[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse recensisce libri introvabili, dei quali sostiene di essere l’unico lettore. gm]
“Anzitutto gioverà dire, per l’intelligenza dei lettori, che il celebre Gambardella di cui si parla nel presente racconto, non ha niente a che fare con gli altri Gambardella più o meno celebri, e non sono pochi, che girano per il mondo. Questo è un celebre Gambardella noto a pochi intimi. Anzi, diciamola com’è, perché la sincerità è sempre la miglior cosa: si tratta d’un celebre Gambardella che nessuno conosce”. Esordiva così l’inarrivabile Achille Campanile nell’unico intervento – unico a nostra conoscenza: ma nel caso specifico il soprascritto, bibliofilicamente parlando, non teme smentite – che sia mai stato pubblicato in pro del Gambardella in questione: la cui celebrità rimase, e tuttora è, ristretta a un così minimo numero di intimi, che nemmeno l’editore Garzoni, pur impegnato nella ripubblicazione dell’opera completa, ne conosce il nome di battesimo.
Gambardella peraltro, alla fine della fiera, è Gambardella: e tutti gli altri Gambardella sono solo qualcosa di Gambardella: dall’amabilissimo Vincenzo Gambardella, autore di eleganti prose narrative (pubblicate da Marietti) all’onnipresente Cherubino Gambardella, architetto assai prolifico di scritture (per tacere del Joe Gambardella, reso noto dal cinema, che è peraltro e resta personaggio fittizio): tutti costoro, in virtù del nome di battesimo, sono solo delle possibili determinazioni del Gambardella: mentre il Gambardella in questione, del quale già questionò Campanile, essendo Gambardella e basta, è un Gambardella “alla massima espressione” (come avrebbe detto il Bernazza): è la quintessenza della Gambardellità.
Non s’immaginino però lettrici e lettori che qui ci si lasci tentare da esagerazioni laudative: il Gambardella, dico il Gambardella in questione, benché l’avvio della riproposta della sua non smisuratissima opera ci riempia di letizia, è e resta uno scrittore minore; uno scrittore per palati fini, delicati; uno scrittore per degustatori e delibatori; per lettori capaci di apprezzare la sua prosa enigmaticamente astrusa e le sue trame astrusamente enigmatiche, nonché i suoi racconti cosparsi di eventi simbolicamente irrilevanti (si veda, in Racconto di Natale: “«Dalle stelle alle stalle», disse la cometa”), di agnizioni piattamente burocratiche (si veda Patente e libretto), di colpi di scena fasulli (si veda Un romanzo in una frase: “Quando si risvegliò, sua moglie era ancora lì”), di spaccati sociali inconsistenti (si veda La grande crisi della natalità durante lo sciopero a oltranza dei postini): più che di anti-narratività (categoria di moda negli anni Settanta, quando Gambardella fiorì: ma Gambardella fu un fiore isolato e estraneo, praticamente un cactus della letteratura) sarebbe il caso di parlare di a-narratività: i romanzi e i racconti di Gambardella sprofondano infatti nel più profondo disinteresse narrativo. E arrivare in fondo nella lettura, sia detto, non è da tutti: ci vuol tenacia e pazienza, costanza e passione, pertinacia e competenza – per non sprofondare nel sonno.
Essendo la produzione del Gambardella dispersa tra riviste, rivistine e rivistucole (che negli anni Settanta proliferavano in tutt’Italia), edizioni sommerse e strategicamente imprendibili, plaquette raffinatissime e deperibilissimi ciclostilati (nemmeno il vostro bibliofilo, per dire, riuscì mai non si dice a possedere, non si dice a leggere, non si dice a sfogliare, ma nemmeno a intravedere la celeberrima – tra i pochi intimi cultori del Gambardella – Descrizione del fatto, ciclostilata in forse trenta copie almeno metà delle quali – si dice – ferocemente deturpate da un errore d’inchiostratura), è quantomai benemerita l’iniziativa dell’editore Garzoni, che finora ha raccolto tanta dispersione in tre volumi di Varie (1965-1969, 1970-1975, 1975-1981) e due di Eventuali (1985-1961, 1998-1976): mentre è annunciato un volume di Supplementi, che incorporerà testi giunti nelle mani dell’editore, grazie alla generosità di ignoti e benemeriti donatori, dopo la pubblicazione dei già citati volumi. Alle nostre dodici lettrici e a i nostri dodici lettori, per un rispettoso totale di ventiquattro, proponiamo però come approccio all’opera quello che è, stando al noto, l’unico romanzo del Gambardella, rimasto peraltro praticamente inedito: le uniche tre copie di cui sia nota e certa l’esistenza furono dettate dall’autore e dattiloscritte da tre dattilografe provette (Erminia Bastelli, Ramonda Sorella, Panina Circense: dedicatarie dell’opera) in una sola notte, nel corso di una performance scrittoria svoltasi a Pavia nel 1977. Quanto al manoscritto dal quale il Gambardella apparentemente leggeva per dettare, fu messo all’asta sul momento – e non se n’è più saputo nulla.
