
Un’opera di Alex Alemany
di giuliomozzi
[Questo articolo è apparso lunedì scorso in TodoModo.club – Cronache del divenire].
The Life and Strange Surprizing Adventures of Robinson Crusoe, Of York, Mariner: Who lived Eight and Twenty Years, all alone in an un-inhabited Island on the Coast of America, near the Mouth of the Great River of Oroonoque; Having been cast on Shore by Shipwreck, wherein all the Men perished but himself. With An Account how he was at last as strangely deliver’d by Pyrates. Con questo titolo-didascalia, redatto secondo l’uso dell’epoca, si presentò al pubblico, il 25 aprile 1719, il romanzo a tutt’oggi notissimo con il titolo opportunamente scorciato di Robinson Crusoe, e un’attribuzione d’autore diversa: Daniel Defoe. Già: perché questo romanzo che qualche manuale considera più o meno «il primo romanzo moderno» o «il primo romanzo modernamente realistico», eccetera, ovvero questo romanzo che è considerato una pietra miliare del romanzo europeo (e quindi di tutto il romanzo, dato che il romanzo è tutt’altro che una forma universale), tanto che alcuni manuali di storia del romanzo ritengono di poter bellamente ignorare ciò che fu romanzescamente scritto prima del 25 aprile 1719, o di poterlo trattare come se fosse scritto sì ma romanzescamente no (ma d’opinione contraria è Margareth Doody, che nel suo La vera storia del romanzo, in italiano per Sellerio, arriva a Defoe sì e no a metà libro – anzi, a metà librone: 780 pagine), questo romanzo, insomma, si presentò al pubblico dell’epoca non come un romanzo bensì come un libro di memorie: il cui autore, ovviamente, era il titolare della Life e delle Strange Surprizing Adventures, e cioè lo stesso Robinson.
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Tag: Alexander Selkirk, Daniel Defoe, Elena Ferrante, Fernando Pessoa, Georges Perec, Honoré de Balzac, Margaretg Doody, Michel Gall, Nicolas Bourbaki, Søren Kierkegaard, Walter Scott
12 ottobre 2016 alle 08:10
(Vale però un complimento anche la scelta dell’immagine utilizzata qui su Vibrisse).
12 ottobre 2016 alle 08:24
“ Venerdì 26 luglio 1996 – Quando ieri sera sono andato a dormire, non avevo ancora deciso quale libro portare con me quando, il giorno dopo cioè fra poco, partirò per andare in vacanza. Ma stamani non ho avuto dubbi, sarà perché è Venerdì: sarà il Robinson Crusoe. Il Robinson Crusoe che leggerò nei prossimi giorni non sarà quello vero, il mio, che trent’anni fa prestai al mio amico e che, dopo trent’anni, non ho ancora riavuto indietro, ma una copia, in tutto identica – è l’edizione Einaudi del 1963 -, che ho ottenuto in prestito dalla biblioteca. Trent’anni perduti? Forse. Comunque, dopo trent’anni, se si vuole leggere, bisogna accontentarsi delle copie, di quelle cose in tutto e per tutto simili agli originali, ma che in qualche impercettibile particolare si rivelano false, non autentiche, se non addirittura bugiarde. C’est la vie. Del resto tutti i venerdì non incontro forse un Venerdì che non è quello di Robinson ma quello di Repubblica? Quando uno ha fatto naufragio ha fatto naufragio. (Il problema vero sono i cannibali) “ [*]
[*] Lsds / 73…
12 ottobre 2016 alle 15:08
bell’intervento, Giulio, su temi che mi appassionano da tempo.
Mi sembra che ci sia una differenza fra, poniamo, la pseudonimia di Elena Ferrante e la pseudonimia di Defoe: e che la seconda ci dica molto su certe strategie romanzesche di oggi. Se la prima è una figura misteriosa che scrive, dichiaratamente, romanzi di finzione (le protagoniste dei suoi libri non si chiamano Elena Ferrante, sono figure di carta, anche se non sappiamo quanto riconducibili a un modello autobiografico), quella di Defoe inaugura la tradizione di quella che una studiosa, Barbara Foley (in “Telling the Truth”, 1986) ha chiamato “romanzi pseudofattuali”: cioè libri presentati esplicitamente come autobiografie, storie vere con un “trucco” scoperto solo dopo, non per volontà dell’autore – il “Giornale della peste”, un finto memoir di un testimone della peste del 1665, è un testo emblematico della volontà di scimmmiottare le forme storiografiche (a cui possiamo ascrivere anche l’autobiografia).
Anche oggi, in effetti, registro in alcuni scrittori la volontà di presentare la storia vera, l’effetto di autenticità su un racconto che è pieno di invenzioni sottotraccia, come per impattare sul lettore più di quanto la fiction farebbe. C’è, insomma, una percezione della fiction, in molti scrittori che leggo, come inoffensiva.
A margine, mi colpisce il passaggio su Defoe “puritano”. Vero, lo era, o quanto meno lo dava a vedere, mentre in realtà suppongo fosse uno che, come dici tu, si faceva pochissimi scrupoli di ogni tipo ed era più vicino alla figura dell’avventuriero che dell’uomo di lettere o del philosophe. Faceva leva sul puritanesimo perché già il romanzo, genere ritenuto nel ‘600 immorale, era sospetto, quindi tanto valeva dare prova di essere di buoni principi, piegare le vite particolari all’esemplarità del buon cristiano. L’alternanza fra un lato moralistico e un referto della vita concreta, carnale, più “bassa” è forse uno dei punti più interessanti di Defoe. Senza dimenticare che qualche anno dopo “Robinson Crusoe” Defoe concepì una finta autobiografia altrettanto straordinaria, dichiaratamente scandalosa: “Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders”, dove Moll si prostituisce, ruba, tira a campare senza troppi rigurgiti di coscienza, ha cinque matrimoni, parecchi figli e addirittura un figlio-nipote col fratello. Da far impallidire metà dei romanzi cosiddetti oltraggiosi di oggi, anche per la naturalezza della testimonianza di Moll.
12 ottobre 2016 alle 21:25
Nel Settecento le opere pseudo-autobiografiche (quindi attribuite al protagonista), così come i falsi epistolari, andavano fortissimo, e l’anonimato, per gli autori di romanzi e di satira, era la prassi. Sono uscite anonime le opere di Swift, Pope, Richardson, Sterne, Smollett, Burney, Austen, Scott e praticamente tutti i romanzi gotici. Tra i pochi autori inglesi a mettere il nome sul frontespizio dei loro libri Fielding e Godwin: delle vere eccezioni, un po’ come Elena Ferrante oggi.