto una vita fa (diciamo trent’anni), e mai più riletto – perché, tra i miei tanti difetti, c’è anche quello che non sopporto Henry James. (Non so che farci. Ammiro la sua tecnica, spesso finissima, e trovo del tutto inutile a me il suo immaginario).
6 dicembre 2016 alle 07:08
Ho uno sgabuzzino nel sottoscala in laboratorio e già senza racconto mi inquietava. Ora poi.
All’inizio ho pensato che Nicholas fosse Babbo Natale sotto mentite spoglie, ma sarebbe stato contro il regolamento.
Complimenti sinceri.
6 dicembre 2016 alle 10:50
Indubbiamente il focus del racconto di James è un altro e suppongo sia quello che resti in mente a distanza di anni. Tuttavia, questo bambino adorabile (come si evince dalla lettera che ha scritto, forse un po’ troppo elaborata per un seienne), questo allontanamento forzato dal collegio (“Che cosa significa? Il bambino è stato allontanato dal collegio”. Mi lanciò uno sguardo che al momento mi impressionò; poi, assunta di colpo un’aria assente, parve volerlo recuperare. “Ma non li rimandano tutti?” “A casa? Sì, ma soltanto per le vacanze. Miles non potrà più tornare in collegio.” Consapevole del mio sguardo attento, arrossì. “Non vogliono più tenerlo?” “Si rifiutano nel modo più assoluto.” A queste parole alzò gli occhi, che aveva distolto da me; li vidi pieni di lacrime. “Che cosa ha fatto?” Esitai (…)” “Non entrano nei particolari. Esprimono soltanto il loro rincrescimento per l’impossibilità di tenerlo ancora. E questo può voler dire solo una cosa (…). Cioè che può esser di danno ai suoi compagni”), l’inquietudine causata nella narratrice dal comportamento indecifrabile dei bambini, a me sono sembrate analogie consistenti (al punto di scaricarmi l’e-book per rileggere il breve romanzo e sottoporre a revisione i miei ricordi). Appurato che Valentina non ha letto questo libro, mi piacerebbe ricostruire come King abbia rielaborato queste suggestioni, che poi sono giunte fino a Valentina (la quale, a sua volta, le ha trasformare in una storia efficace). Gli immaginari collettivi letterari sono un tema che mi affascina.
6 dicembre 2016 alle 15:38
Sono una lettrice incompetente e narratrice apprendista quindi non in grado di aggiungere valore a questa discussione di critica letteraria. Posso soltanto riportare la mia esperienza personale nei corsi di scrittura creativa. Quando Enzo Carabba evidenziò un difetto di un mio scritto e gli risposi “l’ho fatto apposta” mi rispose secco “allora è anche peggio”.
Un inceppamento, anche se segnalato da un lettore incompetente, rimane un intoppo anche se gli cambi il nome. Che poi tra lentezza e pesantezza la differenza abissale è soltanto che una agisce sulla velocità e l’altra sulla percezione del peso ma entrambe rallentano il passo.
E questo tuo scritto, sicuramente pregevole, è inconfutabilmente lento/pesante e porta il pensiero a un qualcosa di più lungo di un racconto (racconto lungo/romanzo breve?).
Il fatto che tu l’abbia chiuso su se stesso non ti impedisce di riaprirlo e dargli uno sviluppo in altra direzione. Penso proprio che ne varrebbe la pena.
10 dicembre 2016 alle 08:30
Laura: mi pare di poter dire che gran parte del mondo creato da King – almeno dal primo King – attraverso i suoi romanzi sia un mondo popolato di bambini: delle loro immaginazioni, paure, prospettive. Molti suoi testi fanno intravvedere come tutti questi elementi si possano poi travasare nell’età adulta. Per capire cosa intendo, potresti leggere alcuni passaggi di IT o almeno l’ultima pagina del romanzo e alcuni racconti come “Il corpo” oppure “Il baubau”. Se potessi, discuterei all’infinito di questo tema (che il mio racconto riprende rovesciandolo ma – devo dire – solo in parte volutamente: come ho spiegato sopra, qui io mi sono ispirata sopratutto a degli elementi culturali che risalgono a tradizioni storicamente “prenatalizie”).
Maria Cristina, io accetto con molta autocritica il tuo punto di vista ma, dalla mia esperienza di lettrice (incompetente anch’io, senza dubbio) la lentezza di uno scritto può benissimo essere una tecnica compositiva adottata volutamente con effetti che possono piacere o meno; magari invece per te, nel mio caso, è soltanto un “errore” e su questo posso controbattere fino ad un certo punto 😉
Many Kazem, grazie del commento. Lo sgabuzzino è un classico dei racconti di questo tipo ma credo che – per quanto inflazionato – resti sempre un luogo sufficientemente inquietante.
Per me le regole del concorso sono state un vincolo molto produttivo da cui partire per strutturare la narrazione: l’assenza forzata di Babbo Natale in un racconto di Natale è senz’altro la più interessante, infatti proprio da quella sono partita 😉
10 dicembre 2016 alle 08:31
manu: grazie di aver evidenziato i refusi.
10 dicembre 2016 alle 10:00
A questo punto chiederei l’intervento dell’arbitro a discriminare tra la lentezza “tecnica” e la lentezza per eccesso di parole superflue.
10 dicembre 2016 alle 12:56
Maria Cristina: può benissimo darsi che il mio tentativo di “lentezza tecnica” non sia ben riuscito e finisca per generare, in chi legge, una percezione di pesantezza. In tal senso, scrivevo sopra che la tua critica è senz’altro utile. Facevo invece notare che, in generale e in autori esperti, la lentezza può appunto essere una tecnica vera e propria. Tutto qui. Non penso sia il caso di convocare arbitri, giudici o chicchessia per dirimere la questione 😉
12 dicembre 2016 alle 10:30
Valentina: IT l’ho letto 😉 (almeno vent’anni fa, ma l’ho letto!).
12 dicembre 2016 alle 14:57
…eh ma mica potevo darlo per scontato… 😉