Il cadavere distratto è un doppio racconto, forse ispirato a LA BIERE DU PECHEUR di Tommaso Landolfi (col quale si sa che sovente il Gambardella s’incontrava per giocare ad asino, a bestia, a briscola, a busche, a centocinque, a cicera bigia, a cucù, a dubito, a chilòro, a Las Vegas, a mambassa, a mariglia, a Peppa Tencia, a perlina, a petrangola, a pinnacola, a Pipino o diavoletto, a porco, a rubamazzo e a rubamazzetto, a scala, a scartino, a scopa, a scopone, a scopone scientifico, a sette e mezzo, a sinco, a solitario, a stroppa, a stracciacamicia, a tappo, ai tarocchi, al tarocchino bolognese, a minchiate, a tivìtti, a tòzzolo, a trentuno, a tressette o terziglio, a trionfo, a uomo nero, a risàc, a zecchinetta, a zompacavallo, talvolta vincendo talvolta perdendo, ma il più delle volte vincendo – si dice); ispirato nel senso che il bisenso del titolo dà forma all’opera: nei capitoli pari si dà conto della storia del “cadavere distratto”, ovvero affetto da distrazione (si dimentica d’essere cadavere, tanto per dire, e va alla Upim, poi in gelateria, poi dal pedicure, poi a Bagnacavallo, poi dal commercialista, poi alla stazione a comperare un biglietto per il giorno dopo, poi dall’amante, eccetera), nei capitoli dispari della storia del “cadavere distratto”, ovvero trafugato (a scopo di ricatto) da una misteriosissima banda di criminali, forse di criminali politici, forse di politici criminali, forse di preti ridotti ex abrupto allo stato laicale a causa dei loro indecenti costumi, forse di collezionisti di cadaveri giapponesi o di collezionisti giapponesi di cadaveri o di giapponesi collezionisti di cadaveri, o forse adirittura di cadaveri di collezionisti giapponesi: si tratta com’è ovvio, in questa come in quella storia, del medesimo cadavere, colto evidentemente in due diverse fasi della sua vita, o forse in due aspetti della sua doppia vita, o forse in due sue possibili – e non necessariamente effettuali – vite da cadavere.
Talentuosamente il Gambardella, in quella come in questa storia, ovvero in entrambe, èvita con nonchalance ogni facilità narrativa come ogni felicità linguistica: l’andamento è farraginoso, oscuro, coacèrvico, multispecchiante, circolare, intermediale, al postutto privo di qualunque nesso o connessione; e la lingua si appiattisce, come ridotta a una men che mera referenzialità, a un puro susseguirsi di parole nel quale l’asse paradigmatico e l’asse sintagmatico si trasformano in serpi contorte, in corde ingroppate, in sentieri che non portano da nessuna parte (o portano a perdersi, heideggerianamente, nel bosco), in fionde, in fruste da trottola, in pioppi agitati dal vento, in sinusoidi da rumore bianco.
Per dirla in soldoni: l’editore grida al capolavoro; i critici che in vita ignorarono il Gambardella, e oggi gli cadono addosso dal pero, già calcolano il numero di pubblicazioni che potranno cavarci (e il sottile rumore prodotto dal loro fregarsi le manine si sente fin qui); i post-neoavanguardisti e i neo-postavanguardisti vanno dicendo che sempre fu il Gambardella maestro loro prediletto, e che se non ne parlarono o scrissero mai fu per non farselo sottrarre, per sottrarlo alla macchina macinatrice dell’industria culturale; i giornali riempiono le pagine con le tre foto sfocate tre che del Gambardella sono note (quella con gli occhiali e una borsa da documenti in mano, quella dove spinge il carrello del supermercato e ha l’aria incazzatissima, quella giovanile col berretto da marinaio e le orecchie a sventola) e cercano di montare il caso. Il vostro bibliofilo, umile com’è, osa limitarsi a un consiglio: non leggete il Gambardella. Al mondo ci sono libri cosiddetti “per tutti”: Il cadavere distratto, lo si può ben dire, è un libro per nessuno.
Tag: Cherubino Gambardella, Dario Bernazza, Ennio Bissolati, Gambardella, Martin Heidegger, Tommaso Landolfi, Vincenzo Gambardella
16 settembre 2016 alle 17:47
Fino a qualche minuto fa a me mancava il pezzo del “continua a leggere”.Allora ho pensato: -Vuoi vedere che Giulio, Bissolato e Acabarrato, in via di trasferta, si è incamerato la distrazione del Fantasma? – Non si scherza coi fantasmi.Si rischia di ritrovarsi un ingombrante Golem tra i piedi. Tolte le scemenze, davvero ho pensato che facesse parte della pièce. E mi è parsa pure ” ‘na bella penzata”! Matta
16 settembre 2016 alle 19:35
“ Martedì 26 febbraio 2002 – « M’annoio, lettore. Se qualcuno si darà un giorno la pena d’esaminare il presente manoscritto vedrà che la sua prima lettera è tracciata con somma cura: un’iniziale da calligrafo che m’aiutò a passare un paio di minuti della mia vita. M’annoio. » (Tommaso Landolfi, La bière du pecheur, 1953) “ [*]
[*] Lsds / 73…
17 settembre 2016 alle 17:59
Credo che La grande crisi della natalità durante lo sciopero a oltranza dei postini, una volta ripubblicato, abbia tutte le carte in regola per aspirare allo Strega. Sarebbe un premio strameritato per un autore che, come pochi, ha saputo leggere la complessità del nostro tempo.
19 settembre 2016 alle 00:09
Chissà mai se un giorno, oltre ai priapismi del recapito, potremo leggere anche i dettagli delle sfide al gioco, possibilmente con punteggio a fronte e steli di millefoglie inclusi.
Incrocio le dita e spero nel fiuto del Nostro prezioso recensore.
19 settembre 2016 alle 17:08
che nostalgia, di copertine così